23 Mag Il valore affettivo. Dialogo con Nicoletta Verna
“Il valore affettivo”. Dialogo con Nicoletta Verna
a cura di Giovanna Di Marco
Immagini di Pina Calì
Il valore affettivo – romanzo che ha ricevuto la menzione speciale alla XXXIII edizione del Premio Calvino – parla di noi. Di noi chi? Di noi bambini degli anni ’80, di noi con quell’immaginario comune di oggetti che ci rassicuravano o che desideravamo. E parla con la nostra lingua di insicurezze, manie di controllo, sensi di colpa e ritorni al passato. Anche se Bianca, la sua protagonista ripercorre un vissuto personale e tragico, che, a mano a mano, viene ricostruito, il nostro calco è lì, nascosto e disvelato in ogni locuzione. Sta in questo la forza celata di questo romanzo apparentemente limpido, ma intricato di rimandi e simboli quasi privati, di dolori solitari, dove la società appare in pochi scampoli e nello sfondo, ma inanellata sapientemente alla narrazione. Non possiamo dunque non riconoscerci come generazione. Tuttavia la forbice si allarga: il romanzo non parla solo a noi, ma a tutti, perché il dolore è immutabile da sempre, segna le vite e va dunque indagato, e, come nelle tragedie antiche, va fatto fino allo snodo, alla sua risoluzione.
Parlaci della tua esperienza al Premio Calvino e del successivo percorso che ti ha fatto approdare alla pubblicazione del tuo romanzo.
Il Premio Calvino è un’eccellenza in Italia per quanto riguarda la narrativa d’esordio: prendervi parte è stata un’esperienza ricchissima e molto emozionante, anche se purtroppo per via dell’emergenza Covid non abbiamo potuto conoscerci di persona. Ho poi avuto l’onore e la fortuna di approdare a Einaudi Stile Libero, che ha preso per mano il romanzo e l’ha portato alla pubblicazione: dall’editing alla correzione di bozze al lavoro sul paratesto (che ha portato a questa incantevole copertina) e poi alla promozione, ho trovato una equipe di persone preparatissime e umanamente ricche, che mi hanno insegnato tantissimo. Un’occasione unica, indimenticabile.
Cosa ti ha condotto alla storia di Bianca e Stella?
Mi affascinava l’idea di analizzare cosa succede quando un sentimento normale e, aggiungo, sano come il senso di colpa assume contorni parossistici e arriva ad accecare, paralizzare, sommergere completamente chi ne è vittima. È un tema letterario potente e molto fecondo perché, per sua natura, il senso di colpa non è mai sazio, non si chiude, e può quindi condurre a qualunque deriva. È quello che accade a Bianca: è solo una bambina quando si convince di avere distrutto la vita di sua sorella e, con lei, tutta la sua famiglia. Come si può riparare un rimorso come questo?
Il tuo è un romanzo che riguarda vicende private. Eppure molti dei suoi capitoli si aprono con i resoconti che si svolgono nella sede lavorativa di Stella e che riguardano le più svariate discussioni sul mondo contemporaneo, come fosse uno sfondo. Si tratta di una scelta casuale?
Bianca lavora in una società di ricerche di mercato dove si occupa di sbobinare i focus group, ovvero riunioni di soggetti selezionati (il Target) che discutono su come rendere più appetibile un prodotto per il mercato. Questo le offre una prospettiva privilegiata suo mondo dei consumi e, in particolare, sul significato psicologico e sociale degli oggetti, oggi: gli oggetti sono privi di vita, eppure fondamentali per la nostra esistenza. Gli oggetti sono perlopiù inutili, ma spesso diventano più importanti degli esseri viventi. È una scala degli affetti del tutto deviata, che Bianca sviscera con impietosa lucidità. Non si tratta di una scelta casuale, poiché questo è anche un romanzo sul materialismo e i focus group servono proprio a introdurre le scene a più alto contenuto emotivo attraverso la dialettica freddezza/passione, superficialità/pienezza dei sentimenti.
La tragedia familiare presente nel romanzo si annusa sin dall’inizio, ma si svela nella sua compiutezza con un colpo di scena quasi alla fine. Come hai percorso la strada di ogni personaggio scavandone il fondo? Qual è stato il tuo percorso per arrivarci?
Il romanzo si sviluppa su piani temporali sconnessi, dove ogni personaggio offre il suo tassello per ricostruire gli eventi e arrivare al climax finale. Con un io narrante “ingombrante” come Bianca, però, il rischio era che gli altri personaggi risultassero meri comprimari, privi di un’adeguata costruzione. Invece ogni personaggio deve avere una propria precisa funzione (ma non essere “solo” funzionale, o diventa pretestuoso) e una propria unicità e attrattiva (ma non essere “solo” attraente, o non serve). Tenendo presente sempre questo mantra ho cercato di costruire le storie, le relazioni, gli intrecci, i contributi di ognuno, nella scalata verso il vortice finale.
Oltre all’affetto fraterno, la maternità è uno dei temi fondamentali della tua opera: dalla madre che impazzisce di dolore per la perdita di una figlia, alla donna che sente il bisogno ossessivo di cercare un figlio che non può avere, ho notato come tu abbia messo in evidenza il dolore in relazione alla corporalità dei personaggi delle donne che hai raccontato. Questa corporalità è stato il punto di partenza o il punto di approdo per raccontare?
È sicuramente un punto di partenza, anzi proprio uno dei motori della narrazione. Bianca si mostra a noi attraverso il suo corpo e il suo corpo è onnipresente: che lo offra al suo compagno o alle telecamere o ai marchingegni medici che sondano e classificano la sua malattia, ci parla di lei e ci descrive il suo insondabile dolore. Il dolore passa attraverso il corpo perché Bianca non è più in grado di elaborarlo attraverso i sentimenti, o non vuole farlo. E quindi proprio il corpo, inteso come veicolo della maternità, diventa la sua unica sua speranza di redenzione.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vorrei continuare a scrivere, e sto sviluppando un’idea legata sempre ai rapporti familiari “estremi”. Ma vorrei anche dedicarmi con più continuità all’attività di editor: vedere nelle pagine quello che l’autore voleva scrivere, e tirarlo fuori, è entusiasmante almeno quanto inventare storie.
Biografia
Nicoletta Verna è nata a Forlì ma vive a Firenze, dove si occupa di comunicazione e web marketing nel settore editoriale. È autrice di saggi e volumi su media e cultura di massa e ha insegnato Teorie e tecniche della comunicazione presso diversi atenei e istituti italiani. Il suo romanzo d’esordio Il valore affettivo ha ottenuto la Menzione Speciale della Giuria alla XXXIII edizione del Premio Italo Calvino.
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