20 Dic Paesaggio come Giano bifronte. Ambivalenze e prospettive di un concetto di attualità di Monica Ugolini, Università di Urbino
Paesaggio come Giano bifronte. Ambivalenze e prospettive di un concetto di attualità
di Monica Ugolini, Università di Urbino
Non sono molti i concetti così alla moda e trasversali ai saperi dominanti, ma anche tanto ambigui e soggetti a pluralità e divergenze interpretative, come il paesaggio.
È un tema ed una questione tornati in auge nei tempi relativamente recenti e giustamente indagati da diverse discipline perché rivelano una sfaccettatura di aspetti, comportano una vastità di problematiche, coinvolgono una molteplicità di interlocutori e richiedono un composito ventaglio di competenze, …. D’altra parte il paesaggio costituisce il prisma ottico che raccoglie e fa convergere in un’unica progettualità istanze sociali e ambientali spesso contrapposte, suscitando, negli operatori, interessi molteplici e talora opposti, ma obbligandoli ad un’opera condivisa, esigendo numerose abilità professionali e politiche ben delineate. Per questo è importante un’indagine pluralistica, capace di dare voce a studiosi e cultori di varia estrazione culturale affinché ognuno, dalla propria prospettiva, possa fare luce su un soggetto polisemico e poliedrico, valorizzandolo con le proprie specificità e il dialogo aperto ad altri e dinamici apporti disciplinari.
Nonostante la moderna esigenza di partecipazione e ineludibile collaborazione, va riconosciuto come, dopo la pittura, la disciplina geografica sia stata la prima ad occuparsi della tematica, per opera di uno dei maggiori geografi tedeschi dell’Ottocento, Alessandro von Humboldt. Grazie a lui, brillante ed avventuroso viaggiatore nonché fecondo studioso e scrittore, il paesaggio diventa un concetto principe della disciplina tanto da far sostenere che l’evoluzione del concetto coincidesse con lo sviluppo stesso della geografia.
È con il geografo tedesco che il paesaggio da semplice visione, legata al momento estetico ed artistico (“oscuro sentimento”), diventa chiara conoscenza, perché viene indagato con i criteri della logica cartesiana che riconduce alla visione finale d’insieme. Pertanto il paesaggio consiste nelle forme che il territorio assume in conseguenza di nessi di causa-effetto, è una mirabile realtà oggettiva, produce conoscenza scientifica ed è, pertanto, esterno all’osservatore.
Così per Humboldt. Ma non per Carl Ritter, anche lui tedesco ma sensibile alle atmosfere romantiche, per il quale il paesaggio non poteva essere spiegato attraverso rapporti di causa-effetto, ma doveva essere, e poteva essere, compreso e sostanzialmente interiorizzato. Va da sé che in questo caso il paesaggio è una realtà soggettiva che nasce dal soggetto, dall’interno, conseguenza e risultato delle sue capacità di vedervi e cogliervi quello che non è materialmente manifesto, di individuare nella complessa architettura che lo circonda, segni e valori di grande significato e importanza.
I due differenti modi di intendere il concetto fa nascere effetti e sviluppi diversi: l’impostazione di Humboldt è la base per ricerche legate alla pianificazione, quella di Ritter apre la strada a nuove interpretazioni ricche di contenuti spirituali. Anche in Italia, dove, decenni dopo, Eugenio Turri è ricorso all’immagine comparativa del teatro, luogo in cui il soggetto, attore e spettatore, esibisce la propria individualità con propri ruoli, visioni, sensibilità: una personale visione della realtà su una scena esterna (realtà territoriale) fino a giungere al concetto di paesaggio culturale e ai suoi diversi indirizzi (semiotico, spiritualista, ecclettico). Questo, in particolare in area italiana, con Giuliana Andreotti, geografa di Trento, che negli anni Novanta ridefinisce il concetto di paesaggio come un complesso di valori che specchiano e rimandano alla spiritualità delle comunità, valori avvertiti e riconosciuti da personalità con elevato livello intellettuale e sensibilità estetica (soprattutto i poeti). Con l’introduzione dell’elemento sensoriale agli indicatori oggettivi si afferma sempre più la dimensione percettiva che, conciliando oggetto e soggetto, consente una visione del paesaggio da molteplici, ed anche contraddittori, punti di vista.
