09 Nov Cadere, volare: Intervista a Clelia Lombardo
Cadere, Volare: intervista a Clelia Lombardo
DI SARA MANUELA CACIOPPO
E sì, pensa Nives,
gli adulti sono strane creature,
indicano agli altri quello che devono fare
ma per se stessi non lo sanno.
Nives insegna in un paesino vicino Palermo, in una scuola povera, circondata da degrado e illusioni, dove ogni cosa deve essere messa al proprio posto perché nulla è scontato, ma neanche Nives lo è: coraggiosa e sognatrice, sa realizzare solo i sogni degli altri. Nives svolge il suo lavoro mettendoci il cuore dentro, trasformando il mondo-classe in un “rifugio” in cui il tempo sembra sospeso. Nonostante gli studenti vengano da un contesto familiare difficile, lei li comprende senza giudicarli, instaurando con loro un dialogo nella lingua che conoscono. In classe si impara giocando, i ragazzi sono abilissimi a trovare similitudini fra i libri e la vita della strada e mentre giocano dimenticano le botte che hanno preso, le urla che hanno sentito, l’abbandono sulla pelle, il lavoro sulla schiena. Anche per Nives le mura scolastiche diventano casa: sarebbe disposta a rischiare tutto per proteggerla, persino la relazione sentimentale con Salvo. Nives vive di incompiutezza, in un presente incerto che la risucchia, portandosi dietro un’unica consapevolezza: se la madre l’ha abbandonata morendo prematuramente, lei non farà lo stesso con la sua classe, con la famiglia che si è scelta. Nives si ostina a camminare porgendo il braccio all’infelicità, ma la sua vita si mischia e si confonde a quella dei suoi studenti, in un gioco di scambi in cui la parola insieme è salvezza, perché se si cade insieme, ci si può rialzare e perché no volare.
D’altra parte cominciava a credere che l’essere lì, in quel posto malandato, con quei ragazzini, non riguardasse soltanto l’insegnare le materie per cui aveva tanto studiato, ma un aspetto diverso dell’esistenza: avere a che fare con l’umanità. Sempre più si domandava se non fosse un altro il compito che era stata chiamata ad assolvere. È stato il destino a portare Nives fra quelle mura sgangherate, ma ricche di un’umanità che grida aiuto. Qual è il vero compito che Nives è chiamata a svolgere?
Il compito di Nives è quello di ogni essere umano, attraverso se stessa approdare alla vita degli altri con rispetto, fare in modo che le relazioni anche invisibili che ci uniscono non vengano negate e si dispieghino oltre i confini del proprio io. Nel caso di Nives è la sua professione a fare da ponte ma varrebbe per ogni altra situazione o condizione.
Nives si sente incompleta, sola, incapace di amare. A volte vorrebbe solo scappare, vorrebbe mollare tutto invece di prendere una decisione e di rischiare. Le amarezze della sua vita scompaiono nel mondo-classe per riaffiorare una volta tornata alla realtà. In cosa la “Nives donna” si differenzia dalla “Nives insegnante”?
Nel mondo-classe Nives non dimentica i suoi tormenti e, in fondo, non trova riparo. Né considera la classe la sua famiglia, di fronte agli alunni si mette in discussione la vivibilità delle famiglie. Il personaggio Nives mostra le contraddizioni del proprio vissuto così come è possibile leggerle nel contesto sociale. È proprio attraverso la condizione problematica di un lavoro in un luogo difficile che può svelare aspetti irrisolti della propria storia personale. A volte pensiamo che le condizioni esterne siano la causa delle nostre tensioni quando, a ben guardare, possiamo scoprire il lato necessario degli eventi che ci inducono ad agire e a trasformare.
Quando anche suo padre era morto, si era preso un po’ di soldi ricavati dalla vendita della terra e si era trasferito a Padova. […] Nives è rimasta. Se ne poteva andare via pure lei come aveva fatto suo fratello, invece è rimasta, va avanti e indietro ogni mattina per una strada che sale a curve, a strettoie e che da lì a poco, quando arriverà l’inverno, diventerà insidiosa. Nives è rimasta nonostante tutto, perché è una delle poche a credere che le cose possano essere cambiate, che non bisogna tapparsi gli occhi e far finta di non vedere, ma agire per migliorare ciò che nel nostro piccolo possiamo migliorare. Nel personaggio di Nives ho ritrovato Clelia. Cosa ti accomuna alla protagonista e perché hai scelto di raccontarci la storia in terza persona?
Nives non sono io come non lo è nessuno dei personaggi di un romanzo anche laddove i richiami alla biografia dell’autrice/autore sono possibili. Un romanzo è tale se ha attraversato il divario che esiste tra la creazione e la realtà, quell’atto di trasfigurazione utile a far sì che chi legge possa ritrovarsi. E non è importante se ciò che viene raccontato è realistico o descrive luoghi esistenti, storie riconoscibili. Certo, in questo romanzo c’è la mia idea di educazione, il mio sentire così faticosamente vissuto dentro le aule scolastiche ma ho amato Nives e l’ho voluta proprio perché non sono io.
