04 Gen George Sand e l’autobiografia come strumento di costruzione identitaria
George Sand e l’autobiografia come strumento di costruzione identitaria
di Sara Manuela Cacioppo
George Sand è una delle scrittrici più interessanti e poliedriche del XIX secolo. Attraverso una breve riflessione sulla sua opera più famosa “Storia della mia vita” (1855) noteremo come la scrittura dell’Io o scrittura autobiografica contribuisca alla costruzione identitaria dell’individuo. Tuttavia, è importante sottolineare che l’écriture intime non è esente dai contributi apportati dalla fiction, anch’essa concorrente alla messa in scena dell’identità.
Perché è importante scrivere un’autobiografia? George Sand risponde al quesito, con la precisione e la sagacia che la caratterizzano, già nelle prime pagine di Storia della mia vita, in cui afferma che raccontarsi non è un compito facile, semmai un “dovere doloroso”. Sand scrive per tirare fuori le parti più nascoste di se stessa, associando pertanto l’atto di scrittura a un vero e proprio “lavoro di scavo”, volto a portare alla luce la natura del soggetto scrivente: la scrittura come ‘autoesame dell’esistenza’. Ciononostante Sand ribadisce l’incompiutezza dell’essere umano, incapace di arrivare a una piena conoscenza di sé e del mondo: “conoscersi è uno studio tedioso e sempre incompleto.” La scrittura si pone come mezzo di rivelamento dell’Io e al contempo come suo sfidante, in un gioco di palesamenti e finzioni di cui George Sand è sia autrice che protagonista. Ricordiamo a tal proposito che Sand, d’accordo con i precetti di Sant’Agostino, ritiene che l’autobiografia non sia solo un mezzo per comprendersi, ma anche un rimedio per lo spirito, una medicina per l’anima capace di far nascere un individuo nuovo e consapevole.
Tutta l’opera sandiana è un ventaglio di identità complesse di non facile interpretazione, a partire dalla scelta di attribuirsi uno pseudonimo peculiare. È importante notare che tale pseudonimo, sebbene sembri appartenere al genere maschile, manifesta una volontà di abbattimento delle categorie di genere attraverso un lavoro di mélangemnt continu. “George” esiste solo nella scrittura, si parla infatti di “identità dello scrittore”. Tale identità permette ad Aurore Dupin di reinventarsi nella pagina bianca: lo pseudonimo acquista son sens solo per mezzo della scrittura, come se il testo scritto formasse se stesso e l’identità di colui che scrive: la scrittura come spazio di costruzione o per meglio dire ricostruzione dell’Io.
L’idea della scrittrice è infatti quella di far coesistere le alterità sessuali (femminile e maschile) nelle pagine, creando un’identità “nuova” in un “nuovo” spazio di scrittura. È in questa prospettiva che si può leggere la scelta dello pseudonimo maschile, volto a legittimare la voce femminile attraverso la mascolinità. Il nome stesso, “George”, rappresenta graficamente l’alterità e l’incontro fra i generi in quanto nome maschile con desinenza femminile (la vocale francese “e”). Se ne deduce l’impossibilità di includere tale pseudonimo nell’uno o nell’altro genere sessuale, perché una scelta univoca implicherebbe il disconoscimento e la svalutazione della sua complessità per applicargli una mediocre normalizzazione. Lo pseudonimo perde allora il suo statuto di nome falso per indicare semplicemente una seconda nascita data dall’opera pubblicata. Va da sé che tale nome fittizio sostituisca il nome proprio con la stessa connotazione identitaria: dà all’autore la sua nuova “pelle”.
Questo matrimonio combinato tra testo e identità è visibile in Lélia (1833), dove l’oggetto del romanzo è la ricerca dell’identità, sia personale che testuale, nonostante la sua appartenenza al genere romanzesco. La natura identitaria duplice e incerta di Lélia si riflette nella coesistenza di prosa e poesia, nell’identità testuale dell’opera
La domanda che sta alla base di molti dei romanzi di George Sand è: “Chi sono io?” La scrittrice lo rivela in Storia della mia vita, liberandosi a un racconto intimo pur avvertendo il lettore di possibili omissioni relative al suo vissuto, esplicitando che non si presterà a una confessione senza reticenze, facendo un riferimento critico a Rousseau. Benché i fatti siano presentati in ordine cronologico, il flusso temporale è veloce, il che fa sì che lo discosti dal tempo della realtà.
