29 Dic Mondi interni: dialogo con Amélie Nothomb
Mondi interni: dialogo con Amélie Nothomb
di Sara Manuela Cacioppo
Conversare con Amélie Nothomb è come varcare la porta del Paese delle Meraviglie, un paese fatto di sentieri di parole, in cui ogni indizio è prezioso per ricomporre il puzzle. Ho avuto il privilegio di camminare con lei lungo quei sentieri, entrando in punta di piedi nei suoi romanzi di ieri e di oggi. Ho trovato grovigli di realtà in mezzo a straordinaria finzione: Amélie Nothomb traccia mondi con la penna, “mondi interni” fatti di segreti, portando alla luce relazioni complesse, quasi inconfessabili.
Alcuni dei tuoi romanzi sono autobiografici, parlami dei personaggi che assomigliano alla “vera Amélie”, quella oltre la penna.
Molti personaggi mi assomigliano, vi ho nascosto piccole parti di me. In Igiene dell’Assassino, ad esempio, Prétextat Tach, il vecchio scrittore terribile sono io o meglio lui è un aspetto della mia personalità, così come Aliénor in Il viaggio d’inverno. Nelle autobiografie si trova tantissimo sul mio conto! Ti svelo un segreto: se le storie sono fatte di personaggi, i personaggi sono fatti di Amélie.
I personaggi subiscono un cambiamento radicale solo dopo essere stati attraversati dal dolore, il quale diventa forza motrice e metamorfizzante. Perché il dolore?
È scandaloso scoprire come il dolore sia parte integrante della nostra realtà. Com’è possibile che la vita dia tanto spazio alla sofferenza? È questo il vero scandalo. Tutti abbiamo sofferto. Tutti, purtroppo, ci imbattiamo nella sofferenza prima o poi. Io stessa ho avuto la sfortuna di incontrarla e da allora non sono più stata la stessa.
Dicono che sei una scrittrice misteriosa… Eppure sono convinta che i tuoi romanzi siano cosparsi di tracce, visibili solo alle menti più sensibili.
Sai, forse neanche me ne accorgo, è qualcosa che avviene in modo spontaneo. Tanto tempo fa, una popolazione antichissima creò sul terreno dei giganteschi disegni, dei geroglifici visibili solo dal cielo, senza sapere che un giorno sarebbe stato possibile osservali da lontano con l’aereo. Ecco, vedi, i libri sono i miei geroglifici, io li creo affinché siano visti da lontano, perché solo da lontano acquisiscono un senso particolare.
Nei tuoi romanzi, le donne sono spesso attirate da altre donne, come se ci fosse una relazione che è sul punto di nascere, ma solo di rado esplode, piuttosto implode o resta ambigua, lasciando spazio al desiderio così come all’immaginazione del lettore. In Sabotaggio d’amore, ad esempio, come possiamo definire il sentimento che lega la protagonista a Elena?
Uhm… Credo che sia una storia d’amore, che si possa parlare di omosessualità anche se il sentimento che la narratrice prova nei confronti di Elena non è propriamente sessuale, sarebbe più corretto definirlo sensuale. Si tratta di omosensualità.
In Metafisica dei tubi scrivi che “vivere è rifiutare”, puoi spiegarci questa frase?
Diventiamo dei veri e propri “esseri viventi” solo nell’instante in cui compiamo una scelta, e questa scelta deve passare per forza attraverso la negazione: se accettiamo tutto, se ingoiamo sempre il rospo, se la vita ci scorre e non siamo capaci di scegliere cosa afferrare, non siamo veri, non siamo reali, non esistiamo. La vita inizia dove comincia la negazione. Pensiamo, ad esempio, allo sguardo: scegliere di guardare una determinata cosa è anche scegliere di non guardare l’altra. La vita inizia dove comincia la negazione.