È quanto sottolineato da Giuseppe Dematteis, che considera il paesaggio come oggetto e come soggetto raccordando, così, i volti solo apparentemente collidenti. Nel primo caso si osserva e studia il paesaggio come simbolo, ossia un insieme di segni da interpretare e, nel secondo, lo si valuta come modello, ovvero come costruzione razionale. Entrambi i momenti producono diversi comportamenti a seconda dell’importanza attribuita al soggetto o agli elementi fisici (Ugolini, 2017, pp. 40-41).
Con analoghi accenti Adalberto Vallega parla di concezione oggettiva e soggettiva del paesaggio: la prima privilegia esclusivamente la dimensione materiale, limitando, pertanto l’analisi ai soli elementi tangibili, legati da rapporti di causalità, mentre la concezione soggettiva esamina anche la componente immateriale del paesaggio e quindi comprende valori e simbolici che ognuno di noi, con i propri filtri percettivi, attribuisce ai diversi componenti paesaggistici. (Vallega, 2008). Il paesaggio, “vale a dire come segno che si materializza per un gioco combinato di fattori ecologici ed umani” e come “come manto di valori attribuiti ad un territorio assunto essenzialmente come spazio culturale” (Vallega, 2007, pp. 49-52).
La storia del paesaggio nella disciplina narra una dinamica costituita da un andirivieni tra una concezione imperniata sulla centralità della natura (il paesaggio come geosistema-ecosistema degli anni Settanta) o fondata sugli aspetti umani, culturali o socio-economici (centralità del soggetto). Un doppio binario contemplato dall’Unesco che lo definisce patrimonio culturale e naturale e, per la prima volta, introduce alcuni paesaggi nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità, mentre il Consiglio d’Europa si avvia a promuovere una politica di tutela del paesaggio (Convenzione Europea del paesaggio, 2000). Quindi un duplice filone: il paesaggio culturale e tutela paesaggistica.
Nonostante qui non si intenda, per motivi di spazio e di opportunità, ripercorrere l’evoluzione del concetto nella disciplina, va accennata la diversa posizione della scuola francese (prima metà del Novecento) dove il paesaggio è forma, oggetto esterno, prodotto soprattutto della cultura (e non solo della natura), quindi delle tecniche e delle pratiche del gruppo sociale; ha un suo volto, è qualcosa che circonda gli uomini e che si modella con il loro contributo, cosicché identifica i luoghi. Certamente nella scuola francese la tematica è sviluppata diversamente dai suoi esponenti: sicché avremo una connotazione economica, sociale, storica e quindi una realtà condizionata da scelte e decisioni politiche, finanziarie, dal gioco dei mercati e dalle interferenze, celate e taciute, dei centri di potere.
Negli ultimi anni la disciplina, pur non escludendo le componenti fisiche, ha connotato il paesaggio più come un “livello gerarchico superiore che trascende, nell’ordine, l’ecosistema e il geosistema ed è governato e distinto dall’immaterialità. Infatti l’ambiente e il territorio sono gradini di complessità progressiva che tuttavia non raggiungono quella del paesaggio” (Persi, 2017, p. 62).
Il paesaggio comporta una visione integrata, non è una semplice somma di elementi (che si modificano, mutano e si condizionano) e di interpretazioni, ma è qualcosa di estremamente composito e differenziato, retto da logiche che ne fanno un unicum olistico e pervasivo. È stratificazione, è identità, storia, un documento pregno di informazioni territoriali, sui rapporti con l’ambiente, sui generi di vita, sui conflitti sociali, sulle relazioni politiche e culturali. È pertanto un patrimonio di cultura e di alta civiltà. Quindi non solo semplice interazione tra natura e uomini, ma è etica che poi diventa estetica, armonia (pur nella sua inevitabile e interna conflittualità). È folgorazione, illuminazione, spiritualità, intimità tra uomini e luoghi, è qualcosa che trascende la dimensione corporea e materiale: è anima, l’anima dei luoghi e delle comunità umane.
Come ben sottolineato da Andreotti il paesaggio è euritmia, molto di più della composizione ritmica perché comprende intimità, familiarità, confidenza, fino a includere anche ciò che sembra dissimile (Andreotti, 2021, p. 189). È un componimento, un’ode scritto da donne e uomini, che parlano, narrano di sé e della loro concezione del mondo, raccontano i loro valori, che non sono più individuali e superano il monologo per diventare sociali: “i paesaggi formano il sudario che avviluppa il mondo […]. La sofferenza che nasce dalla fatica del lavoro, dalla lotta titanica con la natura matrigna […], dalle prevaricazioni sociali dei forti sui deboli […]. Ma un tale e maculato sudario reca anche il suggello della genialità umana, del progresso morale e tecnologico…” (Persi, 2009, p. 2).
