Novelle di formazione: “Personcine” di Maria Messina

“Novelle di formazione: Personcine di Maria Messina”

di Giovanna Di Marco

Immagini provenienti da archivio privato

 

 

Maria Messina è stata un’autrice siciliana molto apprezzata in vita da Verga, e pubblicata da prestigiose case editrici, ma in seguito caduta nell’oblio. Solo negli anni ’80 del secolo scorso è riaffiorata alla memoria grazie a Leonardo Sciascia. Le sue opere sono tradotte in diverse lingue e in Italia sono pubblicate prevalentemente da Sellerio. Le novelle che compongono la raccolta Personcine (1922) hanno un tema comune: il mondo dell’infanzia e della preadolescenza, i primi scuotimenti del cuore, i capricci infantili, i dolori nella vita dei fanciulli. Si trovano più fanciulle che fanciulli, a dire il vero, all’interno delle narrazioni. In tutte si riscontra comunque una profonda delicatezza, sempre associata al suo opposto: i moti dell’animo umano, le reazioni e i pensieri che scaturiscono in individui che, appunto, non sono ancora persone, ma tali in potenza. Le novelle che compongono questa raccolta destano il piacere del lettore che rimane attento e curioso; per un altro verso però presentano il loro retrogusto amaro. Il dolore vissuto dagli infanti viene patito con maggiore virulenza da un lettore empatico. Dai capricci ai giochi, dalle scelte coraggiose ai loro pensieri, l’animo di questi ragazzini viene sceverato con perizia, diluito o raggrumato perché l’autrice dimostra come di possedere e sapere maneggiare l’intera gamma dei colori della loro interiorità. Le vicende raccontate sono i giochi, rituali e reiterati che poi si abbandonano crescendo, il primo viaggio, la reazione di vergogna agli scherzi, la scelta di andare a lavorare per salvare la famiglia o di sacrificare i propri studi per risparmiare la salute di una sorellina. Il lettore non può non compatire i personaggi dove il compatire si intende nella sua accezione etimologica del ‘soffrire insieme’. Una novella in particolare, Compagne di scuola mette a confronto due bambine, Gènia e Masina, che si trovano nella situazione particolare di essere prima compagne di banco e, il giorno dopo, l’una a casa dell’altra come ragazza di servizio. Vengono analizzate le loro emozioni nella vergogna, nel disagio, nell’affetto che si mantiene oltre i ruoli sociali, rafforzato dalla consuetudine del mondo scolastico che qui viene presentata come democratica. La vita non lo è, ci dice Messina che riesce a decifrare la posizione subalterna della ‘serva’, ma anche a dare parola ed espressioni al malessere della ‘padroncina’.

Le novelle che compongono la raccolta hanno però un lieto fine, come per smorzare l’aspetto tragico e pacificare l’animo del lettore per domarne i sentimenti. Siamo infatti lontani dalla durezza del mondo verghiano che non fa intravedere una luce nei destini dei protagonisti, anche ragazzini. La vita appare dunque come idealizzata nell’universo di Maria Messina.

Capita spesso che gli scrittori diano la morte o facciano vivere tragedie irreparabili ai loro personaggi per uccidere una parte di sé. Messina va in direzione opposta. Forse l’autrice ha edulcorato i finali come per proteggere le innocenti creature della sua invenzione. O forse ha voluto rendere giustizia ai loro destini perché quelli da cui ha tratto ispirazione magari sono stati più tragici nella realtà. Nella finzione sono però veri gli impeti umanissimi di rabbia e di pietà, di speranza e volontà ferrea. Questa proiezione in un tempo passato fa viaggiare verso abitudini e scorci di vita materiale ormai lontani e porta una ventata di valori ormai desueti. Non migliori o peggiori, semplicemente diversi, anche se il confronto con una gioventù attuale, annoiata, viziata e poco autonoma sorge spontaneo. Le ‘personcine’ di Maria Messina si ergono come piccoli esempi e parlano di radici resistenti, di giustizia negata, di coraggio e dignità nell’affrontare il destino. Per questo vale la pena dare loro ascolto.

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