12 Nov Annie Ernaux: l’intervista
ANNIE ERNAUX: L’INTERVISTA
di Sara Manuela Cacioppo e Ivana Margarese
Traduzione di Sara Manuela Cacioppo
“La mia scrittura è ricerca del reale, del reale sociale, del reale collettivo, del reale delle donne. Quindi, in un certo senso, sì ho cercato di portare nuove immagini in letteratura, ho cercato di cambiare la letteratura, apportando il mio contributo nella grande rivoluzione delle forme letterarie cominciata molti anni fa”.
Annie Ernaux è una scrittrice coraggiosa e certamente un’innovatrice. Il suo stile intimo e analitico non lascia spazio alle mezze misure, ai coinvolgimenti tiepidi. Il lettore ne è comunque toccato. Ernaux ha il coraggio di raccontarsi, di aprire il baule della memoria e di raccontare senza sconti i minima moralia dell’esistenza. Ha dato voce e spazio a ciò che rischiava di passare inosservato sommerso da false credenze e ipocrisie: La lettura è capace di farci prendere coscienza delle cose che ci sono state sempre intorno pur non avendone avuto mai piena coscienza. In tutti i suoi libri, editi da Gallimard e da L’Orma in Italia, la Ernaux intreccia l’esperienza individuale a quella sociale e collettiva. Così se in “La Place” e “La honte” descrive l’ascesa sociale dei suoi genitori, in “La Femme gelée” si concentra sul suo matrimonio, mentre in “Passion simple”, “Se perdre” e “L’Occupation” narra delle sue passioni amorose spesso tormentate, fino ad affrontare temi delicati e di grande impatto sociale come l’aborto in “L’Événement”, la morte della madre in “Une femme” o l’anoressia, la bulimia e le prime esperienze sessuali in “Mémoire de fille”.
Il suo stile rivendica una scrittura neutra, “plate”, “che non valorizzi né svaluti i fatti raccontati”. L’ultima frase del libro “Les années” offre una sintesi della sua scrittura e delle sue ambizioni: Sauver quelque chose du temps où l’on ne sera plus jamais, sauver toutes les images qui disparaîtront.
Infine l’opera letteraria della Ernaux è influenzata da un approccio sociologico, in particolare dalle teorie di Pierre Bourdieu. La scrittrice opera dunque una ridefinizione dell’autobiografia trasformandola in un genere del tutto nuovo, l’auto-sociobiographie, in cui l’esperienza reale è raccontata da un je collectif, fulcro del legame indissolubile tra l’intimo e il sociale.
Sara Manuela Cacioppo: Nelle sue interviste così come nelle sue opere fa riferimento all’ambizione di agire sul pensiero tramite la scrittura. La sua écriture engagée contribuisce a correggere le ingiustizie sociali, a partire dalle differenze di genere e sessualità. In “La femme gelée” (La donna gelata), trasforma l’inconfessabile repulsione ed orrore per la propria vita-prigione in un percorso di liberazione e dolorosa presa di coscienza.
Elle a trente ans, elle est professeur, mariée à un « cadre », mère de deux enfants. Elle habite un appartement agréable. Pourtant, c’est une femme gelée. C’est-à-dire que, comme des milliers d’autres femmes, elle a senti l’élan, la curiosité, toute une force heureuse présente en elle se figer au fil des jours entre les courses, le dîner à préparer, le bain des enfants, son travail d’enseignante. Tout ce que l’on dit être la condition « normale » d’une femme.
Crede nel «potere politico» della letteratura?
Sì, cos’è la politica se non la voglia di cambiare le cose affinché non restino fisse, immutabili nel tempo che scorre. Vede, nella mia scrittura, anzi nel mio desiderio di scrivere c’è una speranza di poter cambiare, di poter migliorare il presente così come il futuro. Il cambiamento non sarà di certo globale né accadrà nell’immediato, ma sono convinta che toccherà il singolo, che le mie parole agiranno sulle coscienze individuali. L’accettazione del cambiamento da parte del lettore dipende anche dal rapporto che istaura con il libro che ha fra le mani. La lettura è capace di farci prendere coscienza delle cose che ci sono state sempre intorno pur non avendone avuto mai piena coscienza.
