IL CORTILE DELLE DONNE ERA UNA COSA SACRA

IL CORTILE DELLE DONNE ERA UNA COSA SACRA
di Francesca G. Marone

 

 

Di quel tempo in cui le parole avevano un senso pieno mi restano poche fotografie e tanti nomi sulla punta della lingua. Da bambina avevo un modo tutto mio di usare le parole e non amavo essere corretta. Era il tempo della campagna dei nonni: “Amorosi”, io ero convinta che il nome al paese lo avesse dato la nonna perché era luogo delle relazioni amorose, era paese d’amore. La mattina, mettevo i piedi giù dal lettone della camera gialla, seguivo come Alice il Bianconiglio, un profumo di buono, attraversavo lunghi corridoi e pavimenti traballanti, per sbucare in cucina dove nonna scaldava latte e caffè. Sul tavolo trovavo il premio: i Primatini, i biscotti comprati da zia Ina, la sorella della nonna. È seduta anche lei nel bianco e nero dei ricordi. Andava in piazza con il suo trolley a scacchi e, attaccato al cappotto con la spilla da balia, un borsellino che fungeva da posacenere per la sigaretta. Zia Ina fumava col bocchino nero e strizzava gli occhi da gatto arruffato. Una foto è piena di odori anche. Accosto le narici alla carta sciupata.

Il cortile delle donne è diventato uno spazio sacro. Nei primi tempi le auto si potevano mettere all’interno ma poi è stato deciso all’unanimità di parcheggiare fuori dalla dimensione privata. Il cortile è il pianeta della nonna, le zie un poco stralunate fanno da satelliti, la piccola stella solitaria è mia madre con i suoi occhiali scuri. Io la guardo sempre mentre vado in bicicletta e sto attenta a non cadere, non sono ancora bravissima, ho tolto le rotelline da poco. Loro sono le donne della famiglia, parlano e ridono, fanno battute segrete, solo la stella solitaria non ride mai. Io cerco di imparare parole nuove, serviranno quando sarò donna.

La mia madeleine è un insetto in cortile e ogni volta che lo incontro mi dice di donne impastate di passione. Mamma toglie gli occhiali e sussurra “guarda quant’è strana, dopo che si è accoppiata col maschio lo divora, poi incrocia le zampette come un prete ” e io resto ad ammirarla mentre tutti dicono “che schifo mandala via!”. Quella per me è “l’amantide religiosa”, e ancora adesso se leggo mantide credo che abbiano sbagliato a scrivere. Le donne della mia famiglia hanno mangiato la vita a morsi, sempre, dopo aver fatto l’amore con lei. Fossi stata un’indovina, come una mantide l’avrei presa per mano per farla brillare, la mia piccola stella solitaria, portandola a ridere nei campi, le avrei donato un’altra vita, non quella che gli anni le hanno dato e che lei presagiva in cortile, ma allora, al tempo delle parole inventate, io non ero neppure nata.

 

Biografia

Francesca G. Marone sociologa, counselor e mediatrice familiare, già laureata in Scienze politiche, vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato racconti e poesie in antologie per varie case editrici, Perrone, Nottetempo, Centoautori. Il suo blog di recensioni letterarie è Letteralmentelive.wordpress.com, collabora saltuariamente dal 2008 al blog “Letteratitudine”. Il suo romanzo, segnalato al premio Calvino 2014 con la menzione “per il lacerante scandaglio di un’interiorità femminile” è “Poche rose, tanti baci” pubblicato da Castelvecchi editore nell’ottobre 2017. Un suo racconto dal titolo “Sibilla” compare nell’antologia “Madame Europa” edita da Fusibilia. Il suo nuovo romanzo è di prossima pubblicazione. Coordina il gruppo di lettura a Napoli Conversazioni letterarie ed è nel consiglio direttivo della libreria locisto.

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