25 Apr Goliarda Sapienza o La Libertà Indomabile
Goliarda Sapienza o La Libertà Indomabile
di Sara Manuela Cacioppo
Inquieta, sensuale e astuta, Goliarda Sapienza ha fatto della sua vita una prova di autenticità. Nata a Catania nel 1924 dall’unione tra l’avvocato Giuseppe Sapienza e la giornalista e attivista italiana Maria Giudice, ambedue di fede socialista, Goliarda cresce intrisa di anticonformismo e affrancata da qualsiasi vincolo sociale.
Per timore che possa subire influenze fasciste, il padre le vieta di frequentare la scuola con assiduità. A sedici anni studia recitazione all’Accademia d’arte drammatica di Roma: la sua caparbia e bravura la porteranno a lavorare al fianco di stimati registi quali Luchino Visconti e Alessandro Blasetti. La scrittura è per lei l’unico antidoto a un’esistenza tormentata e autolesionista, così lascia le luci della ribalta per dedicare la sua vita alla letteratura.
Instaura una relazione, lunga diciassette anni, con il regista Francesco Maselli, ma sposerà lo scrittore e attore Angelo Pellegrino.
Affiora dalla sua narrativa, perlopiù di tipo autobiografico, una personalità complessa. La ricerca linguistica e il fraseggio multiforme che la contraddistinguono mettono in luce una soggettività fuori dall’ordinario.
L’Arte della Gioia, che è ormai un libro di culto, ha una storia editoriale controversa. La scrittrice ne comincia la stesura nel 1967 e la termina nel 1976 dopo averlo revisionato col marito. Nel 1978 il romanzo è pronto per la pubblicazione, ma le case editrici lo rifiutano per la sua eccessiva lunghezza e immoralità. Nel 1994 Angelo Pellegrino fa pubblicare a sue spese una prima parte del romanzo (casa editrice Stampa Alternativa), ma verrà pubblicato per intero solo nel 1998, due anni dopo la morte di Goliarda.
Nel 2001 va in onda su Rai Tre una puntata del programma “Vuoti di memoria” dal titolo Goliarda Sapienza, l’arte di una vita. Il libro comincia ad avere ampia risonanza; Pellegrino si adopera per promuoverlo all’estero, riuscendo a farlo tradurre in diverse lingue. L’interesse della critica è tale che nel 2008 viene ripubblicato da Einaudi.
In quest’opera la scrittrice incastra la vita della protagonista, una siciliana sovversiva di nome Modesta, in un susseguirsi di eventi storici, politici e sociali calati nel Novecento. Sapienza riesce a trattare argomenti “scomodi” per il periodo, quali: la libertà sessuale; la costruzione identitaria legata al concetto di genere; l’inadeguatezza dei ruoli sociali; il dissapore nei confronti di un femminismo non inclusivo; la politica; il godimento del corpo…
Modesta crede che la gioia possa essere conquistata ed è disposta a tutto pur di ottenerla. Nata nella miseria, mira a innalzare il proprio livello culturale, sociale ed economico con l’obiettivo di vivere un’esistenza felice e soprattutto libera. Decisa ad essere l’unica padrona di se stessa, sfida la cultura patriarcale e fascista in cui vive.
Autrice e protagonista sembrano legate da un filo invisibile: Goliarda afferma che Modesta è migliore di lei in quanto personificazione del suo ideale di emancipazione, ideale che lei al contrario non è mai riuscita a rendere tangibile.
Il concetto che attraversa l’intera narrazione è l’autenticità come chiave di libertà, esplicitato già nell’incipit del romanzo: “Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono né alberi, né case intorno, solo sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro, e bruciore delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio primo ricordo così com’è: non mi va di fare supposizioni o d’inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente.”
La sessualità libera
La vita amorosa di Modesta oscilla fra il desiderio del corpo maschile e di quello femminile. Il corpo come rivelazione della libido ha un ruolo essenziale nella crescita della protagonista e dello svolgersi degli eventi.
Sin dalle prime pagine Modesta scopre l’autoerotismo e il grande piacere che arreca. Il godimento è messo in relazione con l’appetito, il sesso è descritto come un’esperienza che nutre e riempie: le urla della sorella disabile Tina provocano in Modesta dei brividi o scosse orgasmiche, una sensazione simile a quella che si prova nell’assaporare il pane o la frutta: “Per anni l’avevo sentita urlare così senza badarci, sino al giorno che, stanca di trascinare quel legno, buttata in terra, avvertii a sentirla gridare come una dolcezza in tutto il corpo. Dolcezza che in seguito si trasformò in brividi di piacere, tanto che piano piano, tutti i giorni cominciai a sperare che mia madre uscisse per poter ascoltare, l’orecchio alla porta dello stanzino, e godere di quegli urli. Quando accadeva, chiudevo gli occhi e immaginavo che si lacerasse la carne, si ferisse. E fu così che seguendo le mie mani spinte dagli urli scoprii, toccandomi là dove esce la pipì, che si provava un godimento più grande che a mangiare il pane fresco, la frutta.”
L’amore è un’arte che va maneggiata con cura e per Modesta il sesso ne è una componente imprescindibile:
– L’amore non è un miracolo, Carlo, è un’arte, un mestiere, un esercizio della mente e dei sensi come un altro. Come suonare uno strumento, ballare, costruire un tavolo.
– Tu intendi dire il sesso.
