La ragazza che sognava la libertà

La ragazza che sognava la libertà

Intervista a Clelia Lombardo

di Sara Manuela Cacioppo e Ivana Margarese 

 

 

Arianna racconta un processo di liberazione, è colei che nel distacco da Teseo, nonostante vacilli non si arrende fino a scoprire la sua potenza femminile accanto al dio che danza, Dioniso.

Allo stesso modo Lia Pipitone, delicata protagonista del romanzo di Clelia Lombardo La ragazza che sognava la libertà (Gruppo editoriale Raffaello, 2020) si distacca dal mondo in cui cresce alla ricerca di libertà. Così, se ad Arianna, Dea e donna, è concessa la vita eterna, a Lia è data la bellezza immortale di colei che ha lottato per essere se stessa ed esprimere ciò in cui credeva. Come ci dice Clelia Lombardo in questa intervista:

Cercare la bellezza fa da salvagente quando stai per annegare, quando non sai chi sei o chi stai diventando. Essere se stessi è un ricerca che dura tutta la vita, è una delle cose più difficili ma non fermarsi davanti agli ostacoli è la prova che lo si vuole veramente.

 

 

S.M.C: Nelle prime pagine Caterina racconta che il padre, stimato giornalista, ama il suo mestiere perché capace di “spingere le persone a vedere”. Grazie al tuo romanzo molti sono entrati nell’intimo di Lia, l’hanno conosciuta come non avevano mai fatto prima. La notizia plastica sullo schermo del televisore appare su carta con una nuova vitalità, è il potere della parola viva che rende la notizia “umana”, permettendoci di vedere, al di là del fatto, la persona. È questo per te la scrittura una  ̶   visione autentica  ̶̶  ?

Non è certo facile dire cosa sia per me la scrittura poiché si alimenta di desideri e visioni, di richiami del passato e di impegno per il futuro ma di sicuro posso dire che mi anima la ricerca di una visione autentica delle cose, che non necessariamente coincide con la verità laddove per verità intendiamo una versione incontrovertibile e assiomatica della realtà. Nella scrittura si compongono elementi che hanno a che fare con stratificazioni dell’esistenza, dimensioni inconsce e reali, esperienze vissute e combinazioni ipotetiche ma c’è in me una forma di rigore, di salvaguardia della coerenza che mantengo anche nello scrivere. Non potrei imbrogliare, soprattutto se, come nel caso di questo romanzo, il tema è drammatico e delicato. Per questo ho cercato di mantenere una forma di rispetto nei confronti di Lia Pipitone che, credo, dentro di me sia andata al di là della morte. Ua visione autentica è per me un atto necessario e sono convinta che lo sia anche per chi legge.

S.M.C: La storia è narrata dal punto di vista di una bambina di dodici anni, ancora estranea alle brutalità del mondo, ma affamata di curiosità. La vicenda giornalistica si trasforma così in un racconto comprensibile ai più piccoli. Spesso si tende a escludere la gioventù dalla conoscenza del male sociale o, per meglio dire, di dar loro una visione distorta e lontana degli accadimenti, come se ne fossero estranei. Il rapporto che invece Caterina intrattiene con i genitori mette in luce come la comunione della conoscenza sia un atto necessario, sottolineando l’importanza di mostrare ai bambini la verità delle cose, anche se con parole semplici, con una lingua a loro congeniale, ma senza esclusioni o sconti. Credi fermamente in questo principio educativo fondato su verità e parità intellettuale?

Il personaggio di Caterina incarna una mia convinzione e cioè che i bambini, i ragazzi e le ragazze hanno diritto anche loro a una conoscenza sincera e autentica. È necessario saper raccontare tenendo conto sia della loro età che del loro immaginario spesso trascurato dagli adulti. La gioventù non è un’età della stupidità, anzi, ci si fa mille domande, le incertezze sono talmente tante, le pressioni dall’esterno sono così forti e continue che i giovani hanno bisogno di trovare qualcuno di cui fidarsi e la fiducia è fatta anche di coraggio nel dire le cose come stanno. Nello stesso tempo bisogna accompagnare la durezza dei fatti con un impeto di convinzione. Come per dire: Dai, ce la fai, anche tu puoi farcela! Ecco, io credo che Caterina sia un personaggio che può mettersi accanto ai giovani e fare con loro un pezzo di strada.

