Francesca Woodman. Metamorfosi e dissolvenze

Francesca Woodman. Metamorfosi e dissolvenze

di Ivana Margarese e Monica Mazzolini

 

Essere dimenticati così, entrare in quel grande vuoto continuo,

sembra più simile alla morte della morte stessa.

Sarah Manguso, Andanza. Fine di un diario

 

Francesca Woodman (1958-1981) ci lascia, in soli 10 anni di ricerca artistica, molte fotografie e sei quaderni, scritti tra il 1977 ed il 1978, durante il soggiorno-studio a Roma.
Fotografare diventa espressione di emozioni alla ricerca di un’identità, dove l’artista sceglie di raccontare se stessa prima di ogni altra cosa e di essere regista, scenografa e attrice dei suoi scatti. Una scoperta attraverso il corpo, la scrittura e il movimento che richiama alla mente le inquietudini della giovinezza. Come la Lucy di Stealing Beauty (Io ballo da sola) di Bernardo Bertolucci. Francesca è preda di una vertigine. Indifesa e al tempo stesso onnipotente.

Le immagini di Francesca Woodman, prevalentemente in bianco e nero, di formato quadrato e di piccole dimensioni, rivelano attenzione nella preparazione dello scatto. Rappresentano autoritratti simbolici, surreali, metafisici, intimi, malinconici e delicati. I luoghi scelti sono interni di stanze fatiscenti. Pochi oggetti. Locali quasi completamente vuoti ed abbandonati. Ambienti essenziali, dimenticati, ma con la sua presenza e compenetrazione, riscoperti.
Il legame tra fotografia e identità è faccenda antichissima, come testimoniano le impronte delle mani lasciate dai nostri progenitori nelle caverne. Ovidio ne Le metamorfosi racconta tra gli altri il mito di Narciso ed Eco. Narciso è da sempre stato un riferimento importante nel mondo dell’arte, tuttavia la fotografia è legata anche al mito di Eco, al cercare l’altro irraggiungibile tanto da smarrire persino se stessi.
Francesca Woodman, morta suicida a soli ventitré anni, modella di quasi tutte le sue fotografie, poco prima di morire scrisse:

“Mi interessa come l’individuo si relaziona allo spazio. Ho iniziato a fare foto fantasma, le persone che svaniscono […] io e Francis Bacon”.

Autoritratto: attraverso un gesto performativo quest’artista mette in scena il suo corpo quale elemento privilegiato della poetica e della fotografia. Veicolo portatore di messaggio. Fondamentali, nel metodo artistico lo studio della scena, la luce e l’inquadratura. Una fotografia lenta e meditata, fatta di attese e lunghe esposizioni, elementi necessari all’indagine introspettiva accentuata dalla forma quadrata e di piccole dimensioni. Sono immagini intime. Corpo fragile, indifeso. Corpo leggero e volteggiante. Corpo pesante. Corpo quasi in volo o disteso sul pavimento. Corpo raggomitolato. Anche il volto è di frequente celato con un forte rimando surrealista. Questa giovane fotografa usa l’autoritratto e di sovente lo specchio non per vanità, ma perché, diventando soggetto-oggetto del suo linguaggio e della sua narrazione, sviluppa attraverso le fotografie un’autoanalisi. Un’operazione chirurgica per conoscere e indagare la sua anima, la sua identità, le sue emozioni profonde, le sue paure. Quelle che la tormentano. Quelle dalle quali vorrebbe liberarsi per guarire. Quelle che la porteranno a “volare” da un grattacielo di New York a soli 23 anni.

