28 Mag Chi non ha il suo Minotauro?
Chi non ha il suo Minotauro?
di Silvia Bistocchi, Sara Manuela Cacioppo, Ivana Margarese, Erika Nannini
“Arianna, disse Dioniso, tu sei un labirinto; Teseo si è smarrito in te”
F.Nietzsche, Frammenti postumi
A volte mi capitava di parlare
di quello stupore, ma siccome
nessuno sembrava condividerlo,
e neppure comprenderlo, lo dimenticai.
R. Barthes, La chambre claire
Rinascere ogni qual volta si raggiunge l’uscita del labirinto. Cominciare daccapo, con tenacia, mutando anche direzione di marcia. Magari sprofondando nelle meraviglie, come Alice, che trovò un varco, una strada inattesa in un piccolo buco nero.
Proponiamo nel primo numero di Morel un editoriale corale che tiene insieme più voci. In-between non soltanto come luogo che esiste tra due posizioni, ma anche come spazio in cui qualcosa di nuovo può accadere. Non c’è un punto di vista unico, ci sono relazioni, in cui il trucco da dio è proibito.
Chi non ha il suo Minotauro? chiedeva Marguerite Yourcenar rivisitando un mito sopravvissuto tanto nei dipinti e nelle sculture quanto nella tradizione letteraria. Nella lettura teatrale di Yourcenar Arianna è aspirazione alla purezza degli dei e delle idee. Arianna è attesa:
Ho l’impressione di inerpicarmi in questa attesa come su una scala di marmo bianco. Più salgo, più vedo lontano, ma solo per constatare com’è vuoto il mare. Se sono a ogni scalino più visibile, allo stesso tempo divengo però meno facilmente accessibile. E se la mia ascensione non si ferma, non mi resterà che raggiungere Dio.
Ma quando Teseo giunse a Creta con sei fanciulli e sette fanciulle ateniesi per cibare il Minotauro con le proprie carni, Arianna lo vide e presa d’amore e dalla paura di restare sola con quell’amore, diede a Teseo un filo affinché si ritrovasse in lei se si fosse smarrito nel labirinto di tutte le vite possibili. E quando Teseo preso d’amore per Arianna la strappò a Creta per farne la sua regina, il filo si spezzò, così che un capo rimase a Nasso mentre l’altro giungeva ad Atene. Allora Arianna fu sola e s’uccise. Arianna fu sola e fu uccisa. E quando Arianna fu sola fu tutte le Arianna che erano in lei.
Nella nostra lettura Arianna è una figura di resistenza, che in tutti i labirinti finisce sempre col ritrovare la strada. Offre il filo per salvarsi dal labirinto, parte, si ritrova sola, si perde e nuovamente gioca. Il mito che racconta di un abbandono cela il fatto che lei non si sarebbe abbandonata ad alcuno. Solo un dio avrebbe potuto soddisfarla. Un dio che danza e non si lascia afferrare.
La salvezza è in una inclinazione o in un’uscita verticale, un’ascesa che rompe con ogni precedente schema elaborato. Le fratture sono sempre incorporate nel movimento.
Parole e immagini si confondono per dare un nuovo e più intenso significato all’argomento trattato. Non miriamo a un semplice esercizio di lettura, ma ad immergere il lettore in una vera e propria esperienza sensoriale e conoscitiva.
Arte e Parola, d’altronde, hanno spesso viaggiato l’uno al fianco dell’altro nel corso dei secoli. Pensiamo alla rappresentazione del mito di Arianna nei quadri di Tiziano.
La fiamma ardente del suo amore brioso e carnale per il dio Bacco è ben riprodotta in “Bacco e Arianna”, databile al 1520-1523. Il quadro raffigura il primo ineluttabile incontro fra gli amanti.
Fulcro dell’opera è la dinamicità dei corpi, responsabili dell’innesto di uno sposalizio sacro, dettato da un fugace incontro di sguardi. Mentre Bacco le si avvicina congiungendo l’emisfero divino a quello terrestre, Arianna si volta verso di lui e con la mano sinistra stringe le sue vesti in preda a una forte spinta emozionale. I corpi si fanno dunque testimoni inconsapevoli di un incontro catartico.
La figura di Arianna e il suo dinamismo sono ispirazione ricorrente nel lavoro di un altro pittore inglese di epoca vittoriana, George Frederick Watts, che la rappresenta in varie pose. Tra queste una in cui la donna, seppure agitata come le onde del mare, compie un gesto: solleva il braccio, apre la mano. Il gesto allontana qualcosa o qualcuno. Arianna oscilla ma in piedi respinge con fermezza ciò che la allontana. Forse con Teseo, l’eroe di latta, la maschera che abbandona sull’isola l’unica testimone della fragilità che nasconde per ricevere il plauso del mondo, Arianna perde ogni illusione, ogni modello, e così incontra Dioniso, il dio che danza tra le forme. Teseo ha bisogno di Arianna per affrontare il mostro del labirinto, ma vuole rimuoverlo. Il dolore, la crepa, la frattura aprono possibilità e inclinazioni.
Arianna resta sull’isola di Nasso e ritorna a se stessa:
Vattene,
i tuoi lamenti sono ora per me parole vuote
Lingua di veleno che assorda Braccia come catene
Libera
sento il rumore del mare
Mi lascio trasportare
Voglio solo andare
Vattene
Fuggi via
Vile fantoccio
Illusione e perdita
Disamore punito
Vattene
Arianna vive
Ora
Arianna risorge.
Roland Barthes ne La camera chiara riprende le parole di Nietzsche : “Un uomo labirintico non cerca mai la verità, ma unicamente la sua Arianna”. Non si tratta di avere a che fare con astrazioni, ma di lasciarsi pungere e toccare. Cerchiamo, sta a noi scegliere se rimanere con Teseo, l’eroe, nel regime delle illusioni perfette o “affrontare il risveglio dell’intrattabile realtà”.
Ogni costellazione, è pur sempre un’isola.
Stiliana Milkova
Posted at 15:14h, 09 GiugnoBellissime riflessioni, grazie. Walter Benjamin fa riferimento al labirinto dell’infanzia e la sua Arianna (si veda “Infanzia berlinese”). Anni fa ho recensito il libro di Georgi Gospodinov “Fisica della malinconia” e mi sono soffermata appunto sull’immagine del Minotauro e sulla struttura labirintica della narrazione. Molto toccante e originale l’interpretazione dello scrittore bulgaro (come me) del Minotauro-bimbo e la sua sorte nella nostra contemporaneità. Grazie ancora. E complimenti! — Stiliana Milkova