Quindi alla sua domanda rispondo sì, credo che i libri possano agire sul modo, credo che l’io di qualcuno possa agire su quello di un altro. Tuttavia, è necessario che i libri non siano solo riflesso dell’intimo, ma anche della società. È con questa convinzione che nel 1981 ho scritto “La Femme gelée” (La donna gelata), in cui, come lei ha efficacemente spiegato, denuncio l’ingiustizia secondo cui le donne, a causa del loro genere di nascita, siano obbligate a occuparsi delle faccende domestiche e dei bambini. Quando il librò uscii fece scalpore perché a quell’epoca non era abituale parlare di tali questioni liberamente come oggi. Pertanto ha ragione, l’ho scritto con la speranza di cambiare la società, di pretendere giustizia per le donne.
Sara Manuela Cacioppo: Lei rivendica uno stile di scrittura “reale” senza metafore o “espressioni eleganti”, quasi una forma di scrittura “documentaria”. Per andare oltre le gerarchie sociali e letterarie, mescola temi e registri linguistici, raccontando il mondo in un modo che è allo stesso tempo storico e individuale. “Fotografa” l’esperienza umana rivelandone le cangianti e talora oscure sfaccettature. La sua scrittura è un vero e proprio esperimento sia sul piano formale che contenutistico. Essa rifiuta l’autofiction a favore della verità, dell’esperienza intima del singolo che diventa “parola-confessione” e poi universalità. Pensa di aver inventato nuove “immagini” in letteratura?
Sono parolone importanti eh! Però è vero, le ho usate anch’io riferendomi al mio modo di scrivere. Ripercorrendo in mente il mio percorso letterario, penso di avere portato qualcosa di nuovo in letteratura, soprattutto nel ripensare la scrittura autobiografica, rendendola una scrittura non solo dell’intimità ma del sociale, una scrittura capace di evocare anche la sfera politica in cui è calato il mondo in cui viviamo. Questo mélange fra intimo e sociale non esisteva nella letteratura degli anni ottanta e novanta del secolo scorso. Posso rivelarle che in effetti ho sempre voluto cercare una forma adatta al pensiero che volevo esprimere, che sentivo il bisogno di comunicare. Questa ricerca stilistica continua mi ha permesso di rivoluzionare non solo il contenuto ma anche la forma tradizionale del testo letterario. La mia scrittura è ricerca del reale, del reale sociale, del reale collettivo, del reale delle donne. Quindi, in un certo senso, sì ho cercato di portare nuove immagini in letteratura, ho cercato di cambiare la letteratura, apportando il mio contributo nella grande rivoluzione delle forme letterarie cominciata molti anni fa.
Sara Manuela Cacioppo : Lei ha affermato che “i libri danno spesso una visione maschile del mondo”. In che modo le sue opere si impegnano a contrastare questa manipolazione invisibile?
Sono assolutamente convinta che viviamo assoggettati a una visione maschile del mondo, viviamo sotto l’egemonia dello sguardo maschile, quello che gli inglesi chiamano the male gaze. Lotto da sempre, con tutte le forze, per annientare questa visione dominante con il potere della scrittura. Tutti i miei libri sono pervasi da questo desiderio di rivalsa, ed è per questo che sono raccontati dallo sguardo di una donna, dagli occhi con cui una donna vede il mondo. Fin da subito il mio obiettivo è stato quello di mettere in luce una visione del mondo tutta al femminile, così ho raccontato le esperienze delle donne, le loro sofferenze, passioni, sensazioni. L’ho fatto già a partire dal primissimo libro che parlava di aborto, un tema importante su cui sono ritornata più tardi nel libro “L’événement” (L’evento). Invece il motivo che mi ha spinta a scrivere “Les années” (Gli anni) non era quello di lottare contro l’imposizione dello sguardo maschile, ma di mostrare come lo scorrere del tempo fosse percepito dalle donne in modo del tutto diversa rispetto agli uomini. Racconto la storia della Francia dagli anni quaranta fino ai giorni nostri, filtrata dalla sensibilità femminile: se lo avessi scritto secondo la visione maschile, di sicuro il risultato finale del libro sarebbe stato molto diverso. In “Les années” insisto sulle metamorfosi che le donne hanno subito, sugli eventi che le hanno cambiate: ripenso alle donne degli anni cinquanta, ripenso a mia madre paragonandola alla donna che sono oggi, alla donna del tutto diversa dal passato che sono diventata. Al centro del libro infatti vi è proprio questa evoluzione della donna nel tempo, in un confronto inesauribile fra ciò che era e ciò che è, fra il passato e il presente.