 

Metamorfosi: Il suo corpo, spesso nudo, subisce metamorfosi e si con-fonde, superando il con-fine, con ciò che lo circonda. Una pelle che diventa superficie. Già in House (1975-76) si nasconde dietro il riverbero della luce creando un effetto di presenza-assenza evidente anche nelle fotografie in cui si mimetizza con ciò che la circonda. La Woodman rende il corpo camaleontico, talvolta difficilmente visibile attraverso sfocature, mossi, doppie esposizioni ed il camuffamento. Talvolta sembra giocare. Lei resta presente, seppure alla ricerca di una forma di difesa, come un animale che cambia il colore della pelle per nascondersi. Dicotomia insita nei suoi autoritratti dove si mostra e fugge allo stesso tempo. Come Dafne nella scultura del Bernini, che  immortala per sempre, riprendendo il mito descritto da Ovidio, l’inizio della trasformazione da graziosa ninfa a pianta di alloro mentre Apollo tenta di afferrarla, così Francesca diventa radice e tronco di betulla in alcune fotografie realizzate nella foresta. Fusione tra corpo e betulla che sarà ripreso anche da Arno Rafael Minkkinen qualche anno dopo. Ma quello di Francesca è anche corpo che riprende la metamorfosi di kafkiana memoria se si osserva la fotografia in cui si ritrae ricoperta da un involucro dalle sembianze di guscio-corazza.

Sparizioni: Le fotografie della Woodman divengono una sorta di spazio magico, protettivo. Il suo gioco è una dinamica continua di intrecci con gli elementi intorno. Con la teoria del fort-da Freud interpreta il gioco ripetuto dei bambini di lanciare lontano un rocchetto attaccato a una cordicella, per poi ritirarlo a sé. In questo modo il bambino mette in scena sotto il suo controllo l’allontanamento e il ritorno della figura materna, simbolizzata dal rocchetto. Sparizione e ritorno sono una maniera per rivivere una situazione perturbante e renderla man mano familiare, inventando un nuovo paesaggio, un corpo surreale, fantastico, indipendente nelle sue parti.
Ferdinando Scianna in Obiettivo ambiguo scrive a proposito di Francesca Woodman: “Diversamente da Alice, Francesca non ha attraversato lo specchio per andare oltre se stessa. Ma per sprofondarvi”.

Sdoppiamento: Un autoinganno, un’illusione come quella descritta nella serie Self-deceit (1978) è “Untitled” antecedente di un paio di anni. Al centro della scena uno specchio, il corpo, il suo riflesso. Nello specchio si scopre la bellezza, la fugacità del tempo. Oltre ad essere un simbolo dell’inganno, dell’effimero e della vanità, quest’oggetto rappresenta anche il loro contrario: verità, eternità e realtà. Rappresenta il bisogno dell’uomo, che come prima superficie riflettente ha usato l’acqua, di conoscere la propria immagine ossia la propria identità. È stato studiato nel mito arcaico di Narciso, nella storia di Alice di Lewis Carroll, nella favola di Cenerentola, nei romanzi di Pirandello e in molte delle superstiziose tradizioni popolari. Strumento di seduzione e simbolo di menzogna. Con la nascita della psicanalisi e di quei territori inconsci da parte di Freud, Jung e Lacan lo specchio è diventato un simbolo della parte più intima e segreta della sfera interiore. Specchio inteso come luogo di manifestazione del “doppio”,  che unisce verità e apparenza. Specchio e anima, specchio e veritas, narcisismo e vanitas.

 

Confronti: Un paragone interessante è quello tra Francesca Woodman ed Egon Schiele. Distanti nel tempo e con differenti mezzi espressivi, entrambi ritraggono infatti se stessi mediante una ricerca audace ed emotiva. I corpi assumono posizioni innaturali, dolorose, superano i confini dell’anatomia umana. Gli sfondi, disorientando lo spettatore, si mescolano con la pelle e gli abiti. Intonaco o tappezzeria di case fatiscenti da un lato e campiture di colore uniforme dall’altro sono simbolo di degrado e vuoto per arrivare a significare un malessere interiore. Inquietudine che possiamo associare anche agli autoritratti di Francis Bacon. Trasformazione da un lato, deformazione dall’altro. Lei sempre bella, lui volutamente imbruttito nel corpo e nella mente. In tutti e tre gli autori emerge il tormento e la solitudine del corpo immerso in uno spazio che si fa abisso.

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