Sand precisa il suo intento di non volere raccontare la sua vita come fosse un romanzo, ma al contrario di volersi allontanare dal romanzesco e dagli artifici linguistici perché “la forma ne oscurerebbe l’essenza”. Il ruolo basilare della scrittura si attua nel tentativo di una rappresentazione di sé che sia fedele alla realtà, senza abbellimenti formali o invenzioni sul piano del contenuto. L’identità del testo si fa specchio dell’identità dell’autrice: in entrambi i casi emerge il bisogno di cercare la ‘nuda verità’.
Per rispondere a tale esigenza di rappresentazione del vero, Sand si abbandona alla spontaneità, “parlando senza ordine né sequenza, cadendo anche in qualche contraddizione”; del resto la natura umana “non è altro che una rete di incongruenze”, spiega Sand.
Storia della mia vita è basato sulla storia della famiglia dell’autrice. Sand racconta gli eventi che hanno segnato la sua vita, dall’infanzia all’età adulta, dalla morte del padre alla rivalità tra sua nonna e sua madre, e infine la sua carriera letteraria.
Uno degli aspetti più originali del libro è la coesistenza di due fatti indivisibili: la storia della vita di Sand inizia e acquista senso solo attraverso quella del padre e della sua genealogia: Sand deve al suo passato la persona che è diventata. La scrittrice, come aveva fatto Chateaubriand in Mémoires d’outre-tombe, usa la genealogia familiare per scoprire la sua identità.
Sand dice a questo proposito: “Per mettere ordine nel corso della mia storia, devo continuare a seguire quella di mio padre…” L’Io è così costruito sulla base di una filiazione ineludibile.
Il testo, scritto principalmente in prima persona, offre un punto di vista interno rispettando la concordanza tra l’autore, il narratore e il personaggio, permettendo al lettore di conoscere i sentimenti del narratore nel corso della lettura. L’uso del tempo passato denota un effetto retrospettivo: il tempo della scrittura è posteriore al tempo della vita vissuta. I participi passati al femminile confermano il legame tra l’autrice e la narratrice. È interessante rimarcare che l’introduzione del modo infinito al posto della prima persona segna il passaggio dalla storia individuale alla storia delle donne in generale. In effetti, Storia della mia vita è anche un testo dedicato alle donne, scritto da una donna in un periodo storico in cui le donne non avevano posto che spettava loro nella letteratura. Per le scrittrici era difficile affermare la loro presenza, la loro voce. George Sand offre un esempio ammirevole di combinazione fra genere autobiografico e romanzesco, rappresentando nelle sue opere una moltitudine di sfumature di un Io multiforme. Tra originalità, sperimentazione testuale, identitaria e di genere George Sand resta tutt’oggi una delle autrici più discusse e studiate nel mondo.
Bibliografia
Nathalie Desgrugillers, George Sand, ma grand-mère Marie Aurore de Saxe : Correspondance inédite et souvenirs, Clermont-Ferrand, Éditions Paleo, coll. « La collection de sable », 15 juin 2011, 178 p.;
Nicole Mozet, George Sand : écrivain de romans, Saint-Cyr-sur-Loire, Éditions Christian Pirot, coll. « Voyage immobile », 31 janvier 1997, 214 p.;
Roger Pierrot, Jacques Lethève, Marie-Laure Prévost, Michel Brunet et la Bibliothèque nationale de France (dir.) (préf. Georges Le Rider), George Sand : visages du romantisme, Paris, Bibliothèque nationale de France, coll. « Catalogue d’exposition », 20 janvier 1977, 208 p.;
Robert Ranjard, Le secret de Chenonceau, Tours, Éditions Gibert-Clarey, 8 juin 1976 (1re éd. 1950), 256 p.;
George Sand, Histoire de ma vie, 1854;
George Sand, Lélia, 1833;
Gorge Sand (préf. Georges Lubin), Correspondance : janvier 1849 à décembre 1850, vol. IX, Paris, Éditions Classique Garnier, 1972;
Séverine Vidal et Kim Consigny, George Sand, fille du siècle, Delcourt, 2021.
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