Sara Manuela Cacioppo : Ammiro la sua capacità di descrivere la sessualità femminile senza reticenze né pudicizie. In “Mémoire de fille” (Memoria di ragazza) racconta la sua prima notte di sesso con un uomo alla colonia di S a Orne. L’esperienza sessuale si diffonde ferocemente attraverso il suo corpo, intaccando ogni parte di lei persino il suo futuro. La penetrazione del corpo e dello “spirito” risuona nella sua memoria, producendo immagini indelebili, di dolore e annientamento del sé.
La scrittura infatti rende possibile la decostruzione dell’io martoriato e al contempo la sua ricostruzione. Il processo di rimemorazione intrappola nella scrittura il ricordo, la sofferenza, tutto resta immobile nelle parole. L’esperienza personale trova il suo compimento fra le pagine, ed è lì che deve essere “abbandonata” per andare avanti. Tale trasformazione e rinascita per mezzo dell’atto di scrittura richiede una coraggiosa rinuncia al dolore, alla falsità, all’ipocrisia verso se stessi, in un continuo conflitto tra accettazione e resa. In « Mémoire de fille » scrive: J’ai voulu l’oublier aussi cette fille. L’oublier vraiment, c’est-à-dire ne plus avoir envie d’écrire sur elle. Eppure non l’ha dimenticata non è così? Quella ragazza è intrappolata nel libro, ma non l’ha dimenticata.
No mai. Non posso dimenticare la ragazza che sono stata, non si può dimenticare un trauma subito, soprattutto quando accade qualcosa che intacca l’essere nella sua completezza. Quando si subisce un trauma talmente grande da avere un impatto sia sulla tua intera giovinezza che sul tuo rapporto con gli uomini, la vita ne è condizionata per sempre. Traumi del genere non possono essere cancellati dalla memoria. Non posso dimenticare chi sono stata.
Per riallacciarmi anche al discorso di prima: non so se conosce lo scrittore francese, Serge Doubrovsky, morto qualche anno fa. Lui in uno dei suoi libri, scritto circa negli anni novanta, prova a ricordarsi della prima ragazza con cui ha fatto l’amore, scrive, scrive, cerca di ricordare, ma mentre le pagine si susseguono il ricordo non emerge. Ecco, vede? Questo per me è assurdo, oserei dire scandaloso. Questo esempio che le ho fatto mostra la profonda differenza, non solo fisica ma ontologica, fra l’essere maschile e femminile: io non potrei mai dimenticare un’esperienza importante della mia vita o se la dimenticassi per sfortunati eventi che non dipendono dalla mia volontà, cercherei un modo per recuperarla.
Sara Manuela Cacioppo: Nel romanzo «L’Occupation» ritrae una gelosia ossessiva, una passion noire che infesta letteralmente il suo immaginario. Cos’è per lei la gelosia? Chi è l’ètre occupé ?
Partiamo dal presupposto che i miei libri provengono sempre da qualcosa che ho vissuto.
