16 Mar André Breton: Nadja e la sirena
André Breton: Nadja e la sirena
di Giovanna Di Marco
Delle immagini accompagnano il famoso scritto di André Breton dal titolo Nadja e pubblicato nel 1928. Alcune di queste sono proprio i disegni di Nadja, la donna protagonista del racconto che assurge a simbolo dell’arte surrealista, nonché ad alter ego dello scrittore. Ma, come l’arte surrealista non mirò mai ad allontanarsi dal figurativismo non approdando alla fascinazione per l’astratto, anche Nadja fu una donna reale e di suo pugno tracciò quei disegni che sono riportati all’interno del testo. Il suo vero nome era Léona Delcourt, ma preferiva farsi chiamare Nadja, “perché in russo è l’inizio della parola speranza e perché è soltanto l’inizio”. Speranza in cosa? Nella liberazione dell’individuo, nelle sue possibilità creative e associative, nella ‘surrealtà’, come incontro attuabile di sogno e veglia.
L’opera si articola in tre parti: la prima, che anticipa quasi il suggestivo incontro con questa bizzarra creatura di donna; la seconda, che la racconta nel suo magnetismo; una terza che parla delle condizioni dei manicomi, dove Nadja approda rimanendone inghiottita, fino al finale, che si conclude con una dichiarazione di poetica secondo cui “la bellezza sarà CONVULSA o non sarà”.
“Chi sono io?”: questo si chiede Breton nel suo incipit. “Chi è lei?”: chiederà a Nadja una volta incontrata. E lei gli risponderà: “Sono l’anima errante”.
Tra le tante suggestioni che può suscitare un’opera famosa, febbrile e frenetica come questa, è interessante ritornare, ai fini della nostra lettura, ai disegni realizzati da Nadja stessa, di suo pugno. Ella ha dichiarato all’io-narrante, Breton stesso, quanto non le appartenesse l’attitudine al disegno; tuttavia inizia a praticarla solo dopo l’incontro con lo scrittore. Disegna e scrive seguendo quel percorso tipicamente surrealista dell’automatismo psichico, che, a differenza della casualità e dell’eversione dell’automatismo dadaista, si fonda su un criterio più strutturato, ambizioso e arditissimo, ossia il processo stesso del pensiero nel suo compiersi, come del resto afferma lo stesso Breton nel Primo Manifesto della corrente artistica di cui fu promotore: “Surrealismo è automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale”. Nadja, essere reale, è un incontro per lui fatale, avvenuto per strada e per caso. Le si avvicina come per una sorta di ipnotismo: “Non avevo mai visto degli occhi come quelli. Senza esitazione rivolgo la parola alla sconosciuta, pur attendendomi, ne convengo, il peggio. Sorride, ma in maniera assai misteriosa e direi, come con cognizione di causa, benché allora non potessi crederci”. Si tratta di una creatura ai margini della società, errabonda e di una bellezza che sconcerta: un cameriere di un ristorante, alla sua vista fa cadere, come affatturato, una dozzina di piatti. Nadja è un essere in grado di carpire gli stati di coscienza, e, fuori da ogni logica, determina la realtà che sta per accadere: “Lo sguardo di Nadja fa ora il giro delle case. «Vedi, là in fondo, quella finestra? È buia, come tutte le altre. Guarda bene. Tra un minuto si illuminerà. Sarà rossa». Passa il minuto. La finestra si illumina”.
Nelle possibilità di dare un volto all’immaginazione non si stacca dalla verosimiglianza ma la associa a una sua proiezione interiore. E la sua figura di riferimento, il suo autoritratto che ricorre nei disegni è quello della sirena. Abbiamo due descrizioni di Nadja sotto forma di sirena all’interno del testo, accompagnate dalle immagini originali. Nella prima, un ritratto simbolico di questa coppia di raminghi, Nadia e l’io-narrante: “La sirena nel cui aspetto sempre si vedeva di schiena e in quella prospettiva, tiene in mano il foglio arrotolato; il mostro dagli occhi folgoranti sorge da una specie di vaso con testa d’aquila, pieno di piume che figurano le idee”.
Il foglio arrotolato potrebbe assurgere a un messaggio segreto che Nadja intende lasciare, lei che è capace di trasformare la materia in immagini imprevedibili, portando alle estreme conseguenze l’idea romantica della personalità artistica, come è tipico nei surrealisti. Un altro disegno fittissimo è definito un vero e proprio scudo di Achille (non a caso, il primo esempio di racconto in versi di un’opera d’arte visiva) dove la trasformazione degli oggetti in altro risale a quell’intuito nel “gusto di ricercare negli arabeschi di una stoffa, nei nodi del legno, nelle screpolature dei vecchi muri, certi contorni che è facile scorgervi”. Anche qui Nadja si raffigura come sirena sempre di schiena. Un’altra figura che ricorre più volte e con cui Nadja si identifica, del resto, è quella fiabesca di Melusina, spesso confusa, per la sua iconografia, con la sirena, tanto che cerca, nella sua vita reale di assomigliarle acconciandosi i capelli come lei.
Perché Nadja si raffiguri come sirena è facilmente riconducibile al mito e a ciò a cui simbolicamente esso richiama. Ad esempio, la commistione tra due mondi, insiti nell’immagine della sirena: quello terrestre e quello acquatico, che incarna un livello inconscio, profondo e primordiale; o anche alla doppia valenza di donna e animale, fuori dai canoni del consueto, perturbante e abnorme. Una sirena di spalle che mostra la sua coda ma anche le curve di un corpo flessuoso e sensuale viene accompagnata da varie immagini che hanno la potenzialità di trasformarsi in altro, agendo per concatenazioni improvvise. Nadja annulla la rigidità delle forme e dunque del pensiero perché, come una sirena, è la scaturigine della seduzione più ammaliante, quella mentale e viene quindi riconosciuta come un genio libero, l’anima errante che perviene alla conoscenza in modo prodigioso, per pura intuizione.
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