08 Giu La creatura senza voce di Georgi Gospodinov
LA CREATURA SENZA VOCE DI GEORGI GOSPODINOV
intervista di Erika Nannini
traduzione di Sara Manuela Cacioppo
Morel, voci dall’isola, la rivista per la quale ho richiesto questa intervista si occupa della correlazione tra letteratura e immagini, Fisica della malinconia è un libro a mio parere visionario e sotto questo punto di vista con una marcata potenza evocativa. È corretto definirti uno scrittore le cui immagini anticipano la scrittura che ne consegue?
Oserei dire di sì. Non posso scrivere di una cosa se non riesco prima a immaginarla. Talvolta è indispensabile anche sentirne l’odore. In effetti, l’idea che soggiace al romanzo è il risultato di una scena peculiare, un ricordo infantile. Avevo 7 anni ed ero solo nell’unica stanza che avevamo nella nostra casa in affitto. Si fece buio, ma i miei non erano ancora rientrati. Allora, mi sedetti di fronte alla finestra dando le spalle alla stanza oscura. La finestra semichiusa dava sulla strada, abitavamo al pianterreno. Guardai i passanti, ma solo metà del loro corpo, le gambe e le scarpe, cercando di immaginare la parte superiore. Avevo paura, mi sentivo abbandonato. Poi, mi apparse l’immagine di un’altra creatura, la più sola di tutta la mitologia: il Minotauro, un ragazzino abbandonato nel buio, proprio come me. Così è nata Fisica della malinconia, dalla fusione di queste due immagini.
Il numero 1 della rivista sarà dedicato al mito di Arianna e il tuo libro, uscito in Italia per Voland, mi è sembrato interessante per il punto di vista che hai dato della figura del Minotauro, struggente e molto lontana dall’idea del mostro che siamo abituati a conoscere. Ci si dimentica di come chiunque sia stato, almeno per un momento, indifeso, non c’è mostro che non sia stato anche il piccolo di sua madre. Mi domando se per ricordarsene si debba aver dovuto fare pace con il mostro che portiamo dentro di noi.
Ho letto tutto ciò che sono riuscito a trovare sul Minotauro, dagli autori classici fino ad oggi. Non vi è alcuna interpretazione innovativa sull’immagine del mostro. Eppure, se leggiamo il mito con attenzione, forse con un pizzico di empatia, ci accorgiamo che si tratta solo di un bambino di 2-3 anni abbandonato, un bimbo con la testa di un toro rinchiuso nel “seminterrato” del re Minosse. Sulla copertina del romanzo vi è un’immagine, presa da un vaso (il vaso oggi si trova in Italia, tra l’altro), che raffigura Pasiphae col Minotauro ancora in fasce fra le braccia. Certo, ha la testolina di un toro, ma tralasciando per un attimo questo particolare notiamo come l’immagine somigli a quella di Maria col bambin Gesù. In fin dei conti, è proprio questo che fa la letteratura: se prima, per abitudine, avremmo visto solo un Minotauro, ora vediamo una persona terrorizzata, un bambino abbandonato. L’intero mito, invece, cerca di nascondere il peccato commesso dall’uomo trasformando la vittima in un mostro. Tornando alla tua domanda, sì, a un certo punto capiamo che noi siamo sia il labirinto sia il mostro all‘interno. Spesso, si tratta del nostro io infantile ormai dimenticato. Ecco perché, in uno dei possibili finali del romanzo, Teseo e il Minotauro parlano ed escono insieme dal labirinto. A volte, dovremmo solo tornare a parlare con quel bambino, che abbiamo ingiustamente trasformato in un mostro.
Nella mitologia classica, come fai notare nel romanzo, il Minotauro non parla mai, la testa di toro glielo impedisce, e in Fisica della malinconia, forse per la prima volta in assoluto, fa l’unica cosa che può realmente fare: muggire. Questo dettaglio mi ha fatto pensare a un’altra stranezza, ovvero al fatto che nella mitologia abbiamo la Sfinge e il Centauro, ma in entrambi i casi non viene impedito loro di esprimersi perché è il corpo ad assumere la forma di bestia, non la testa, che rimane umana. Ritieni che fosse importante, all’origine di questo mito, che il Minotauro non potesse assumere la propria difesa o una posizione diversa da quella che gli uomini gli hanno attribuito?
Sì, ed è per questo che il Minotauro è la figura più tragica di tutta la mitologia. Non avere una voce né una storia è la punizione peggiore. Nella mitologia ogni creatura, viva o morta che sia, ha la possibilità di parlare eccetto il Minotauro. Senza una voce è impossibile avere una storia. È dunque questo il livello più basso che una creatura vivente possa raggiungere e, in un certo senso, è anche un’allegoria della storia umana fino ai giorni nostri. Sia la mitologia che la propaganda sanno che se si vuole privare qualcuno della natura umana, basta derubarlo di una voce e di una storia. In tal mondo quella persona non è più nulla, diventa “nessuno”. Viceversa, se si vuole resuscitare qualcuno, basta dargli il diritto di parlare e di avere una storia. Un altro fattore essenziale è l’unico verso concesso al Minotauro: ‘Mooo’. Tale verso sia nella lingua degli uomini che in quella degli animali (a mio avviso) trova le sue fondamenta nella parola Madre.
