07 Gen Lady Macbeth
Lady Macbeth
Dialogo con Rossella Pretto
a cura di Ivana Margarese
Nerotonia (Samuele Editore 2020) di Rossella Pretto è una riscrittura poetica di una potenziale Lady Macbeth, un lavoro che muove dal dramma shakespeariano per mettere a fuoco la relazione, lo scontro, il tentativo e il fallimento di un rapporto a due. Lady Macbeth è un personaggio complesso, oscuro, ma al contempo profondamente radicato nell’azione. Ho dialogato con Rossella Pretto per comprendere come è accaduto l’incontro con questo personaggio e come è nato il bisogno di dare voce attraverso la poesia alla sua sofferenza e alla sua storia.
“Lady Macbeth mi ha sussurrato all’orecchio per anni e nei modi più svariati. Sono profondamente convinta che ognuno di noi sia il frutto delle voci che l’attraversano e che queste voci disincarnate e confuse – volta a volta riconoscibili o meno, attribuibili al passato personale o a quello letterario – prendano spesso il sopravvento”. Queste sono le parole con cui introduci la tua riscrittura poetica di Lady Macbeth in Nerotonia. Spiegami meglio l’origine di questo testo.
Il poemetto origina dal mio amore viscerale per il dramma shakespeariano. Ognuno di noi ha delle particolari, personalissime ossessioni, voci che appunto sussurrano all’orecchio, come un brusio ininterrotto. Parlo di amore, perché che cos’altro può essere quando cuore e pensieri sono perennemente attratti da una persona, una storia che continua a raccontarsi? È un paradigma che informa i giorni e si articola in forme ogni volta diverse e originali. Qualcosa di ancestrale e molto affascinante. Il richiamo di una sirena. Un’appartenenza profonda. E capisco che sarebbe meglio avere modelli più luminosi, ma ognuno è fatto della stoffa che ha ricevuto in dono, il suo imprinting. Il mio è questo, almeno per ora, e funziono come un motore che, ricevuto il giusto combustibile, si mette in moto. D’altra parte, come penso e dico spesso, Macbeth e la sua Lady ci pongono di fronte a un quesito fondamentale tra l’essere e l’agire, due mondi che devono costantemente trovare un punto d’equilibrio. Capita a tutti e in qualunque, pur insignificante momento di dover scegliere. Come svolgere il compito anche minimo che ci viene richiesto? Agire, agire subito, d’impulso o soppesare azioni e conseguenze? Ecco, il messaggio fondamentale che Lady Macbeth suggerisce è questo: agisci, provati, ma poi non continuare a pensarci; vivi e affronta le tue responsabilità senza lambiccarti il cervello. Vivere attimo per attimo rendendolo eterno, in sé autosufficiente pur nella metamorfosi continua della vita. Attimo, fermati, sei bello! Se dirò così potrai mettermi in ceppi, diceva un altro immenso personaggio non esattamente quieto e risolto: Faust.
Sul dramma di Macbeth ho riflettuto e lavorato a lungo. Ma non volevo prestare corpo e mente a un uomo; volevo mantenere la mia identità e scrivere qualcosa che potesse rendere conto della mia condizione di donna. Non è un testo femminista, assolutamente no, ma certamente ha a che fare con il ruolo che la donna si sta ritagliando nella società odierna. In qualche modo si sente in dovere di gareggiare con l’uomo. Ha perso le funzioni le sono state affidate per secoli e ora ha bisogno o le pare d’essere costretta a dimostrare qualcosa. Io non credo che la donna debba mettersi in questo corto circuito. Non a caso scrivo:
«e dunque a me:/ cos’è che manca, che si assenta?/ sarà forse il grido della strega,/ schiacciato dalla gara // ingaggiata con un uomo, / un dovere imposto/ per stare al tuo livello,/ usare il cervello…// e tu allora stermina il ferro/ e dammi l’uccello/ che becchetti sul mio/ infinitamente introiettabile vascello».
La donna deve conservare le sue peculiarità. E sì, essere anche un po’ strega.
