24 Mag Piccoli giardini letterari
Piccoli giardini letterari
Intervista a Bianca Corso
a cura di Mario Valentini
Il libro è come un giardino da tenere in tasca.
Proverbio arabo
Chi a Palermo lavora con i libri o è semplicemente un buon lettore conosce certamente Bianca Corso, libraia presso la Feltrinelli, dove è responsabile del settore narrativa.
Se ancora oggi le librerie rimangono un presidio insostituibile, che la vendita on-line non riesce a soppiantare, è proprio per l’esistenza di librai come Bianca, che rendono una libreria (perfino una di catena come quella in cui lavora) un luogo di relazioni e di scambi a cui si fa fatica a rinunciare, grazie a una professionalità fatta sia di sensibilità che di conoscenza e cura dei libri.
Chi poi la frequenta anche al di fuori del luogo di lavoro sa che casa sua, tra spazi interni e esterni, è diventata da tempo un piccolo e stupefacente giardino, curato con perizia e consapevolezza invidiabili. Non si è dunque sorpreso più di tanto nell’apprendere come, in questo lungo periodo di forzato isolamento da cui stiamo provando a venir fuori, Bianca abbia dato avvio a un suo progetto personale in cui integrare e far convivere in un’unica pratica questi suoi due talenti: i libri e le piante.
Dal privato della casa in cui li crea, d’altra parte, i suoi Terrari letterari sono approdati anche nella libreria in cui lavora: è ormai da qualche mese che sono esposti in un ampio settore, denominato Wunderkammer, dedicato di volta in volta a proposte di letture a tema. Ed è così che tra le proposte degli ultimi mesi, in cui la Wunderkammer è stata dedicata interamente al tema del verde e dell’ambiente, tra un libro e l’altro, hanno trovato spazio anche i Terrari letterari di Bianca, che sono poi diventati una pagina instagram e una pagina facebook.
A volerli descrivere si potrebbe fare il gioco del se “fosse”. E dire che: se fossero un quadro sarebbero uno di quegli strani giardini fantastici di Paul Klee (“Paesaggio con uccelli gialli”, per dire); se fossero un film potrebbero essere “Avatar” (e più precisamente il pianeta Pandora, prima che l’uomo intervenga con i suoi bulldozer a devastarlo); se fossero una musica potrebbero essere un brano per pianoforte breve, netto, lento, concluso. Un notturno?
Ma per parlarne in modo più disteso e chiaro basta dire che i Terrari letterari sono piccoli giardini autonomi chiusi in una boccia di vetro. Sono dunque già loro, e per loro natura, una camera o spazio delle meraviglie. Ciascuno di essi entra in relazione con un libro, o con un brano tratto da un libro. Va da sé che sono anche prodotti, e che dunque possono essere venduti e acquistati. Ma, se avrete la pazienza di leggere la conversazione che qui segue, nel ripercorrere il modo in cui sono nati e sono stati pensati, vedrete che sono qualcosa di più e di altro da un semplice prodotto in vendita. Esattamente come un libro. Sono esercizi di pazienza, pratica di riflessione, dedizione alla cura del verde, occasioni per rendere più approfondite le proprie letture. E dunque anche occasione per ritornare più e più volte sui propri libri prediletti. Scusa per rileggere, insomma, in parte o per intero, interi libri. Sono un modo per riscoprire la qualità del tempo, per dare valore alle ore, come presi da un incantamento. Perché il tentativo di Bianca è proprio questo: catturare in questi giardini autonomi e in miniatura lo stesso incantamento che danno i giardini veri. E non è forse il libro stesso, a suo modo, un giardino? Uno scrigno chiuso che, non appena lo apri, lo scorri e ti ci inoltri, ti precipita in un mondo di legami segreti e di rivelazioni?
Che cos’è dunque un terrario, Bianca?
Il terrario è un piccolo giardino in miniatura contenuto dentro un vaso di vetro che ospita piante molto simili tra di loro. Sono tutte piante che amano l’umidità. La struttura si organizza sulla base di un drenante. Poi c’è uno strato di terra, spesso mista a sabbia. Dopo di che si vanno a impiantare in questo piccolo strato di terra delle piante che stanno bene tra loro e che vivono insieme in un equilibrio. Quest’equilibrio è dato dalla luce. Una volta che le piante vengono innaffiate e tenute aperte per un paio di giorni, i terrari si possono chiudere ermeticamente e rimangono in vita grazie a quel processo che tutti conosciamo come fotosintesi: di giorno la pianta prende la luce e consuma acqua; di notte invece produce anidride carbonica e umidità. L’umidità che produce di notte riempie le pareti del vaso e scivolando sotto forma di condensa sulla terra nutre il sistema. Ed è un sistema che, se va in autonomia, è completamente autonomo e riesce a stare anche tre o quattro mesi senza necessità di essere innaffiato.
Come sei arrivata a produrre questi terrari?