In un passo del libro scrivi che è facile compiangere Icaro, stare dalla parte di Teseo o di Arianna, ma nessuno compiange il Minotauro. Compiangere il Minotauro è difficile perché è un mostro o perché è solo in una società in cui chi è solo deve trovarsi per forza anche dalla parte del torto?
Il Minotauro è l’Altro Assoluto, è la creatura nel buio di cui non riusciamo a vedere il volto con chiarezza. E se lo vedessimo, saremmo ancora più spaventati perché non è un volto, ma una maschera. Il fatto che non possa parlare peggiora le cose, è terrificante sul serio, non possiamo neanche negoziare con lui. Ma la cosa più spaventosa e imperdonabile di tutte è quella che non osiamo ammettere: siamo stati noi ad averlo ridotto così. L’adulterio di Pasiphae con il toro, la vergogna di Minosse, la sua idea di rinchiudere nel buio il figlio della trasgressione. Il Minotauro è figlio dei nostri peccati. È il peccato taciuto e nascosto che abbiamo deciso di non vedere. In genere, siamo abituati a chiudere questo genere di cose nel seminterrato del nostro subconscio. Invece, per poter provare empatia dobbiamo vedere il bambino abbandonato che c’è in quel corpo. Dobbiamo superare i sentimenti di paura e di disgusto che proviamo verso noi stessi, ammettendo di essere simili a coloro che hanno commesso l’ingiustizia… Ecco che ci riallacciamo alla domanda precedente: ognuno di noi deve imparare a comunicare col proprio Minotauro, il Minotauro che ha dentro.
In un passo del libro il tuo protagonista dichiara il suo odio per Arianna a causa del tradimento perpetrato nei confronti del Minotauro che in definitiva è sangue del suo sangue, suo fratello, sacrificabile in favore dell’uomo di cui si è innamorata. Adottando questo sguardo su di lei si potrebbe aggiungere che è solo uno dei tradimenti che eventualmente le si può imputare, in fin dei conti fuggendo con Teseo ha abbandonato e tradito anche la patria e il suo Re, suo padre. Ma sono livelli che hanno meno a che fare con il carattere del protagonista e il senso di abbandono e perdita che pervade tutto il romanzo. Qual è invece il punto di vista dello scrittore sulla figura di Arianna?
Non dimentichiamoci che Arianna (almeno nella versione di Ovidio in Eroidi) è l’unica che si rivolge al mostro chiamandolo “mio fratello, il Minotauro”, conferendogli così lo status di persona. Lo dice esattamente nella sua lettera a Teseo, dopo che anche lui l’ha tradita. Questo è un aspetto presente nel romanzo. D’altronde, il crimine commesso da Arianna non è che un crimine d’amore. Ciò che assume invece un ruolo fondamentale nel romanzo è il filo di Arianna. Soprattutto da un punto di vista tecnico in quanto svolge la funzione di collante temporale tra le diverse storie. Inoltre, la voce narrante e la sua “super-empatia” hanno la stessa funzione del filo. Vi è dunque una diversa interpretazione del mito che si ripercuote sul personaggio di Arianna, la quale appare semplicemente come la sorella del Minotauro, ma anche come colei che tiene il filo lungo il labirinto del libro, in modo che i lettori non si perdano nei suoi meandri.
In chiusura vorrei strapparti qualche parola sul tuo nuovo libro, Tutti i nostri corpi, appena uscito in Italia grazie a Daniela Di Sora e a Voland, una donna e casa editrice molto amata.
Il libro contiene 103 racconti brevi che vanno dalle tre parole alle tre pagine. È uscito subito dopo la quarantena, ma ha già avuto un’ottima risposta da parte del pubblico. È incredibilmente stimolante come la gente sia ancora affamata di storie dopo tutto quello che ha passato. Cosa potremmo desiderare di più. Durante una sessione di lettura online Daniela ha letto un racconto del libro che descrive una scena semplice, una cena, la cui frase conclusiva è: Non siamo stati creati per cenare da soli. D’improvviso è calato un silenzio tombale. Dopo tutto quello che abbiamo passato, le nostre azioni, i nostri racconti di vita semplice non saranno più così scontati. È per questo che il libro si cala perfettamente nel contesto odierno, almeno secondo la critica italiana.
Biografia
Nato a Jambol nel 1968, è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria. Con il suo esordio narrativo, Romanzo naturale (Voland 2007), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico che ne hanno decretato lo straordinario successo, e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in diciannove lingue.
Di Gospodinov Voland ha pubblicato la raccolta di racconti …e altre storie (2008) e il romanzo Fisica della malinconia (2013), con il quale nel 2014 è stato finalista del Premio Von Rezzori e del Premio Strega Europeo. Di lui è stato detto: “Definito il Milan Kundera della Bulgaria per i suoi viaggi nel mondo interiore, potrebbe essere accostato anche a Friedrich Dürrenmat per la sua riscrittura del mito del Minotauro, ma a ben vedere Georgi Gospodinov è uno scrittore unico.”
Angela Barlotti
Posted at 09:19h, 09 GiugnoComplimenti