Oracolo manuale per poete e poeti. Intervista a Giulio Mozzi e Laura Pugno

Oracolo manuale per poete e poeti. Intervista a Giulio Mozzi e Laura Pugno

(Disegni di Sebastian Kudas).

di Ivana Margarese

 

 

Comincio con una domanda sul titolo Oracolo manuale, che seppure esplicitatamente riprenda l’Oráculo manual y arte de prudencia, del gesuita Baltasar Gracián,  pubblicato nel 1647, rimane un ironico paradosso perché riporta la dimensione oracolare e quindi sacra a un uso strumentale e pratico. Come è nata l’idea di questo titolo?

Giulio: La colpa è mia. Quando, ormai un anno fa, con Patricia Chendi, editor di Sonzogno, cominciammo a cercare un titolo per il primo Oracolo manuale, quello per scrittrici e scrittori, vagammo a lungo tra cose macabre come Pronto soccorso per scrittrici e scrittori, o Kit di sopravvivenza, o la banalissima Cassetta degli attrezzi. Poi mi venne in mente Baltasar Gracián – io sono un appassionato della letteratura barocca – e non ci fu più partita. Ovviamente ci divertiva l’idea di fare un libro che si proponesse sia come “oracolo” sia come “manuale” – due cose antitetiche –, anche “manuale” va ovviamente interpretato come aggettivo: che sta in una mano.

 

Laura: Possiamo dire che sta diventando un format. Il che apre prospettive interessanti sull’idea di serialità come forma, prima che come contenuto.

«Questo libro è un gioco» e «Questo libro non è un gioco». Dichiarate entrambe le cose rendendo la lettura più vicina alla vita che spesso porta a far convivere affermazioni opposte con veridicità di entrambe. 

Giulio: Semplicemente, abbiamo suggerito due diversi modi di leggere – o di usare, se preferisci – il libro.

Laura: Questo libro è, in effetti, entrambe le cose. Da una parte ha un aspetto ludico evidente, nel presentarsi, ironicamente, come un “libro delle risposte”, e grazie anche agli antiretorici gatti del nostro illustratore Sebastian Kudas, già collaboratore di Wisława Szymborska, che fa con l’immagine del gatto in poesia esattamente ciò che è saggio fare con la tradizione: studiarla a fondo, e poi, se si vuole, rivisitarla in modo assolutamente personale, straniando lo sguardo, e magari cercando di coglierne il fondo di durezza, oppure allontanarsene in libertà; del resto, a trovare l’uno nel molteplice e il molteplice nell’uno arriva ogni strada, ogni scuola di poesia. Il pensiero poetico, nel suo riunire – finalmente! – corpo e mente, anzi nel suo essere prima di ogni separazione, è l’antidualismo per eccellenza. Dall’altra, è un testo serissimo di teoria letteraria, presentata nelle sembianze, tra morbidezze e carta Kraft, di una formazione di compromesso

Mi piacerebbe un commento sul vostro scrivere a quattro mani.

Giulio: È stato facile. Ci conosciamo da una vita, ci intendiamo benissimo. Ci siamo divisi il lavoro, e via. Ci è bastato vederci un paio di giorni, all’inizio. Le “massime”, quelle sulle pagine destre, l’ossatura del libro, il suo “progetto poetico” potremmo dire, sono al 90% di Laura; e così pure i brevi “lampi” in corsivo sulle pagine sinistre. Io mi sono occupato soprattutto dei “commenti”.

Laura: Il nostro è stato una sorta di montaggio alternato. Ci conosciamo da moltissimo tempo, eravamo entrambi ragazzi, nonostante dieci anni di differenza d’età, quando ci siamo incontrati e siamo diventati amici. Due ragazzi che desideravano, in modi diversi, una vita con la scrittura, nella scrittura. C’è uno scherzo ricorrente tra noi, che vuole che di un futuro ipotetico romanzo a quattro mani, io debba scrivere la trama e Giulio le scene. In un certo senso, questo libro è quel romanzo. Per altro, Giulio, dopo una vita a insegnare scrittura scrivere racconti, sta per esordire di nuovo nel romanzo. New skin for the old ceremony?

Giulio: Si fanno sempre dei primi passi, come dice una delle famose Oblique Strategies di Brian Eno.

«Il noi, questo sconosciuto. Quante cose ci puoi fare, a cui non hai mai pensato? Poesia collettiva, poesia corale. C’è tutto un mondo, là fuori, ci sono gli altri. Con la sua voce, unica e privata, il poeta fonda la comunità».