– Ma non è amore il sesso? L’amore e il sesso sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso che cosa è? Una venerazione di statue, di madonne. Il sesso senza l’amore che cosa è? Una battaglia di organi genitali e basta.
Il rapporto con Joyce è un’altalena da cui è difficile scendere: se Joyce vive l’omosessualità come una colpa, lasciandosi vincere da tormenti e dubbi; Modesta appare disinibita e incurante del giudizio sociale. Per Joyce il loro amore non è che un transfert, un’illusione e una vergogna, per Modesta invece non vi è affronto nel perseguire la propria felicità: E se anche fosse? Cosa c’è di malato nel ricercare una gioia che si è conosciuta o solo immaginata?
Il matricidio come liberazione
Attraverso il personaggio di Modesta, la scrittrice pone in essere la necessità del distacco materno, essenziale alla piena maturazione dei figli. La madre, erogatrice di norme prestabilite, circoscrive confini di libertà, giudicando il reale secondo sistemi binari: normale-anormale; giusto-sbagliato. Se Madre Leonora vuole imporre a Modesta di prendere i voti, la principessa Gaia ne limita la libertà trattenendola. Entrambe determinano l’implosione della vera natura della protagonista.
Sicilia, bolla di libertà
La vicenda si svolge interamente in Sicilia, l’isola si trasforma in essenza magica primigenia, riflesso dell’io che la abita e insieme metafora di libertà: “E, forse perché mi aspettavo di vederlo dall’alto come prima, dovetti alzare gli occhi per trovare quel cielo liquido rovesciato che fuggiva calmo verso una libertà sconfinata. Grandi uccelli bianchi scivolavano in quella vertigine di vento. I polmoni s’aprivano e per la prima volta respiravo.” Così, Modesta vive in una “bolla-anarchica” in cui non esistono gerarchie, oppressioni o disuguaglianze. Si evince una critica al sistema patriarcale dominante a favore della parità dei sessi, dei diritti e della pluralità di pensiero.
La conoscenza come emancipazione
Modesta possiede un’intelligenza machiavellica: chiunque si interponga tra lei e il raggiungimento dei suoi obiettivi sembra destinato a soccombere. Il suo “potere” è la conoscenza: la dedizione verso lo studio la porteranno a diventare un punto di riferimento per gli intellettuali di sinistra dell’epoca.
L’innato intuito, così come la grande praticità e capacità di pianificare le azioni le permetteranno di strappare le reti di oppressione in cui gli altri cercano di intrappolarla: quando Madre Leonora tenta di bloccarla in convento, Modesta attua un piano per sgominarla; lo stesso fa con la principessa Gaia, approfittando della sua situazione di malessere per sottrarle il testamento.
L’identità fluida
Al fine di attuare i suoi piani di emancipazione, Modesta acquisisce delle abilità maschili: fuma la pipa, va in motocicletta, gestisce il patrimonio, sfidando ogni stereotipo di genere. Il personaggio “fluido” compie un avvicinamento fra i sessi, respingendone le caratterizzazioni. Tale concetto è particolarmente evidente in un dialogo con Joyce, in cui Modesta individua nell’identità “liquida” un’espressione di libertà individuale:
-Vieni, ca t’insegno. Oh figghia, io ti levo ‘sto capriccio, ma non è ca tu ti metti a fumare come a un carusu?
-E perché no?
-E perché sì?
Dimmelo, perché sì, allora?
-Perché io pure carusu sono!
-Chista è proprio bella! Pure carusu sei?
-Sì. Mezzo carusu e mezzo maredda.
Goliarda Sapienza, modernissima, sembra quasi anticipare le teorie di Judith Butler sulla decostruzione delle categorie di genere per cui il corpo sessuato non è un fatto biologico, ma una costruzione culturalmente imposta. Il genere ha dunque originato una sessualità normativa e tale normatività viene assorbita come naturale anche se non lo è.
Insegnaci l’arte della gioia
Ma cos’è questa gioia di cui parla Sapienza?
La gioia è una meta che si rincorre con intelligenza, attenzione e costanza, tutti la posseggono, pochi sanno esercitarla. Il compito di Modesta è infatti quello di “insegnare l’arte della gioia”: nonostante gli esseri umani siano per natura portati alla felicità, il mondo esterno e loro stessi fungono da ostacolo al raggiungimento della stessa, perché guidati da idee erronee.
L’uomo necessita di una “educazione alla gioia”. In tale ottica il romanzo si trasforma in vero e proprio manuale di iniziazione all’arte di vivere e di gioire in libertà.
La gioia è indissolubilmente legata alla sfera amorosa e alla manifestazione di una sessualità carnale. Il godimento funge da chiave per l’ottenimento di una consapevolezza “autentica” e dell’affermazione dell’io libero.
Emblematico è il finale del romanzo in cui la protagonista incontra “l’amore che resta” nel personaggio di Marco, rivelando come la gioia sia capace di vincere la morte, trasformandola in vita…
No, non si può comunicare a nessuno questa gioia piena dell’eccitazione vitale di sfidare il tempo in due, d’essere compagni nel dilatarlo, vivendolo il più intensamente possibile prima che scatti l’ora dell’ultima avventura. E se questo mio vecchio ragazzo si stende su di me col suo corpo pesante e lieve, e mi prende come ora fa, o mi bacia tra le gambe proprio come Tuzzu faceva allora, mi trovo a pensare bizzarramente che la morte forse non sarà che un orgasmo pieno come questo.
No Comments