Nerotonia deve anche molto al teatro. È carne e voce. Ma queste qualità vengono a patti con una facoltà raziocinante: il pensiero, il dubbio da cui scaturiscono le voci. Possiamo chiamarle voci o influenze culturali. Penso che necessario reincarnarle, ridare loro fiato e attenzione. Così fa Alice Oswald con Omero. Il mio lavoro è molto diverso ma ha anch’esso una matrice orale.
La tua Lady Macbeth dice di non essere forte e di non essere mai bastata a se stessa. Qual è per te la fragilità di questo personaggio?
La relazione, la storia d’amore è balsamo e arma a doppio taglio. Abbiamo bisogno di appartenere, di condividere, ma poi? Amore è anche lotta, è continuo mercanteggiare, venire a patti; è fatica e, a volte, sconfitta. E quando la sconfitta viene sancita, ritrovare peso e centralità è davvero dura. Il fallimento coinvolge tutti gli ambiti della persona, indipendentemente dal tipo di reazione – che sia violenta o che apra la porta alla depressione. La fragilità di questo personaggio consiste nell’essere, o sembrare, forte essendo in realtà un essere umano come tutti. Con un sentire spiccato, però, che amplifica ogni cosa. D’altra parte, questa è una citazione da Un tram che si chiama Desiderio, di Tennessee Williams. Un altro personaggio complesso e tragico. Ecco, volevo apparentarle perché uno stesso sangue scorresse nelle vene dell’una e dell’altra. L’essere umano, per comodità, viene etichettato e raggelato spesso in una singola qualità. Non è davvero così.
“e allora guerra
sia guerra
come unico
possibile atto d’esistenza nostro possibile
unico tocco”.Vorrei un commento su questi tuoi versi:
Quando la separazione, in una relazione, è definitiva, chi si sente abbandonato ha ancora bisogno del contatto con l’altra persona e lo ricerca in un modo o nell’altro. Se non posso accarezzarti ti darò un pugno: solo per starti accanto, solo per sentire ancora una volta la tua pelle o il sostituto della tua pelle, ciò che è dentro di me, ciò che significa e significhi per me. Così la relazione non viene meno. Certo, è malata, ossessiva ma nella mente di chi ha perso tutto è l’unica strada percorribile.
«Ció che è fatto è fatto» («Things without all remedy | should be without regard: what’s done is done») sono ancora parole pronunciate da Lady Macbeth nell’opera di William Shakespeare.
Queste parole sembrano una definitiva condanna per Lady Macbeth a uno spazio senza possibilità di mutamento e senza riparazione.
No, non credo sia così. Non lo è nell’opera. Nel dramma, il messaggio della Lady è propositivo. È quanto dicevo prima: lei suggerisce a Macbeth di continuare a vivere e agire senza cedere al rimorso. Ciò che è fatto è fatto e non può essere disfatto, dice per esteso. È la possibilità di andare avanti non come dei condannati ma come persone consapevoli dei propri atti, atti di cui si deve rendere conto, certo, ma che non devono diventare spettri da cui difendersi. Macbeth non accetta questo messaggio e infatti il fantasma insanguinato di Banquo appare a lui. Il suo senso di colpa lo condanna e lo dilania. Il delirio della Lady è successivo e viene alla luce in conseguenza della solitudine a cui l’ha costretta Macbeth non prestandole più ascolto, rendendola di fatto un burattino senz’anima, inservibile. Non più una compagna, nel bene e nel male. È allora che tutto il marcio viene a galla. La scena del sonnambulismo ne è la prova. Lady Macbeth continua a parlare con lui, mantiene il dialogo aperto anche se fantasmatico.
Tornando al tuo input, non credo sia così anche perché non lo prevedo nel finale del mio poemetto, dove trovo un senso a tutto questo strazio: il racconto, il canto, la possibilità di raccontarsi l’un l’altro le proprie storie, di comunicare, esprimersi – ognuno per com’è. E penso che in questo momento ce ne sia davvero bisogno. Bisogno cioè di prendere consapevolezza di ciò che stiamo attraversando, tentando di vederne la trama e integrandola con il quotidiano che ci è toccato in questo momento in sorte.
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