08 Set Anatomia della solitudine
Anatomia della solitudine
di Giovanna di Marco e Ivana Margarese
“Ho trascorso la vita in solitudine e a vagabondare più di chiunque altro abbia mai conosciuto. Perché questo sia vero, o perché sia accaduto, non so dirlo; eppure è così”.
Comincia con queste parole Anatomia della solitudine, il racconto di Thomas Wolfe, tradotto recentemente da Dafne Munro per Urban Apnea.
Un testo seduttivo già dal titolo che oltre a ricordare un’altra celebre anatomia, quella della irrequietezza, scritta da Bruce Chatwin, promette di scandagliare e scomporre una condizione propria della esistenza umana, che, come scrive lo stesso autore, piuttosto che essere “un raro e curioso fenomeno che riguarda me e pochi altri, sia il nucleo centrale e inevitabile della vita”.
Per parlare della solitudine Wolfe ricorre a una celebre figura dell’Antico Testamento: Giobbe, l’espressione più “tragica, sublime e bella” della solitudine umana. Le fatiche a cui viene sottoposto Giobbe non smettono tuttavia di fare di lui un uomo che ama la vita e che sa apprezzarne la gioia. Giobbe peraltro non ha smesso di essere una figura che ricorre spesso nella letteratura, anche nell’intento di riattualizzare il personaggio biblico calandolo nella realtà contemporanea.
Possiamo citare come esempi due scrittori di origine ebraica: Joseph Roth e Philip Roth. Il primo, nel suo Giobbe ci narra di un uomo semplice che perde tutto ma che ritrova l’armonia e la possibilità di rinascita attraverso il figlio più debole, quello nato deforme; il secondo in Pastorale americana, racconta la caduta dello Svedese, un uomo dalla vita apparentemente perfetta, che assiste alla distruzione di tutto ciò che aveva creato, cercando però di resistere e di non soccombere al suo tragico destino. Il personaggio di Giobbe, quindi, come la ginestra leopardiana, ci consola del deserto e ci riporta al nostro destino di fronte alla solitudine che a nessun uomo si nega.
Secondo Wolfe, il libro di Giobbe non è dunque, come si potrebbe credere, una narrazione triste e angosciante ma “ tormentato canto di eterno dolore che esulta di una gioia imperversante”. In questo non vi è nulla di paradossale, ma solamente ciò che è inevitabile e giusto: il senso della morte, della solitudine e il peso del dolore producono al contempo la consapevolezza della bellezza nella tensione continua all’accettazione e al superamento. Non a caso infatti nella tradizione iconografica bizantina, Giobbe veniva rappresentato come l’unico personaggio dell’Antico Testamento che, come in una visione, già da vivo assisteva al mistero della Resurrezione:
Come il cavallo che si appresta alla battaglia
Scalpita baldanzoso nella valle,
gioisce della sua forza,
si slancia tra uomini armati.
Spezza la paura, non la teme.
Non si tira indietro di fronte alla spada.
Per comprendere meglio il testo abbiamo deciso di fare qualche domanda a chi lo ha tradotto, la coeditrice di Urban Apnea, Dafne Munro.
Come vi siete imbattuti nel testo di Thomas Wolfe?
Quasi tutti i nostri autori a diritto scaduto vengono scovati con gran fiuto dal mio socio Dario Russo e anche in questo caso è stato così. Molto spesso un autore ci porta a un altro perché erano amici, compagni o antagonisti, le storie sono spesso intrecciate e noi ne approfittiamo.
Vi invito a vedere Il film sulla vita di Wolfe che danno su Netflix dal titolo Genius.
In che modo questo racconto si sposa con la filosofia della vostra casa editrice, Urban Apnea?
La filosofia della casa editrice è di riportare alla luce autori di grandissimo pregio dimenticati, caduti ingiustamente nell’oblio. In questo caso siamo di fronte a un autore geniale, a un gigante, anche se ho paura a usare queste parole oggi così abusate e quindi svuotate del loro profondo significato. Ma in questo caso faremmo un grave torto a Wolfe se non le spendessimo.
Un traduttore prima e più degli altri si confronta con lo stile di un autore. In che modo lo stile di Wolfe riflette il suo pensiero?
Questo racconto affronta il tema della solitudine del sentirsi alieni e al contempo compagni di destino nella “tragedia della vita” per usare le stesse parole di T. Wolfe.
Non percepisce amarezza, neanche nella solitudine più radicale, e mentre ci racconta che la solitudine è soprattutto ricchezza, è scoperta di sé, ascolto della propria voce interiore, lo esprime con una tale dolcezza attraverso la lingua unica, una dolcezza difficile da restituire, ho impiegato giorni nel dubbio di questa o quella parola. Wolfe ha una scrittura densa e di grande ritmo che passa da note dolcissime a note dolenti, ci trasporta nei sui abissi e nella sua gioia con sapienza massima. Certi passaggi riportano alle sue letture, a quelle letture che sono capaci di farci impazzire e di cambiarci, e che più che rimanere ricordi cui attingere, diventano fiaba, guerra, pittura, poesia, ricordi come demoni preziosi.
Anatomia della solitudine è uno dei racconti più belli che abbia mai tradotto ad oggi.
L’autore cita più volte Giobbe e la sua tragica vicenda. Qual è il tuo rapporto con questa figura?
Ho comprato la raccolta di tutti i racconti di Thomas Wolfe poco prima di ripartire da Seattle. Durante il viaggio di ritorno ho cominciato a dare un’occhiata. Ho cominciato a leggere proprio questo racconto per via del titolo. Ma, quando dopo poche pagine, ho incontrato tutti i riferimenti e le riflessioni sul libro di Giobbe ho capito che era il racconto che stavo cercando. Sono letteralmente ossessionata da anni dalla figura di Giobbe e c’è una analogia nel modo in cui lo avevo letto da ragazza e il modo in cui Wolfe dice che viene letto dalla maggior parte della gente. Ovviamente facevo il tifo per il pugno levato contro dio. Pensavo finalmente reagisce di fronte alle sventure che gratis gli piovono in testa senza neanche una ragione, pur non dovendo pagare alcun fio. La gratuità del male che subiamo è una questione che fin da piccola mi ha tormentato, e ci sono voluti anni prima che la mia lettura del libro di Giobbe si aprisse a prospettive diverse, come quella che ci offre Wolfe, ma se volete sapere quale sia, vi invito a scaricare e a leggere il nostro racconto.
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