Ci sono arrivata perché amo moltissimo le piante. Ho avuto occasione di vedere questi terrari soprattutto sul web e mi ha molto affascinato la convivenza di queste piante all’interno di un piccolissimo spazio. Mi affascina il fatto che i terrari in qualche modo facciano da soli, che siano dei sistemi che si autogestiscono. E che tutte le piante in qualche modo collaborano per creare un microclima, un ambiente adatto a loro stesse. Puoi star lì a guardare tantissimi piccoli cambiamenti, che si possono osservare in modo molto semplice. Le piante crescono anche abbastanza facilmente, fanno le loro piccole foglioline, hanno poco bisogno dell’intervento esterno. Ogni tanto si rende necessario qualche leggero intervento, delle piccole potature, perché loro crescono velocemente. L’unico intervento che si deve fare è questo qua, alla fine.
Ma è una forma d’arte? E se lo è, in che senso?
Secondo me, un po’ sì. È come se fosse una piccola opera d’arte vivente. È chiaro che mettere insieme questa o quella pianta è un passaggio fondamentale per creare un sistema armonioso, anche bello a vedersi.
Quindi ogni terrario è pensato abbinando forme, creando intrecci e convivenze?
Quando inizio a fare un un terrario e devo decidere che piante mettere, è un momento comunque di ispirazione, perché ho davanti contemporaneamente varie piante con diverse forme, con diverse caratteristiche. Il loro abbinamento crea risultati sempre diversi, non tanto a livello di convivenza tra loro, perché alla fine appartengono tutte a una tipologia di piante che hanno la capacità di convivere bene tra loro. La cosa che cerco di fare è creare un insieme bello, che dia un’idea di leggerezza o che formi dei giochi di colore, accostamenti di verde anche particolarmente suggestivi.
Perché li accosti ai libri?
Perché la suggestione che viene fuori dall’osservazione di questi piccoli mondi, a livello di sentire mio personale, la loro bellezza, la loro atmosfera mi rimanda immediatamente alla letteratura, ai libri, a cose che ho letto, ad autori. L’idea di accostare il terrario a un autore, a un brano di un’opera letteraria, mi è venuta in una conversazione con una mia cliente, in libreria. Guardavamo la fotografia di un terrario che avevo fatto, e le ho detto: “guarda, questo rosa della fittonia mi ricorda una brano di Madame Bovary”. Le ho detto: “ti ricordi quando lei era in un giardino in attesa di uno dei suoi amanti e c’è questo muschio e c’è lo scrocchiare di questo muschio?”. Così ho iniziato ad associare a ogni terrario una citazione di un libro in cui si racconta qualcosa che, almeno per quel che mi riguarda, gli si avvicina. Io passo tantissimo tempo a cercare queste citazioni. Ed è per me un’occasione per rileggere libri che non avevo più letto da tempo.
Quel che cerco non è un’associazione necessariamente descrittiva. È un’atmosfera. Mi danno l’impressione che possano completare l’esperienza dei terrari che vado definendo.
Ma che cosa hanno a che fare un terrario con un libro?
Io ho associato due mondi che per me sono due esperienze di bellezza, due esperienze di crescita, due esperienze appassionanti, che muovono emozioni. Mi emoziona molto guardare questi mondi piccoli. Mi restituiscono un’idea di pace, di semplicità, di quiete. Anche l’esperienza del farli è un’esperienza che mi riconduce a me stessa. E poi ho pensato che se avessi dovuto associare delle parole per accompagnare questi piccoli mondi di bellezza, le parole che da sempre mi hanno accompagnata, mi hanno fatto crescere, mi hanno nutrita sono le parole della letteratura. E quindi ho capito che l’associazione era immediata, istintiva, spostanea. Non dico necessaria ma comunque naturale. Non faccio nessuno sforzo a mettere insieme le due cose.
Faccio ora una domanda alla libraia: pensi che ci sia una nuova e particolare attenzione verso i libri che parlano di piante? La richiesta di saperne qualcosa di più? Di conoscere finalmente questo mondo da sempre tanto ignorato e considerato di seconda o terza classe?
Secondo me sì. Le persone secondo me traggono un grande benessere dalle piante, e anche dalla gestione del verde, dall’attività del giardinaggio, dell’orto. L’esperienza che abbiamo vissuto nell’ultimo anno e mezzo, i lunghi lockdown, hanno accentuato questo aspetto. Anche per quel che riguarda me, questo tempo recente è stato un periodo in cui ho potuto dedicarmi a questa nuova esperienza, che forse in altre condizioni non avrei mai iniziato.
L’associazione tra mondo chiuso e autosufficiente come il terrario e l’esperienza del lockdown, in cui siamo stati chiusi, seprati e autosufficienti mi pare possa dare diversi spunti di riflessione.