Laura: Rispondo con una citazione dal mio primo saggio, In territorio selvaggio, che è uscito due anni fa per Nottetempo e da cui sono scaturite tutta una serie di scritture a cui non avevo mai pensato prima, quel pensiero col corpo che è la scrittura. Non a caso, il sottotitolo di In territorio selvaggio è Corpo, romanzo, comunità:

«Hai, tu, una comunità? Risponderesti di no. La desideri?
«Sí. Ci sono poche cose che ho desiderato più di una comunità. Ci sono anche poche cose che ho temuto di più. Tra l’uno e i molti, i molti non è mai naturalmente il mio luogo. Posso anche far bene il mio lavoro con i molti, ma resta una performance. Prima o poi devono spegnersi le luci.
«La domanda della felicità non ha mai cessato di porsi».

Giulio: Pensiamo al doppio senso che ha un’espressione come “lingua comune”: può significare sia una lingua meramente funzionale, di scambio, referenziale; sia una lingua della comunione, lingua che mette in comunicazione (sono tutte parole dalla medesima radice) le persone. E quindi fonda le comunità.

A un certo punto del testo invitate il lettore/ poeta a domandarsi: Che cosa direbbe tua zia? Qual è il legame tra sincerità, coraggio e poesia? Non a caso nel libro consigliate al lettore di farsi una gabbia di libertà.

Giulio: Il coraggio è tutto.

Laura: Se il lavoro con la poesia è stato fatto fino in fondo – ma lo direi di ogni partita con la scrittura giocata fino in fondo, come se fosse un duello – è probabile che sconcerti che ci sta accanto, e questo indipendentemente dal fatto che si pratichi o meno una scrittura autobiografica, o che si cammini sul filo di lana dell’autofiction. Proseguo dicendo che ogni libertà, anche in scrittura, è, come si sarebbe detto un tempo, “gettata nella finitezza”, e quindi fatta di scelte, tra cui le non scelte: le decisioni inconsapevoli, e quindi attuate a un livello profondissimo. Tutto il libro mira a questo: diventare consapevoli di ciò che si fa in scrittura, quindi, conoscersi, riconoscersi. Scegliersi e scegliere.

Oltre alle parole nelle poesie ci sono immagini da vedere, odori da annusare, suoni da ascoltare. Parole, immagini, odori, suoni, cooperano tutti nella creazione poetica a far passare il medesimo significato.

Giulio: A volte succedono cose strane. Per esempio, la mia memoria musicale è visiva. Non nel senso che ricordo le partiture – le so leggere appena – ma nel senso che i suoni nella mia memoria rimangono come macchie e movimenti e trasformazioni di colore. La mia sensibilità all’architettura è una sensibilità allo spazio più che agli edifici – mi fanno impazzire gli spazi michelangioleschi, le tombe dei Medici, la piazza del Campidoglio. La mia immaginazione della scrittura è ginnica, nel senso che per me scrivere è compiere il gesto dello scrivere, non ideare serie di parole. E suppongo che ciò che avviene a me avvenga, in forme diverse, ad altri.

Laura: La poesia non descrive, è, con tutti i cinque sensi e qualcuno in più.

«A te stesso, all’espressione di te, ai tuoi poeti preferiti, alla maniera, alle convinzioni che non sai di avere, e a tutto il resto, nel mondo fuori, a cui prima o poi dovrai dire addio. Prima di scrivere, o in scrittura, o dopo aver scritto. Poi vedi cosa cambia, cosa si libera, cosa comincia a muoversi».

Giulio: Per scrivere, bisogna aver scritto; nel momento in cui ci si rilegge si scopre un mondo che non si conosceva: sé stessi, il proprio corpo, la propria memoria più o meno volontaria.

Laura: La maniera, e prima di tutto la maniera di sé, il corso più facile che seguirebbe l’acqua, in poesia è sempre un pericolo. Si è più o meno in guardia a seconda che si viva in un’epoca in cui prevale, nell’idea generale di poesia, una codifica individuale (ossimoro!) o una codifica in comune, per esempio oggi noi viviamo in tempi in cui la marea e i venti stanno cambiando, dalla prima tendenza alla seconda. Spesso è utile lavorare contro la propria inclinazione immediata, per esempio la mia, evidentissima per chi abbia occhi per vedere, inclinazione alla lirica.

«L’indicibile è provvisorio». Come ci si muove nella distanza tra dicibile e indicibile, tra ciò che accade e ciò che svanisce? E che valore etico ha questa formula per poeti?