Infatti anche questo libro è una storia vera…
Lo è assolutamente… Io penso che sia naturale, che nella scrittura ci siano sempre “segni di verità”. Per rispondere alla sua domanda, la gelosia è il contrario della passione ma è passione essa stessa, una passione oscura. Il termine occupé descrive la sensazione di essere riempiti completamente da qualcun altro, riempiti nella mente e nel corpo. L’etre occupé vive appunto una passion noire, cioè una passione negativa che implica due persone: la persona di cui vorrebbe possedere l’amore in maniera completa, totalizzante, e l’altra persona che ha preso il suo posto accanto all’uomo che amava e che rivorrebbe con sé. L’occupante principale diventa allora non l’uomo di cui è innamorata, ma l’altra, colei che l’ha sostituta. L’occupazione è la scomparsa di se stessi a causa dell’altro, è un déplacement dell’oggetto amato. Come può capire, è un’esperienza estremamente interessante, ma estremamente dolorosa.
Sara Manuela Cacioppo: In un’intervista rilasciata a Fréderic-Yves Jeannet (L’Écriture comme un couteau, 2011), ha dichiarato: Non mi considero un’entità singola, io sono una somma di esperienze, di determinazioni sociali, storiche, sessuali e di linguaggi continuamente in dialogo con il mondo. L’esperienza forma necessariamente una soggettività unica, ma io uso tale soggettività per trovare e rivelare meccanismi o fenomeni più generali e collettivi. L’influenza dell’approccio sociologico è evidente nei suoi scritti, possiamo parlare in effetti di auto-sociobiographie. Dunque nelle storie che racconta l’intimo è sempre legato al sociale?
Certamente. Noi siamo “esseri sociali”. Siamo individui immersi in un ambiente sociale definito, non esseri fluttuanti. Abbiamo, è ovvio, una psicologia soggettiva, ma anche quest’ultima in quanto formatasi in una collettività è sempre condizionata dalla storia e dall’ambiente sociale in cui siamo nati e cresciuti. È per questo che nei miei libri intreccio l’intimo al sociale, sono quasi imprescindibili. In essi troverete sempre una dimensione che definirei sessuata e sociale.
Ivana Margarese: In Una donna riporta in epigrafe un’affermazione di Hegel secondo cui la contraddizione, che sembrerebbe impossibile da pensare, è nel dolore di chi vive qualcosa di reale. Allo stesso modo leggere libri è un’appassionante maniera di voler comprendere il mondo che deve arrestarsi tuttavia nell’ammettere che il modo in cui ci guardano gli altri rimane comunque più potente di qualsiasi libro. La cultura non può proteggere da tutto. C’è in effetti nella sua scrittura, a mio parere, un esercizio ossimorico nella tessitura continua di parti lacerate, nella tensione tra ciò che soffoca e ciò che apre a altro e nel coniugare insieme ironia e entusiasmo.
La mia scrittura è una continua riflessione. Quando mi metto a scrivere infatti rifletto su ogni affermazione, su tutto ciò che quell’affermazione può significare, su tutto ciò che può essere vero così come su ciò che può non esserlo. Cerco di spiegarmi. Quello che intendo è che ogni scrittura è sempre un interrogarsi sulle cose del reale. E questo è uno dei motivi per cui ho inserito la frase di Hegel in epigrafe nel libro “Una donna”. Tutto quello che dico su mia madre in questo libro, lo potrei dire in un altro modo. So bene che ci sono cose di lei che non conosco, quello che scrivo del resto è solo il mio punto di vista.
Ivana Margarese : Vorrei fare una domanda sul rapporto col materno e sul valore simbolico e culturale della figura della madre a cominciare dall’esempio della Vergine Maria e del suo essere immacolata, senza macchia, ombre e egoismi. Il ritratto che offre di sua madre nei suoi libri è tutt’altro che piatto e rassicurante. Emerge sia una vitalità, una capacità di condividere il desiderio, sia una durezza che deriva anche dalla frustrazione di quello stesso desiderio. Per me, come figlia e forse come madre in futuro, è fondamentale riconoscere e accettare l’ambivalenza del rapporto con la madre, il senso di accettazione che coesiste con quello di paura e la capacità di riconoscere entrambi. Qual è la sua opinione sull’argomento?