S.M.C: Il romanzo termina con un atto di coraggio di Caterina che porterà alla messa in scena di una performance scolastica dedicata a Lia. Un omaggio a una giovane che non si è voluta sottomettere a imposizioni familiari e sociali e che solo nel 2018 è stata dichiarata vittima di mafia a seguito di lunghe indagini e battaglie legali. Caterina cresce mano nella mano con Lia ed è proprio grazie a lei che acquisirà maggiore sicurezza in sé stessa: “Se una cosa mi ha insegnato Lia è proprio che bisogna parlare, avere coraggio e parlare.”La ragazza che sognava la libertà pone in essere l’avvicinamento dei giovani alla storia collettiva, dimostrando come si possa trarre insegnamento dal passato e persino ricavarne forza. Lia appare fra le pagine come un’assenza che si fa presenza. Chi continua a essere per te Lia e come la storia di questa ragazza valorosa ha cambiato la tua vita?

L’ho affermato molte volte e non mi stanco di ribadirlo: abbiamo bisogno, giovani e meno giovani, di memoria attiva, una memoria che ci ricordi chi siamo stati, che costruisca una consapevolezza non arrogante, un modo di stare al mondo che sia colmo di dignità e pensiero critico. La storia di Lia mi ha permesso di scavare dentro di me per portare alla luce queste idee, per riuscire a dire che è necessario non chiudere gli occhi, non considerare il passato come materia inerme ma viva che può indicarci cosa fare, chi essere in ogni circostanza. Lia mi ha permesso di chiarire questo a me stessa e di trovare la convinzione necessaria per raccontarlo e le sono grata. Potrà sembrare strano ma per me è come se fosse viva anche lei.

 

I.M: “In Lia c’era della bellezza, e desiderava esprimerla, a tutti i costi. Nonostante le imposizioni, il controllo, gli impedimenti, l’oppressione familiare”. Questa frase l’ho trovata fortemente significativa perché pone l’accento sulla bellezza dell’essere se stessi e dell’essere liberi di esserlo.

Anche questa è una mia convinzione ben salda. La bellezza, come diceva Peppino Impastato, è una forma di salvezza, chi non la riconosce e quindi la mortifica, la distrugge, uccide anche una parte di sé. Penso spesso a chi fa dei luoghi in cui vive dei campi di battaglia di affari loschi, di distruzione dell’ambiente, di rovine di patrimoni artistici di valore incommensurabile e penso a quanto queste stesse persone tolgano ai propri figli. Certo, vivere in condizioni economiche e sociali che non forniscono gli strumenti per coltivarti, che non consentono di scegliere liberamente pone una questione politica enorme ma si può cercare di esprimere se stessi in tanti modi. Cercare la bellezza fa da salvagente quando stai per annegare, quando non sai chi sei o chi stai diventando. Essere se stessi è un ricerca che dura tutta la vita, è una delle cose più difficili ma non fermarsi davanti agli ostacoli è la prova che lo si vuole veramente. E questo è un grande insegnamento per i giovani.

I.M: Il corpo ritorna più volte nel testo: il corpo adolescente di Caterina, quello ancora avvenente della madre che spesso viene scoperta a coprirsi, i corpi di coloro che protestano in piazza e il corpo ferito a morte di Lia Pipitone.

Nella mia scrittura, nelle mie opere, il corpo compare sempre. Innanzitutto siamo corpi, siamo carne e quello che proviamo, che agiamo, si manifesta nel corpo, passa dal corpo. Non siamo di certo indenni dalle preoccupazioni così come dalle gioie che il corpo ci procura. Non c’è scrittura, per me, che non dichiari il punto di vista di chi scrive rispetto al corpo. Mi piace raccontare degli adolescenti, dei più giovani, anche perché le trasformazioni del loro corpo ci dicono delle metamorfosi a cui tutti noi siamo soggetti, a quel continuo stare e non stare in una forma che tenendoci vivi ci disorienta. A quel tendere degli opposti di vita e morte che ci abita in ogni istante.