I tuoi libri sembrano rimettere in discussione tutte le credenze del mondo. Antichrista racconta la storia di due ragazze Blanche e Christa, che incarnano rispettivamente il bene e il male. Nonostante Blanche conosca la vera natura di Christa/Antichrista, non può fare a meno di starle accanto, è affascinata da lei, così come dal male che rappresenta. Secondo te è possibile combattere il male senza distruggere il bene e perché l’uomo è attratto dal male?
È difficile rispondere a questa domanda. Il male fa parte di noi, della nostra vita, e la letteratura è l’unica occasione che abbiamo per impararlo. Erroneamente, siamo portati a pensare che il male sia sempre l’altro, mai noi, sempre l’altro: solo la letteratura ci dà la possibilità di vedere il punto di vista contrario e quindi di ammettere che il male che cerchiamo fuori, ce l’abbiamo dentro. Il male è una caratteristica intrinseca alla natura dell’uomo. Hai ragione, non possiamo combatterlo senza combattere il bene. È una questione molto complessa: dobbiamo essere capaci di inghiottire il male, senza lasciarci risucchiare, senza lasciarlo agire liberamente nel nostro corpo. L’unica soluzione che ho trovato per convivere con il male che ho dentro, senza commettere del male agli altri o a me stessa, è scrivere. Scrivere mi ha protetta. Immagino che ognuno abbia il proprio modo di proteggersi.
In Dizionario dei noi propri, Plectrude spara ad Amélie. L’atto di uccidere è comparato all’atto sessuale, connesso al concetto di crescita e di liberazione. L’omicidio crea un legame indissolubile tra il carnefice e la vittima: Plectudre uccide Amélie per andare avanti, per continuare a vivere senza Amélie, per vivere per sempre con Amélie.
Sì, è vero. L’omicidio descritto nel libro infatti non che è una morte simbolica, una sorta di liberazione per la protagonista: liberarsi da Amélie Nothomb sarà indispensabile per la felicità di Plectrude, solo così sarà un’adulta felice.
L’ossessione è spesso al centro dei tuoi romanzi, perché?
L’ossessione fa parte della mia personalità. Nel senso che quando mi concentro su qualcosa, riesco a non disperdermi in altri pensieri, esiste un unico pensiero che mi accompagna sempre.
Nelle ultime pagine del romanzo Il viaggio d’inverno scrivi: “Le donne amano sempre quando è troppo tardi”. Lo pensi davvero?
L’ho spesso constatato, non mi viene in mente altro per rispondere alla tua domanda. L’ho spesso constatato.
A volte nei romanzi ti soffermi sul rapporto fra l’uomo e il cibo. In Una forma di vita scrivi che ingurgitare cibo è une forma di masochismo. È come se l’uomo sentisse il bisogno di riempire lo stomaco per punirsi o per distruggere la parte peggiore di se stesso.
Sì, è così, riempirsi fino a farsi del male. Durante l’adolescenza ho sofferto di vari disturbi alimentari. Mi sono letteralmente torturata con il cibo, ma per fortuna ne sono uscita. È stato difficile, lo ammetto, conservo in memoria dei ricordi vivissimi di quel periodo: una tortura, è stata un’immane tortura.
Sempre in Una forma di vita scrivi che essere uno scrittore significa cercare disperatamente una via d’uscita, perché?
Perché la scrittura ha due facce: è salvezza e pericolo insieme. La scrittura è una salvezza pericolosa.
Una frase del romanzo La nostalgia felice mi ha colpito in modo particolare: “Tutto ciò che amiamo diventa racconto”. Puoi spiegarla?
È qualcosa che accade quando si ama alla follia, come amo io. Puntualmente, quando mi innamoro, butto giù una storia che ha come soggetto l’essere amato. È come se l’atto d’amore stesso fosse scrivere una storia per raccontare la persona amata.
Ho regalato Pétronille a una persona speciale, convinta che raccontasse la storia di un legame affettuoso, ma il finale mi ha spiazzata. Perché la morte appare in maniera così prepotente nei tuoi romanzi?
È la stessa morte simbolica di Dizionario dei nomi propri. Quando entro nella vita delle persone, così a fondo da raccontare la loro storia, si crea un legame troppo forte, quasi pericoloso. Allora mi sembra indispensabile che la persona divenuta personaggio uccida la scrittrice, uccida me simbolicamente: la morte è un atto di liberazione importantissimo.
