06 Mar Amelia Rosselli: Tutti gli appuntamenti mancati
Amelia Rosselli: Tutti gli appuntamenti mancati
Intervista ad Alice Zanotti
a cura di Ivana Margarese
Immagini di Valeria Di Ponio
Da cosa nasce l’idea del libro e come sei arrivata a questo titolo?
Era un po’ di tempo che girava in testa la prima frase del libro, “Dispone la sedia con geometria”: mi era venuta in mente leggendo Amelia Rosselli – Variazioni Belliche, Documento e Serie Ospedaliera, ma anche i diari e i Primi scritti, tutti raccolti nel Meridiano, e conoscendo qualcosa della sua vita e di quel giorno, l’ultimo, l’11 febbraio 1996. Mi sono innamorata di Amelia leggendola, e ho cominciato a scrivere filtrando i miei pensieri attraverso i suoi, a specchiare i miei gesti nei suoi, immaginando ciò che la storia non dice e non può dire. Come quando ci si innamora ma l’oggetto dell’amore è lontano, irraggiungibile, e allora si inventa, si immagina, per sentirlo vicino. Perché si vorrebbe sapere tutto, ma non si può. Il libro nasce da questa mancanza ed è diventato il luogo di un incontro impossibile, immaginario. Il titolo è venuto scoprendo la vita di Amelia Rosselli, è arrivato scrivendo: gli appuntamenti mancati sono quelli della sua biografia, il non esserci quando succedevano le cose più tristi, ma il suo esserci comunque perché tutti quei fatti l’hanno segnata come se fosse stata presente; e l’appuntamento mancato è anche il nostro, l’incontro impossibile che ha fatto nascere questa storia.
La vista – il vedere, il non perdere di vista, l’essere visti, il nascondersi – emerge come uno dei sensi dominanti della narrazione. Parlando di Amalia Rosselli scrivi : “E lei, che non si vede riflessa in nessun volto, è come un lungo stelo in un prato di petali appaiati. Forse mi è successo, dice, l’ho già incontrata una piccola me, l’ho riconosciuta, e adesso sono una, due, non ci sono. Amelia aggiunge, Nessuno mi assomiglia”. Poco dopo come lettori veniamo a conoscenza che i genitori di Amelia erano spiati: “I Rosselli non lo sanno, ma non sono mai da soli”.
Amelia ha perso il padre a 7 anni, la madre a 19. Nel passo che citi l’ho immaginata camminare per Roma e cogliere nel viso di un padre e di una figlia una somiglianza, quella che ci fa sentire a casa, il sapere di essere un po’ come qualcuno è rassicurante, sapere di ricordare il viso di nostro padre o di nostra madre o di qualche parente lontano. È una cosa che si dice dei bambini appena nati, che assomigliano a un genitore o all’altro. Amelia era molto simile a suo padre, avevano gli stessi occhi azzurri, ma un riconoscimento che non può più esserci, una possibilità che lei ha perso molto presto. L’ho immaginata un po’ sperduta, sola, mentre cammina per Roma e tutti i passanti che incontra, come in una magia, si assomigliano, lei invece no, è sola, esule, lontana e spaiata. Immagina spie che la seguono, che si nascondono. Amelia viene riconosciuta dalle sue spie, come a Parigi le spie riconoscevano suo padre, lo pedinavano, gli stavano accanto anche nel suo studio. Mi fa pensare la tua domanda: forse questa insistenza sul tema del vedere e della vista è fa parte del mio tentativo di vedere Amelia per raccontarla, di vederla con l’immaginazione, con la fantasia.
Vorrei farti una domanda sul rapporto tra Amelia Rosselli e la madre, Marion, a cui nel libro dedichi molto spazio. La figura della nonna della poetessa, Amelia Moravia, è una figura importante nel libro. Una donna forte è singolare. Perde i tre figli, il primo in guerra e gli altri due assassinati. Ha il coraggio di lasciare il marito che l’aveva tradita: “Era successo, lei non aveva fatto finta, e in molti, per strada, la guardavano disapprovando l’eccezione che rappresentava: una donna sola a crescere tre bambini all’inizio del Novecento”.
