21 Gen Francesca Serragnoli, La quasi notte
Francesca Serragnoli, La quasi notte
di Giorgio Galli
Immagini di Leonor Fini
Nella poesia di Francesca Serragnoli il paesaggio è, se non interiore, fortemente interiorizzato. Gli elementi esterni sono investiti di una forte carica simbolica e ad essi la poetessa si rivolge con un’attenzione creaturale.
Ne La quasi notte (MC edizioni, 2020) la poesia nasce da una visione, se non religiosa, sacrale, da un senso miracolistico delle cose.
Scrive Pasquale Di Palmo nel risvolto di copertina: “Una sorta di preghiera laica, un salmodiare attento e misurato che respinge la dinamica del grido, per accogliere in sé una parola sussurrata a fior di labbra, che ha la compostezza di una rosa coltivata interiormente, con acredine, pazienza, dedizione assoluta”. Colpisce in questa poesia il contrasto fra l’erompere della forza vitale e la presenza, altrettanto vigorosa, del dolore. I due termini però non creano mai un contrasto drammatico: piuttosto risultano parte di una visione tragica, dove gioire e soffrire sono legati l’uno all’altro come la luce e l’ombra. “Vivrò ai margini di quel sorriso di neonato / come i signori che dormono in terra / con la vita tutta lì / poco più alta di un fiore” scrive la poetessa; ma poco oltre, citando Christophe Manon, richiama invece “il soffio nero del vento nel fogliame / doloroso nelle mie viscere”. Il sorriso e le viscere dolorose, il sorriso e la morte si presentano come oggetti complementari. Il soffio nero del vento del fogliame è elemento della natura, ma fortemente simbolizzato.
La poesia di Serragnoli è estremamente concreta nel nominare le cose, eppure nulla in essa è contingente. Questi versi pieni di concreto proiettano frammenti di quotidianità nell’eterno -un eterno di cui fa parte il problema del male. “Un giglio d’acqua fra le ciglia / le radici spaccano il viso alla pioggia / chiamano il cielo / come un gatto struscia il blu al suo Dio / la zampa gioca agli occhi / o è una buffonata il pianto / e un catetere desolante lo raccoglie?” Il gatto e il catetere sono figure tratte dalla quotidianità, che perdono però qualsiasi carattere provvisorio. Pasquale Di Palmo scrive di “un continuo anelito alla leggerezza, di un desiderio atto a rivendicare la propria verticalità in un mondo che ci respinge e mortifica, che annienta le nostre aspirazioni più vive e più vere”.
L’unica forma di salvezza arriva dall’amore, un amore che è forma più alta di conoscenza, che è amore per il cosmo attraverso l’amore per l’altro -un amore quasi dantesco: “vi date il cambio tu e il tramonto / mi confondo e non so dove guardare // quando dai il cambio al cielo / nel momento in cui si oscura / e il blu mi lascia sola // il vetro dell’eurostar trattiene un’ombra / ferita da un riflesso / una divinità passeggera / che ha nei miei occhi / le sue candele”. Immagini stranianti, scrive ancora Di Palmo, “che riescono a coniugare il mondo dell’infanzia con il retaggio, allucinato e solenne, sghembo e ieratico al tempo stesso […] dei libri apocrifi”. Curioso cenno, questo ai libri apocrifi, perché la parte finale di questo libro è costituita da una lunga -e visionaria- riflessione di Serragnoli sul fare poesia, che risulta quasi identica -per linguaggio, temi, atmosfere- alle parole apocrife che un altro scrittore potente e misconosciuto, Marco Ercolani, mette in bocca ora a questo, ora a quel grande del passato.
*
Da La quasi notte
Quando ero bambina
aprivo la finestra
sporgevo
volevo essere la rosa di qualcuno.
Nell’incavo dell’occhio l’acqua
intingi il dito, dicevano
portalo alla fronte
il triciclo della croce.
Un giorno da questa finestra
cadrà la mia vita
un tonfo lieve di palpebre
la bocca aperta
come alla prima comunione
*
M’ammazza e mi sfiora
il bucato è fiamma
lino che separa i pianeti
sventola in gingillo di una catastrofe
fra me e te muove un violino
la bufera è quasi un tango
la mano ferma sulla schiena
la vita ribaltata il volto in giù
ma non ho ancora scavalcato
quel poco di pudore
e spazzo il pianeta
la mia stessa polvere
*
Dicono che la quasi notte
abbia tempo di fissarti
prima che gli storni avvolgano l’aria
scoprano un décolleté nudo
l’ora senza foulard
il primo amore
il viso di lei un fiore
che la vita stessa
non riesce a strappare.
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