La mia esperienza del terrario nasce in questo momento non a caso: nasce dalla solitudine, che è quella che abbiamo provato penso un po’ tutti. In particolar modo chi, come me, vive da sola. Nasce dal piacere di potere fare una piccola cosa che ti dà soddisfazione e che produce bellezza. Se fosse stato un altro momento della vita, senza tutto questo tempo da trascorrere a casa, forse nemmeno io avrei avuto modo di sperimentare questa pratica. Ho avuto il tempo per documentarmi. Avevo bisogno di dedicarmi anche a un momento di creatività entrando in contatto con un mondo così semplice. Per me, appunto, è stato introdurre nelle mie giornate un’esperienza di semplicità. È un esercizio di pazienza, perché lavorare a un terrario significa lavorare in un piccolissimo spazio, usando degli strumenti che mi sono anche costruita io, come tanti terraristi fanno. Ognuno si inventa i suoi piccoli strumenti: utilizza bastoncini, utilizza degli attrezzi da cucina per arrivare a gestire questo piccolo spazio di terra ed entrare in questa bottiglia posizionando le piante. Per me è un tempo buono, un tempo bello, e penso che molte persone si siano accorte, in questo periodo più che in altri, della necessità di ricavare per sé un tempo che abbia una particolare qualità. Il tempo dedicato alle piante, al verde, o anche all’orto, secondo me è un tempo in cui hai la possibilità di avere delle piccole soddisfazioni che puoi cogliere subito, che possono immettere bellezza nella tua vita, nelle tue stanze, nel tuo semplicissimo balcone o piccolo terrazzo o nell’appezzamento di terreno condiviso che hai preso in affitto.
Forse anche l’esperienza di un libro si porta dietro qualcosa di simile. Anche un libro è a tutti gli effetti un mondo concluso e autosufficiente. Questo parallelepipedo è in fondo un piccolo scrigno chiuso, che prende vita quando inizi a sfogliarlo.
Sì, in qualche modo lo è. Non dico che fare un terrario è la stessa esperienza che uno vive quando legge un libro, però ci si avvicina. Per me la sensazione di quando leggo un libro, quando entro dentro una storia, quando non vedo l’ora di tornare a casa perché devo sentirmi raccontare questa storia, è un’esperienza che nella mia quotidianità trovo in qualche modo simile.
Un proverbio arabo dice: “Il libro è come un giardino da tenere in tasca”. Mi è sembrata bellissima questa associazione tra il libro, che è un mondo chiuso, fatto di invenzione, di personaggi, di situazioni, di luoghi, di suggestioni, di esperienze in cui identificarsi, e questo piccolo mondo dei terrari, delle piante, che è fatto anch’esso di personaggi. Nel senso che ogni pianta ha le sue caratteristiche specifiche. Per quanto abbiano tratti comuni, ognuna ha il suo carattere: c’è quella che ha apparati radicali più grandi, quella che anche nel più piccolo spazio riesce a non invadere le altre. Ci sono invece quelle che si espandono, che prevaricano. Però è l’armonia tra tutti questi personaggi-piante che crea un equilibrio. Io trovo che ci siano grandi punti di unione tra questi due mondi: i libri e le piante. E anche rispetto a noi che siamo siamo stati in uno spazio autosufficiente e chiuso c’è un elemento di contatto forte.
Mi dicevi che iniziare a fare i terrari ti ha portato a rileggere un bel po’ di libri che non leggevi da tempo.
Inizialmente cercavo delle citazioni che avessero a che fare con il mondo della natura. Poi ho scoperto che in realtà non era necessario abbinare le due cose. Mi sono accorta, leggendo i libri che mi capitavano sotto mano, che anche i più insospettabili contengono tantissime descrizioni di momenti in cui la natura è presente, è vicina, entra nella narrazione. Per esempio, a caso, ho preso Il ritratto di Dorian Gray per rileggerlo e ho visto che in moltissimi momenti ci sono delle descrizioni in cui c’è il vento che apre una finestra, la permanenza in giardino di un personaggio o l’odore di un fiore che entra nella narrazione in maniera improvvisa. Non avevo considerato, prima, quanto la natura in tuttte le sue forme sia presente nei libri che noi leggiamo e come crei un ambiente, un clima. Forse è nata in me una sensibilità nuova. Questo a me piace molto, io potrei rileggere tutti i libri che ho già letto assecondando questa nuova sensibilità.
Biografia
Mario Valentini è nato a Messina (dove ha imparato a leggere e a scrivere), ha vissuto per diversi anni a Bologna (dove ha iniziato a scrivere racconti), ora vive a Palermo (dove scrive libri e insegna a leggere e a scrivere). Fa parte del Comitato di redazione della casa editrice Mesogea. Ha pubblicato raccolte di racconti e romanzi: “Voglia di lavorare poca” (Portofranco, 2001), “In certi quartieri”(Mesogea, 2008), “Come un sillabario” (Mesogea, 2015), “Così cominciano i serial killer” (Mesogea, 2018), “La minuscola” (Exòrma, 2018). Alcuni appunti tratti dai suoi taccuini li pubblica sul suo blog: https://mariovalentini.altervista.org
A settembre 2021 uscirà la sua prima racconta di vangeli, dei “Vangeli nuovissimi” appunto, con la casa editrice Quodlibet.
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