Scoprire Marion Cave è stato davvero interessante: nata nella periferia di Londra, era appassionata di Italia, della nostra lingua, del movimento operaio e del socialismo italiano. Dopo la laurea arriva a Firenze, diventa insegnante al British Institute e conosce Gaetano Salvemini. È lui a farle incontrare Carlo Rosselli al Circolo di Cultura, lei aveva 27 anni, lui 24. Me la sono immaginata fortissima e coraggiosa, una combattente, e sicuramente lo è stata. Avrebbe preferito fare la guerra che essere madre, partire per la Spagna con Carlo, per esempio, indossare la divisa invece di accudire i suoi tre bambini. Con Amelia, poi, non andava proprio d’accordo, forse l’unico momento quieto l’hanno vissuto a Larchmont, vicino a New York, quando vivevano insieme da esuli, loro due sole, Andrea stava con la nonna e John era andato a studiare lontano. Ma c’è un episodio particolarmente significativo che riguarda Marion: dopo l’assassinio dei fratelli Rosselli lei chiama a sé i suoi figli e chiede loro “Sapete cosa vuol dire la parola assassinio?”, una domanda terribile, un rovesciamento di prospettiva. E ancora, dopo il primo ictus che la colpisce, quando ancora Marion sta cercando rifugio dal fascismo, prima di imbarcarsi sul mercantile che da Liverpool avrebbe portato i Rosselli rimasti nel sobborgo di New York, Marion smette di parlare in italiano, abbandona la lingua che usava per parlare con il marito, non la usa più. Marion si lascia andare, soffre di cuore, odia l’Italia del dopoguerra, è sempre più debole. Mi sono immaginata Amelia bambina e ragazzina che cerca di sostenerla come può, che si arrabbia con lei, che la giudica, che non la capisce. Poi, dopo la sua morte, avvenuta nel 1949, Amelia decide di farsi chiamare come lei, diventa Marion Rosselli, ed è un dettaglio su cui ho lavorato molto nel libro, è il secondo dei tre nomi di Amelia, che è stata Melina, poi Marion e infine Amelia Rosselli. Un tentativo di essere lei, di possedere una madre sempre sfuggente. Alla madre Amelia Rosselli dedica quello che è il suo primo testo, My clothes to the wind, una breve prosa in inglese risalente al 1951, inclusa poi in Primi scritti, è il lamento di Amelia abbandonata dai genitori, di Amelia sempre lontana: non c’era nel bosco, quando i cagoulards uccisero il padre Carlo e lo zio Nello su mandato del regime fascista; non c’era quando sua madre muore a Londra, lei era andata a trovare la nonna a Firenze. Gli appuntamenti mancati inventano un vuoto, una distanza da colmare con la poesia. Mi chiedi anche della nonna, Amelia Pincherle Rosselli: anche lei è stata una figura straordinaria. Ad Amelia danno il suo nome, ma poi i genitori scelgono un soprannome, perché quella bambina è bruttina – lo dice Carlo – troppo per il nome della nonna, così fine e perfetta. Amelia Pincherle è stata un’autrice rinomata di drammi e commedie, anche in dialetto veneziano, ha scritto prose per bambini, ha diretto collane di narrativa, è stata un’attivista, un’antifascista, molto impegnata per i diritti delle donne. Sposò a Venezia Joe Rosselli, un musicista, che poi la tradì con una ballerina, per questo si separarono, era il 1903, e lei scelse di vivere a Firenze, da sola con i tre figli, Aldo, Carlo e Nello. Sorella di Carlo Pincherle, padre dello scrittore Alberto Pincherle, conosciuto come Alberto Moravia, Amelia Pincherle era sensibile al dibattito sulla condizione femminile e si impegnò per il diritto all’istruzione delle donne. Nel libro ho provato a indovinare, sulla base della biografia, quale poteva essere il rapporto tra nonna e nipote: Amelia Pincherle ha protetto Amelia, l’ha aiutata a costruirsi un futuro, trovandole lavoro a Roma alle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti. L’ho immaginata anche fragile, però, profondamente segnata dai suoi lutti: perse il primo figlio, Aldo, al fronte, durante la prima guerra mondiale. Carlo e Nello glieli uccise il regime che anche lei tanto avversava, collaborando con Gaetano Salvemini e partecipando alla Women’s Division della Mazzini Society. Il suo dolore, nel libro, prende la forma delle camerette dei figli chiuse a chiave nella casa di Firenze, dei libri di scuola impolverati, dei costumi di Carnevale chiusi dentro scatole.
“Confessa Amelia di essersi persa, talvolta, in questa città e nella sua lingua, Tutte e due contengono lo stesso numero di ricordi e rovine”. La memoria del passato sembra metaforicamente risuonare come le onde che si infrangono sugli scogli e che Amelia da bambina amava osservare e ascoltare. C’è un continuo ritornare sul dolore, un dolore che non passa, e in cui ci si smarrisce. È un romanzo seducente ma al contempo faticoso perché conduce chi legge all’interno di una sofferenza che dilaga fino a divenire una costante e a tratti disperata solitudine.
Sì, c’è una frase che faccio dire ad Amelia, ovvero che il passato è sempre presente, è il passato dei suoi appuntamenti mancati con le tragedie della sua vita, che ritornano sotto forma di fantasmi e di pioggia che perseguita, di voci ripetitive e di minacce a una quiete difficile da trovare. Ho cercato di stare sempre a fianco di Amelia, mentre scrivevo, di accompagnarla fino alla fine, all’esondazione, alla cascata, di non lasciarla sola. Ma certo, il dolore c’è, perché c’era, perché le ore non si fanno rotonde per dimenticare, e ciò che è successo prima ha un peso, e non si perde.
“Tutte le cose hanno tre nomi, uno per quando sono nuove, uno per quando si rompono ma possono essere aggiustate, e l’ultimo nome è per quando non c’è niente da fare”. Questa frase ritorna due volte nel romanzo, la seconda volta rivolta all’amica Giacinta con cui Amelia intreccia un costante dialogo interiore, e mi sembra una possibile guida nella lettura del tuo romanzo.
Sono d’accordo: tre sono i nomi di Amelia, che è stata Melina e poi ha scelto di chiamarsi come sua madre, Marion, e infine è diventata Amelia Rosselli, musicista, poeta, intellettuale straordinaria, l’unica donna inclusa nell’antologia Poeti italiani del Novecento di Pier Vincenzo Mengaldo. Tre sono le sue lingue: l’italiano del padre, il francese della sua infanzia da esule a Parigi, e l’inglese di sua madre. Amelia ha avuto tre nomi e tre lingue, in questa molteplicità ci sono tante persone in una sola, diverse vite intrecciate tra loro.
Biografia
Alice Zanotti, nata a Bologna nel 1985, vive e lavora a Torino dove si occupa di comunicazione digitale. “Tutti gli appuntamenti mancati” (Bompiani) è il suo primo libro.
No Comments