I.M:La stagione delle stragi fu anche il tempo delle donne”. Potresti spiegare meglio questa affermazione?

In questo romanzo volevo che comparisse l’azione delle donne, delle tante che fanno la storia a tutti i livelli e che spesso rimangono nell’ombra o vengono dimenticate. L’anno delle stragi vide molte donne impegnate nelle iniziative collettive, dall’idea di Marta Cimino nacque il Comitato dei lenzuoli e dopo la strage di via D’Amelio alcune donne iniziarono il digiuno a Piazza Politeama. Gli eventi di allora accendono una luce molto forte che richiama l’agire delle donne, il corpo delle donne come corpo collettivo decisivo nel tessuto sociale. Volevo mostrare quanto la nostra cultura, anche quella di tutti i giorni, sia spesso mancante, monca e quindi falsificata. Volevo che questo fosse uno dei temi che la storia di Lia Pipitone potesse raccontare.

 

I.M: Nel romanzo attraverso la protagonista Caterina, oltre che la presenza attenta dei genitori, si rintraccia il valore della scuola, come rifugio ma anche come luogo di confronto e di esperienza.

La scuola è un luogo di vita, ha un valore umano talmente alto da costituire un atto politico. Non è di certo una novità affermare che l’istruzione, la conoscenza, la cultura intesa come possibilità di confronto e di dialogo cambino i comportamenti e la vita delle persone. La scuola raccoglie le esistenze delle famiglie, svela conflitti, violenze, sofferenze, povertà, ricchezze e creatività inimmaginabili. È un luogo in cui si può trovare ascolto e riparo, speranza e ottimismo, nonostante le enormi difficoltà e la mancanza di interesse di molti ragazzi per lo studio. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano. È un luogo in cui anche gli adulti possono imparare moltissimo. È talmente chiaro tutto questo che investire sulla scuola, anche nei quartieri più disagiati, dovrebbe essere una delle priorità di uno Stato democratico e civile. Dovrebbe.

 

E mi viene un po’ da piangere.

– Non è giusto, mamma, non è giusto quello che le hanno fatto.

– No, non lo è! Come un fiore che si strappa. Ma la sua bellezza,

Caterina, quella non gliel’hanno tolta. E non lo faranno mai.

 

Biografia

Clelia Lombardo vive a Palermo dove insegna materie filosofiche e scienze umane in un liceo. Ha compiuto studi classici e si è laureata in Filosofia all’Università di Palermo.

Fa parte delle associazioni Piccoli Maestri e Luminaria. Ha partecipato a diversi progetti culturali e letterari tra cui: La Triscele che scrive; Il borgo delle storie, con Naxoslegge e il comune di Motta Camastra; L’officina dell’orca. Nel centenario della nascita di Stefano D’Arrigo, con Naxoslegge e il Comune di Alì Terme.Cura il blog parole periferiche. Ha pubblicato opere in poesia e racconti, tra cui Signora delle scarpe (ed. Il Vertice); Nuvole (ed. Il Gabbiano); L’orologio del Piave, in Sibille (Ed. Arianna); Pane e zucchero, in Il borgo delle storie (A&B Editrice); Da questo luogo da questo tempo, lettera a Giulia, in Lettere a Maria Occhipinti (Ed. Arianna). Il romanzo La ragazza che sognava la libertà (Gruppo Editoriale Raffaello, 2020) ha ricevuto il Premio Rita Atria, Kaos Festival 2020. Ha anche scritto molte opere teatrali, tra cui Labirinti; Ecuba e le altre (Ed. Arianna, 2013); i monologhi Il sogno di Maria, La donna senza nome e Amelia; l’opera Andromaca ha ricevuto nel 2014 il Premio Efesto – Città di Catania.

 

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