02 Nov Lo sguardo della Pizia
Lo sguardo della Pizia
di Ivana Margarese
Perché gli dei amano l’enigma, e
a essi ripugna ciò che è manifesto.
Upanishad
Siamo debitori di un gallo ad Asclepio:
pagate il debito, non trascuratelo.
Platone, Fedone
La Pizia è la figura oracolare femminile più celebre della antica Grecia, una donna chiamata a farsi spazio per la manifestazione sonora della sapienza del dio. La sua voce, come avviene per Cassandra o per le baccanti, non è espressione di colei che la produce, ma piuttosto medium di un altro soggetto, il divino Apollo, che si serve della Pizia per essere ascoltato. Sulle tracce della sacerdotessa delfica è possibile recuperare le origini della sapienza greca e dell’arte di discerne il futuro, la mantica, che Platone nel Fedro collega alla “mania”, alla follia profetica. A Delfi, scrive Giorgio Colli ne La nascita della filosofia, si manifesta la vocazione dei Greci per la sapienza intesa come divinazione :
Sapiente non è il ricco di esperienza, chi eccelle in abilità tecnica, in destrezza, in espedienti, come lo è invece per l’età omerica. Odisseo non è un sapiente. Sapiente è chi getta luce nell’oscurità, chi scioglie i nodi, chi manifesta l’ignoto, chi precisa l’incerto.
Il nome (ἡ Πυϑία) deriva da Pitone (πύϑων), il serpente o dragonessa, guardiana della fonte Castalia, uccisa da Apollo, sepolta e lasciata marcire (pýthēsthai) sotto l’omfalo delfico, una pietra a forma di uovo che probabilmente indicava il centro della terra. Questo legame con la terra viene mantenuto anche nella rappresentazione della sacerdotessa che vaticinava seduta su un tripode avvolta da fumi e vapori, fenomeni del mondo sotterraneo. Elémire Zolla in Le potenze dell’anima spiega come in Egitto il serpente fosse considerato un animale guida in quanto mediatore fra opposti, simbolo di rigenerazione e matamorfosi, e come il sole stesso avesse forma di serpente con testa di falco. Varrone parla invece di una identità tra Proserpina, la luna e il serpente perché il corso della luna è a serpentina. Al figlio di Apollo Asclepio, il guaritore, appartiene nel mito il simbolo del serpente. La sua vicenda è legata inoltre a quella dell’unica Gorgone mortale, Medusa dalla chioma di serpenti, perché ne riceverà il sangue di cui si serve per l’uccisione o la salvezza degli uomini dalla dea Atena. La presenza di un culto originario femminile, ctonio e oracolare si connette alla tradizione dell’esistenza di un chásma o di una grotta in cui la Pizia scendeva a profetizzare e dove veniva avvolta dai vapori mentre era assisa sul tripode. La fenditura nel terreno congiunge il culto apollineo all’elemento primigenio della Terra: secondo gli antichi qualunque fenditura, crepa, grotta permetteva di entrare in contatto con le divinità ctonie.
Apollo è il dio simbolo di quest’occhio penetrante dalla natura intrinsecamente doppia, come lasciano supporre i due segni di riconoscimento con cui viene rappresentato, l’arco e la lira, a designare la coesistenza della azione ostile e benigna. Il segno del passaggio dal divino all’umano si manifesta nell’oscurità del responso che si svela come enigma. Lo ricorda Eraclito quando scrive:
Il signore, cui appartiene l’oracolo che sta a Delfi, non dice né nasconde, ma accenna.
E ancora:
la Sibilla con bocca folle dice, attraverso il dio, cose senza riso, né ornamento, né unguento.
Non abbellisce dunque la Pizia il responso oracolare di Apollo, il dio che freddamente colpisce da lontano, con arco e frecce. La sfera della mantica si esprime con precetti che non appartengono alla sfera raziocinante della necessità logica. Non a caso Eraclito definisce il tempo un fanciullo che gioca. La valenza del caso e dell’enigma viene ripresa da Friedrich Dürrenmatt ne La morte della Pizia dove viene descritta una sacerdotessa vecchia, stanca, “stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua incredulità dei Greci”. La Pizia del racconto di Dürrenmatt vaticina alla cieca dando responsi a casaccio per celia e al contempo viene ciecamente creduta. La questione della verità come approssimazione è uno dei temi principali della narrazione: tutti mentono o forse creano delle verità imprecise per vivere meglio. L’illusione spinge gli uomini persino a lasciarsi opprimere, a restare solidamente fedeli:
“Ho riflettuto sugli esseri umani e li ho interrogati prima di sottoporre ad essi il mio enigma e farli sbranare dalle mie leonesse” rispose la Sfinge. “Mi interessava sapere come mai gli uomini si lascino opprimere: per amore del quieto vivere, ho concluso, che spesso li induce addirittura a inventarsi le teorie più assurde per sentirsi in sintonia con i loro oppressori”.
La Pizia di Dürrenmatt va verso la morte in compagnia del veggente Tiresia che confessa il fallimento dei calcoli probabilistici e della ragionevolezza composta a favore della fantasia, del capriccio, dell’insolenza beffarda verso l’ordine prestabilito delle cose. La profetessa diventa emblema della sfida e della creatività del caos che permette di trovare connessioni inaspettate.
C’è un quadro di Franz Von Stuck alla Galleria d’arte moderna di Palermo che raffigura una donna e un serpente. Entrambi guardano davanti a loro con sfida. Non hanno paura del nostro sguardo, l’uno accanto all’altro creano una congiunzione perfetta. Il quadro ha come titolo Il peccato, con allusione alla vicenda biblica la donna e il serpente sono considerati colpevoli di aver stretto una alleanza peccaminosa che caccerà gli uomini dal paradiso. Tuttavia l’immagine fa venire in mente, più che il peccato, l’audacia di essere ciò che si é, il coraggio del conosci te stesso dell’oracolo delfico. Ecco che la Pizia, dopo avere recuperato il culto arcaico e sotterraneo del luogo delfico, potrebbe apparirci, accanto al serpente, con questo volto e questo sguardo.
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