Il paesaggio quindi accoglie in sé elementi funzionali e materiali, ma è gravido di umanità e per tale ragione diventa vivo, palpitante, relazione, proiezione soggettiva. Pertanto presuppone l’azione, l’agire, il coinvolgimento della popolazione che abita e vive le componenti naturali (materiali) del paesaggio, ma anche quelle immateriali, i valori espressi in segni che formano l’identità collettiva; valori materiali e immateriali che trasformano uno spazio in luogo (il genius loci che plasma e rende unica e irripetibile una località). Di qui l’importanza della sensibilizzazione: saper guardare e vedere per poi agire per il benessere sociale; sensibilizzare ed educare al paesaggio perché, oltre ad essere patrimonio naturale, è capitale culturale, identitario, “esprime l’uomo, ma allo stesso tempo fa l’uomo” (Andreotti, 2021, p. 10).
Parlare di paesaggio significa, quindi, chiamare in causa tanti concetti e problemi, tutti ugualmente pregnanti che ci impegnano sul piano educativo e formativo, individuale e collettivo. Allo scopo sono chiamati più attori con progetti condivisi e pluridisciplinari, tesi a rispondere a un soggetto continuamente in evoluzione e plurimo nelle forme, nelle funzioni, nelle percezioni, nei significati progettuali; ma soprattutto in grado di realizzare interventi coerenti per la gestione e la pianificazione, in accordo con gli elementi naturali e in armonia con le percezioni e le rappresentazioni. Si tratta di stabilire un circolo virtuoso che unisca visioni, comportamenti e soprattutto decisioni lungimiranti capaci di riflettersi in modo armonico sul paesaggio.
Di qui il discorso interdisciplinare focalizzato sul paesaggio e diretto al rilancio territoriale e alla compatibilità dello sviluppo economico con le risorse locali, materiali e spirituali. Con un impegno che coinvolga più voci le quali possano esprimere, ognuna con le proprie potenzialità epistemiche, i bisogni della comunità e siano capaci di includere le organizzazioni autoctone, rianimandone i caratteri identitari e riproponendo nuovi equilibri spaziali, in un’ottica planetaria di vera e illuminata sostenibilità.
Bibliografia
Andreotti G., Nobiltà del paesaggio, Valentina Trentini editore, Trento, 2021.
Dematteis G., I piani paesistici: uno stimolo a ripensare il paesaggio geografico, «Rivista Geografica Italiana», 96, 1989, Firenze, pp. 445-457.
Persi P., Palpito dell’universo. Paesaggio, paesaggi. Le Marche come laboratorio e i siti dell’Unesco, in Territori contesi. Campi del sapere, identità locali, istituzioni, progettualità paesaggistica, “Atti del IV Convegno Internazionale Beni Culturali, Pollenza luglio 2008”, Urbino, Università degli Studi, 2009.
Persi P., Volti e risvolti del paesaggio geografico. Contenuti, demarcazioni e dinamiche di sviluppo, in M. Ugolini (cur.), Voci sul paesaggio, EUM, Macerata, 2017, pp. 59-89.
Ugolini M., Paesaggio e geografia. Un sinergico cammino tra teoria e potenzialità applicative, in M. Ugolini (cur.), Voci sul paesaggio, EUM, Macerata, 2017, pp. 11-58.
Vallega A., Paesaggio come prassi e rappresentazione, in Ghersi A. (cur.), Politiche europee per il paesaggio: prospettive operative, Gangemi, Roma, 2007.
Vallega A., Indicatori per il paesaggio, Franco Angeli, Milano, 2008.
Biografia
Monica Ugolini è docente di Geografia/Didattica della Geografia e di Geografia Sociale presso l’Università di Urbino “Carlo Bo” (Dipartimento Studi Umanistici). Ha pubblicato numerosi lavori su aspetti diversi della geografia, da quella regionale alla geografia medica e sociale, con particolare attenzione ai paesaggi agrari e alle relative questioni di identità, mobilità demografica, rivalutazione dei beni culturali materiali e immateriali. Il tutto mirato alla promozione di territori funzionalmente decentrati, ma non privi di preziosi valori: quindi secondo le finalità e l’ottica del progetto dell’Unione Europea di recupero e valorizzazione delle aree interne.
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