Attraverso gli occhi di Nives entriamo nella vita dei suoi studenti in punta di piedi, affezionandoci a ognuno di loro: Filippo, il ragazzino che sembra orfano ma orfano non è; Nadia la saputella; Gaetana la silenziosa, Daniela ’a ballerina: nel microcosmo classe ognuno ha il suo ruolo, recita la propria parte e si diverte a farlo, purché si mantenga l’ordine. Quale ruolo interpreta Nives?
Nives vorrebbe costruire un ordine possibile ma incontra la tendenza all’entropia dell’esistenza. Quel suo cercare l’ordine esterno non è altro che una manovra di sopravvivenza. Mi interessava rendere stridente il tentativo di ordinare il mondo che ci consente di orientarci con la necessità di accettare l’imprevedibile, condizione connaturata all’essere umano. Ecco perché il ruolo di Nives è continuamente messo in discussione e lei stessa lo vuole pur mantenendo l’utilità delle regole.
Nives vorrebbe prendere i suoi ragazzi per uno per uno ed aiutarli a crescere, vorrebbe abbracciarli, consolarli, ma si rende conto che bisognerebbe avere i superpoteri per cambiare il mondo. Quello che può fare invece è donargli bellezza, la bellezza che c’è fra le pagine di un libro, arricchirli insomma, di cultura e di speranza in un futuro migliore in cui da uomini e donne sapranno camminare a testa alta, calpestando l’ignoranza che ha tentato di travolgerli. È fuori luogo ogni parola che lei potrebbe dire perché non c’è parola che possa risolvere le vite di famiglie intere di cui certo lei non è responsabile ma che le stanno radunate lì davanti, perché ognuno dei suoi alunni si porta dietro la propria famiglia. Lei stessa è fuori luogo, perché adesso vorrebbe i superpoteri per trovare una soluzione a quella infelicità. Leggete, leggete, vorrebbe dire a quei ragazzini, su, forza, leggete. Quali sono a tuo avviso i tre “libri scudo” che non dovrebbero mancare nella libreria di un ragazzino alle soglie della pubertà?
I gusti dei ragazzini cambiano continuamente e preferiscono i racconti per immagini, i video. Dei classici non farei mancare Pinocchio, Il diario di Anna Frank, Pollyanna, L’isola del tesoro… ce ne sono tantissimi.
In classe gli argomenti della lezione diventano occasione di movimento, in tal mondo un concetto che sembra lontano come il mito si trasforma in qualcosa di palpabile: uno si alza per mimare il suo calciatore preferito, l’altro ruba il diario della compagna innamorata. Se in famiglia gli studenti sono impotenti e immobili, in classe la cultura li mette in movimento: la cultura rende liberi, fa volare. È questo l’insegnamento per Nives, per i suoi studenti e per te, una salvezza?
Io credo che la cultura renda liberi se sollecita il talento personale, ognuno/a ne ha almeno uno. Aiuta a diventare se stessi, a trovarsi. Il pensiero divergente che tanto spaventa è quello che Nives desidera riconoscere per farne una forza, un punto su cui fare leva. Anche i ragazzini più disagiati possono brillare così come gli adulti che si confrontano con le proprie paure. Il cadere e il volare sono quindi un atto unico, sono momenti inscindibili che fanno parte dello stesso movimento.
Il romanzo è ricco in descrizioni, vediamo la realtà minuziosa di Nives e ci sembra di camminare con lei, di sentire gli odori di Sicilia, lo splendore e l’incuria. Nives vive nel mondo degli adulti, ma con ostinazione poggia sempre una scarpa su quello dei bambini. Com’è stato vedere la realtà tramite la lente di ingrandimento di Nives?
Nella mia scrittura i bambini compaiono spesso, mi affascina guardare il mondo attraverso i loro occhi per cercare in quello che siamo stati, in un territorio che sentiamo perduto. Le cose, gli oggetti, gli ambienti, i luoghi che compaiono nel romanzo sono indispensabili per collocare lo sguardo, per entrare dentro il vissuto attraverso un varco possibile. Le trasformazioni del corpo, le sue parti. L’essere umano vive questo profondo dissidio tra il voler crecere e il voler fermare il tempo. Nell’incontro con personaggi bambini io ritrovo una certa struggente impossibilità di superare il dissidio e nello stesso tempo una forma di compassione per quel che siamo.
Avevano fatto un accordo silenzioso, come se fossero in un altro presente e le loro vite fossero libere da impedimenti. Li aveva presi un’idea del futuro in cui sarebbero stati insieme, davvero. La storia d’amore con Salvo è fatta di assenze e Nives ha la sensazione che possa sfuggirgli dalle mani da momento all’altro. Chi è Salvo per Nives?