Colpisci il tuo cuore è la storia di un amore assoluto. L’amore di una figlia per la madre e le delusioni che l’accompagnano. Credi che, per una donna, il passaggio all’età adulta avvenga solo a seguito del distacco dalla madre, dopo averla “uccisa” in senso metaforico?
Amo immensamente mia madre. L’ho sempre amata e ho cercato per tutta la vita le sue attenzioni, ho sperato che mi vedesse, che mi ammirasse. Volevo piacerle a tutti i costi! Renderla fiera è uno dei motivi per cui sono diventata scrittrice. E quando finalmente ci riuscii, quando riuscii a farmi stimare, mi staccai da lei. Questo non significa che avessi smesso di amarla, io l’amavo e l’amo ancora follemente, ma ho avuto bisogno di sentirmi amata sul serio per correre via, verso la mia vita.
Leggendo i tuoi romanzi, in particolare l’ultimo, Sete, si ha la percezione che per te scrivere sia quasi un atto divino, sacro. È come se entrassi in uno stato ipnotico che ti strascina in una realtà altra, da cui solo la penna può salvarti.
È proprio così. Scrivere per me significa non solo mettermi in discussione, ma soprattutto mettermi a disposizione di qualcosa che va oltre me stessa, qualcosa di più alto, di sacro. La scrittura è tutto ciò che c’è di sacro nella mia vita. È anche per questo che mi sono permessa di scrivere un libro sulla vita di Gesù: dopotutto, quando scrivo anch’io compio un atto divino! Non fraintendermi, non sono di certo una megalomane, è la scrittura ad essere sacra, ma sono io a darle vita con la penna. È stato stra-ordinario scrivere su Gesù.
Sempre in Sete scrivi: “Per provare sete, occorre essere vivi”. Il tema del corpo è dunque centrale: Gesù sa di essere vivo grazie ai bisogni e alle sensazioni del corpo, è vivo perché ha sete, è vivo perché prova sentimenti, perché ha paura, perché ama. E tu Amélie, di cosa hai sete?
Ho sete d’amore, ma di quello che toglie il fiato. Ho sete di vita. Ho sete di letteratura. Sono assetata di viaggi, ancora di più forse in questo periodo di isolamento forzato. Ultimamente ho anche una “nuova sete”: la bicicletta, adoro passeggiare su due ruote. Infine, si sa che ho un debole per lo champagne! Non potrei farne a meno! Bevo anche acqua, certo, tantissima acqua, ma è un segreto! Insomma, sono un’assettata di vita!
Biografia
Nata nel 1967 a Kobe, Giappone, trascorre l’infanzia e la giovinezza in vari paesi dell’Asia e dell’America, seguendo il padre diplomatico nei suoi cambiamenti di sede. A 21 anni torna in Giappone e lavora per un anno in una grande impresa giapponese, con esiti disastrosi e ironicamente raccontati in Stupore e tremori. Rientrata in Francia, propone un suo manoscritto a una solida e storica casa editrice, Albin Michel. Igiene dell’assassino esce il 1° settembre del ’92 e conquista subito molti lettori. Da allora pubblica un libro l’anno, scalando a ogni nuova uscita le classifiche di vendita. In Italia i suoi libri sono tradotti e pubblicati dalla casa editrice Voland Edizioni. Ha ottenuto numerosissimi premi letterari tra cui il Grand Prix du roman de l’Académie Française e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori, il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo ‒ da cui nel 2015 è stato tratto il film Il fascino indiscreto dell’amore di Stefan Liberski ‒ e due volte il Prix du Jury Jean Giono per Le Catilinarie e Causa di forza maggiore. Oggi vive tra Parigi e Bruxelles. Il suo ultimo romanzo uscito in Italia è Sete (2020).
Daniela di sora
Posted at 09:57h, 31 DicembreGrazie!! Bellissima intervista.