Penso che la relazione che intercorre fra una madre e sua figlia sia sempre molto ambigua, nel senso che è difficile sia da percepire con lucidità, che da raccontare o da cogliere nelle sue sfumature complesse. È un rapporto che evolve con gli anni, non è fisso o immutabile e come tale deve essere compreso e interiorizzato. Tornando al libro citato in precedenza, “Una donna”, le posso dire che se lo scrivessi da capo, non potrei scriverlo uguale perché il tempo è passato. Se oggi riscrivessi quel libro su mia madre, magari lo scriverei in modo diverso.
Ivana Margarese : Ha dei particolari riti di scrittura?
Diciamo di sì. Scrivo al mattino, ma devo essere sola, non posso scrivere se ci sono persone intorno o dei familiari in casa. Questi sono i miei riti abituali, per il resto scrivo tanto al computer che a mano.
Ivana Margarese : Vorrei parlare di una questione complessa: l’aborto. In Italia, dove la legge 194 dovrebbe essere un diritto acquisito da più di quarant’anni, forse per la forte influenza cattolica, il numero di obiettori di coscienza ha raggiunto cifre inaudite. L’aborto è ancora un argomento poco discusso, associato al senso di colpa e al rimpianto. Lei invece ha avuto il coraggio di parlare dell’aborto, dando voce a molte donne attraverso la sua esperienza. Cosa pensa che si possa imparare e trasmettere attraverso il dialogo su questa esperienza?
Tempo fa non era possibile scrivere sull’aborto in modo esplicito poiché quest’ultimo era formalmente proibito in Francia a causa della legge del 1920, che è stata abolita, pensi, solo nel 1975. Prima non si poteva scrivere di aborto se non sotto forma di allusione, mai con estrema chiarezza o completezza nel riportare i fatti. Inoltre parlando di aborto non si poteva scrivere in prima persona e mai in modo autobiografico. Quando si è potuto trattare l’argomento in maniera schietta, era già passato del tempo e quell’esperienza sembrava un ricordo conservato nella memoria, ma fissato sulla carta. Ecco, penso che la letteratura possa avere un ruolo importante in tal senso: nel fissare l’esperienza del singolo e al contempo della collettività di cui egli fa parte.
Ciò che conta per me è descrivere le mentalità, le evoluzioni della società e i suoi diversi aspetti e problematiche, così come i modi di vivere, le novità che fanno andare avanti il mondo, i cambiamenti storici della società francese.
Ivana Margarese : Uno dei compiti della filosofia è la ricerca della verità, la comprensione della realtà senza pretese. La sua scrittura è anche una ricerca della verità. Mi piacerebbe poter tracciare una possibile genealogia dei “filosofi” che hanno segnato il suo modo di pensare e di scrivere.
Di sicuro Simone de Beauvoir, i suoi scritti hanno influenzato la mia vita, il mio modo di pensare, ma prima di lei ricordo Jean-Paul Sartre: leggere La nausée (La nausea) da ragazza è stato per me un vero e proprio shock. In ambito letterario invece potrei elencare molti autori che mi hanno profondamente segnata, ad esempio i grandi scrittori americani, in particolare ricordo il libro Les Racines de la colère (The Grapes of Wrath) di Steinbeck, e poi sicuramente Virginia Woolf, l’ho letta quando avevo venticinque anni, l’ho amata molto e l’amo ancora.
Ivana Margarese: Sta già scrivendo il prossimo libro?
Sì lo sto scrivendo, è un libro importante in termini di “estensione temporale” nel senso che copre parecchi anni personali, ma li racconta in modo diverso rispetto al libro che ho già pubblicato “Les années”.
Biografia
Annie Ernaux è nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera è stata consacrata dall’editore Gallimard, che ne ha raccolto gli scritti principali in un unico volume nella prestigiosa collana Quarto. Nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti. Finora L’orma editore ha pubblicato Il posto, Gli anni, vincitore del Premio Strega Europeo 2016, L’altra figlia, Memoria di ragazza, Una donna, vincitore del Premio Gregor von Rezzori 2019, La vergogna, L’evento e La donna gelata.
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