Laura: Di recente, riprendendo in mano testi scritti molti anni fa – sia di prosa, per altro, che di poesia, mi è capitato qualcosa di sorprendente. Era percepibile, nel testo, l’emozione legata a un episodio vivo, di vita: solo che quell’episodio, allora così importante, doloroso, creduto decisivo, io l’avevo dimenticato. Restava solo il testo, ed è giusto così. È sempre così del resto, nella storia. L’opera lasciata sola, per parafrasare il titolo di un libro di Cesare Viviani. Sono le ossa biancheggianti di cui parlo sempre in In territorio selvaggio citando Giorgio Vasta, che a sua volta cita Antonio Franchini:
«C’è una citazione che ti accompagna da molto tempo, il file di Word in cui l’hai salvata è del 2003, ed è di Giorgio Vasta. Originariamente il testo era sul sito HoldenLab, ed è questo: “C’è un libro, inclassificabile, bellissimo, di Antonio Franchini, Quando vi ucciderete, maestro? (Marsilio 1996), che racconta di combattimento e letteratura, delle loro somiglianze e della loro diversità, del corpo che si scontra e del corpo che soffre. In questo libro si parla di ostea leukà, “ossa biancheggianti”, e leggendo ci si accorge di trovarsi di fronte a una profondissima intuizione. Si tratta di questo: così come, nell’antichità, del corpo dei guerrieri greci caduti in battaglia e bruciati sulle pire, al dissolversi dei tessuti, della muscolatura, degli organi interni, sopravviveva, ancora immerso nel fuoco, solo un residuo biancheggiare d’ossa, ugualmente, l’esperienza della lettura – più esattamente della memoria della lettura, della memoria di una narrazione – dissoltasi l’impalcatura della trama, il contesto, la forma dei personaggi, genera, a suo modo, altre ossa biancheggianti, frammenti di memoria, microimmagini, istantanee (ma anche odori, rumori – riflessi sensoriali). Le ossa biancheggianti sono quindi “quel che rimane”, via tutto il manto degli aggettivi e dei verbi, le finezze dello stile”. Quel che rimane, le ostea leukà, le ossa biancheggianti sono l’ossessione, i pochi nuclei incandescenti a cui torniamo una e un’altra volta. L’idea che siano là fuori, ciò che rimane della mappa quando il territorio è bruciato».

Biografie

Fotografia di Francesco Terzago

Giulio Mozzi ha pubblicato alcune raccolte di racconti (tra cui La felicità terrena, Einaudi 1996, nella cinquina del Premio Strega, e Favole del morire, Laurana 2015); il poema Il culto dei morti nell’Italia contemporanea (Einaudi 2000) e i libri in versi Dall’archivio (Aragno 2014) e Il mondo vivente (LietoColle/Pordenonelegge, in uscita a settembre 2020). Con Stefano Brugnolo ha compilato due fortunati manuali: Ricettario di scrittura creativa (Zanichelli 2000) e L’officina della parola (Sironi 2015). Nel 2018 ha pubblicato l’Oracolo manuale per scrittori e scrittrici. Dal 2011 dirige a Milano la Bottega di narrazione (bottegadinarrazione.com).

 

 

Laura Pugno (Roma, 1970). Tra gli ultimi libri, i romanzi La metà di bosco, Sirene e La ragazza selvaggia, Marsilio 2018 2017 e 2016; il saggio In territorio selvaggio, Nottetempo 2018, e, in poesia, L’alea, Perrone 2019, e I legni, Pordenonelegge 2018. Ha vinto il Premio Campiello Letterati, il Frignano Narrativa, il Dedalus e il Libro del Mare. Collabora con L’Espresso e Le parole e le cose e co-cura la collana “I domani”dell’editore Aragno. Ha ideato il Festival diffuso di poesia e scrittura I quattro elementi e la Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea. Nel 2020 pubblica l’Oracolo manuale per poete e poeti (Sonzogno) con Giulio Mozzi e, a settembre, la plaquette “Noi” per Amos/A27. Dal 2015 al 2020 ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.

 

Sebastian Kudas (1978) è un artista grafico polacco. Lavora come scenografo e assistente alla regia per spettacoli teatrali; in particolare, dal 1995 ha curato decine di scenografie, anche per le tournée europee ed americane, del celebre cabaret Piwnica pod Baranami di Cracovia (www.piwnicapodbaranami.pl/). Collabora come disegnatore con giornali e riviste. Tra le molte pubblicazioni che ha illustrato, gli Epitafia di Wisława Szymborska.

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