Semplicemente l’amore e la complessità dell’amare. Dei piani di cui è composto il romanzo questo rappresenta l’asse che spinge, che va verso il desiderio di capire come va a finire. Non sveliamo, lasciamo accesa la curiosità.
Che ne so, pensa Nives, forse non ho amore abbastanza, o ne ho troppo, incontaminato, intrappolato nel fondo del cuore, o come dice Salvo, io l’amore non lo so dimostrare. Del resto, nella vita di una donna c’è sempre una storia d’amore in sottofondo, anche quando l’amore non c’è, perché una donna vede l’amore anche nel non amore, crede facilmente alle prime parole di passaggio, si inoltra in vicende che solo a lei sembrano straordinarie. Queste parole arrivano all’anima di tutte le donne, mi hanno fatto pensare all’amore che ognuna di noi si porta addosso, alle ferite, ai baci, alle carezze lasciate a metà, e non posso che darti ragione aggiungendo che l’amore è fimmina!
Di certo, l’amore domina la vita di una donna, ne dirige le scelte, per cultura oltre che per tensione affettiva e ogni donna sperimenta quanto il desiderio d’amore sia il motivo per cui si rinuncia, a volte ci si snatura. Sebbene si dica che il maschio sceglie per esigenze fisiche, che non sono i sentimenti a guidarlo, la donna si porta l’amore nel corpo, è un’esigenza così carnale da condurre a falsificazioni, a invenzioni vere e proprie. Senza volere toccare il tema complesso della violenza sulle donne possiamo considerare quanto sia difficile per le donne stesse ripensarsi senza domini di alcun genere, senza fraintendimenti, stereotipi ormai ammuffiti e superati. Se volessimo un nuovo scenario per l’amore è fimmina dovremmo forse aggiungere amore è libertà.
Concludo l’intervista con una tua dedica alla speranza che racchiude tutto il senso dell’insegnamento: la sua bellezza portentosa, le cadute così come i miracoli. Ogni studente va aiutato e mai abbandonato, neanche quello che sembra destinato a fallire come Giovanni, il perenne assente, perché è compito dell’insegnante crederci per due. Andare incontro all’incapacità, a quello che ci manca, quello che non sappiamo fare, ecco un vero atto di coraggio, pensa Nives mentre Giovanni va verso il banco vuoto, quello attaccato al muro, in fondo all’aula, lo trascina facendo un gran rumore di ferraglia e si siede mentre i compagni lo guardano con insistenza. Non le resta che sperare in una soluzione rosea della faccenda. E vorrebbe all’improvviso correre e cantare.
Biografie
Clelia Lombardo vive a Palermo dove insegna materie filosofiche e scienze umane in un liceo. Ha compiuto studi classici e si è laureata in Filosofia all’Università di Palermo. Fa parte delle associazioni Piccoli Maestri e Luminaria. Ha partecipato a diversi progetti culturali e letterari tra cui: La Triscele che scrive; Il borgo delle storie, con Naxoslegge e il comune di Motta Camastra; L’officina dell’orca. Nel centenario della nascita di Stefano D’Arrigo, con Naxoslegge e il Comune di Alì Terme. Cura il blog parole periferiche. Ha pubblicato opere in poesia e racconti, tra cui Signora delle scarpe (ed. Il Vertice); Nuvole (ed. Il Gabbiano); L’orologio del Piave, in Sibille (Ed. Arianna); Pane e zucchero, in Il borgo delle storie (A&B Editrice); Da questo luogo da questo tempo, lettera a Giulia, in Lettere a Maria Occhipinti (Ed. Arianna). Il romanzo La ragazza che sognava la libertà (Gruppo Editoriale Raffaello, 2020) ha ricevuto il Premio Rita Atria, Kaos Festival 2020. Ha anche scritto molte opere teatrali, tra cui Labirinti; Ecuba e le altre (Ed. Arianna, 2013); i monologhi Il sogno di Maria, La donna senza nome e Amelia; l’opera Andromaca ha ricevuto nel 2014 il Premio Efesto – Città di Catania.
Igor Scalisi Palminteri è un artista diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Cresciuto fra Terrasini e Palermo, si definisce “un ragazzino di strada”. Igor, è un pittore la cui arte è pluriforme, le sue opere sono state esposte sia in Italia che all’estero. I suoi maestosi murales sulle facciate dei palazzi siciliani ornano tutta l’isola, tra questi ricordiamo il murale di San Benedetto il Moro, realizzato in occasione dell’undicesima edizione del “Mediterraneo antirazzista” e il murale di Sant’Erasmo con giubbotto salvagente e remi, dedicato a chi salva i migranti. L’artista è impegnato nel sociale e nell’arteterapia, inoltre cura laboratori e workshop per bambini e adulti. La foto che lo ritrae è di Ester Di Bona.
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