Freya

racconto inedito di Emanuela Tolomeo

immagine in evidenza tratta da un’opera di Emanuela Tolomeo

Paris, 15Th   Vendredi

Freya

Ore otto

 

Acchiappa il cappotto afferrando il laccetto giallo del cappuccio e se lo infila poggiandolo sulle spalle e di scatto su le braccia mentre fa le scale di corsa. E sempre correndo raggiunge Marta che dalla seconda strada sulla sinistra fa capolino urlando: “Senti amica è una noia, una noia mortale, non posso cominciare e poi fare sempre tutto da sola”. Il pensiero degli scatoloni da svuotare, i piccoli esserini argentei che le fanno luccicare le mani e che le causano ribrezzo erano il suo pensiero, un’ ossessione e subito a lavoro. Freya mette la mano nella tasca del cappottino e contorcendo il fianco che scivola verso la gamba destra, a fatica, dalla tasca sdrucita, tira  fuori un cioccolatino.

“ Tieni, svelta”, Marta sorride e corrono.

Il magazzino di Xu Chen Lie ancora chiuso si vede, da rue Belleville, scendendo verso la prima a sinistra: ciano.

“ Plendi lobba, plendi loba, su svelta”. Xu non le guardava neanche in faccia “ stale zitte, lavolale, lavolale, lavolale”, Freya sottovoce “ lavolale lavolale,” le ragazze allegre cominciano a respirare la polvere degli scatoloni piendi di reggiseni di plastica che uomini avrebbero poi indossato.

Freya tutti i giorni in ritardo, con enormi borse ricoperte nella parte interna, di alluminio, per fare la spesa. Le ossa dei fianchi  sporgono dai jeans e  le dita nodose nascoste dalla maglia più grande di due taglie.

Decise di andare a vivere a Parigi da Asgard due anni prima.

Una stanza in una di quelle zone dove la gente litiga per strada e le urla miste ai ricordi la portarono a una immediata e autodistruttiva ricerca del piacere: allergie e ritardi. Il suo fisico, anche se magro era adatto ai lavori pesanti, permetteva a Xu di caricarla come un somaro di pacchi e lei aspettava sempre il pacco più pesante, quello che conteneva i pantaloni taglio maschile che doveva anche piegare e appendere tenendo le pieghe immaginando di indossarli un giorno, libera di passegiare senza orari per le strade della vecchia Parigi.

Ore 18 e 30

Esce dal magazzino dietro la cassa, ruba due euro e corre per strada, ecco Rumon che le porge al volo una birra dal bar di fronte, poi rientra a lavoro e così tutto il giorno.

Freya smonta.

Ore 19

Montmartre sempre in salita, entra nello sgabuzzino del turco che vende usato, un euro un paio di orecchini che indossa e sale.

“Le cattedrali bruciano

Le guerre sotterrano i corpi e

i cuori

Quelli no

Non li brucia nessuno

Battono nelle viscere della terra

Sottoterra

E il suolo

rullo di tamburi

E sonate di violini

E la terra vive”.

 

Il giorno dopo, finalmente sabato

Rosa Bonheur en el parque de la gran cascade . Blonde et blanche la birra qui scure non ne servono. Perfetto. E tutto si dispiega chiaro e caldo. Parigi come Asgard, visi scuri, birre bianche, come le gambe degli uomini salsicce vaganti per la città. I capelli rossi della ragazza seduta davanti a lei gridano aiuto nel caldo del pomeriggio del nove agosto alle quattordici a Parigi. Strumenti musicali camminano soli, solisti , il cliente a bassa voce ordina un’ altra birra, la luce di Monet acceca, davanti il grattacielo, sotto il laghetto, a destra la Tour, dritto Khalil, poco a sinistra un tempio e colonne doriche e le anatre: patè sui piatti dei turisti. Pomeriggio al quartiere latino, a la Huchette con due colombiani. Gabi è cattivo.

Toni bassi di whiskey maschili si dissolvono entrando nelle orecchie insieme ai soffioni del vento del Nord. Fiori arancioni svirgolettano sul prato in fondo alla strada.Il rumore di una catena rotante di bicicletta si mescola al ritmo delle nocche delle dita dell’uomo seduto a mezzogiorno, battute sulla panca di legno erosa dalla pioggia e dal vento della Parigi d’ inverno. Due uomini seduti al tavolo di fronte, parla solo uno, l’altro ascolta e la cagna gira e odora vicino ai loro piedi, tutta contenta.

Rientra  finalmente a casa, e sul tavolo sempre una bottiglia di plastica con un pò d’acqua. Alluminio e odore di plastica nella  stanza, letti disfatti e J. , sempre J. che dorme per giorni.  Si sveglia di soprassalto al tric della porta, senza lavarsi i denti sgattaiola dalla stanza per non farsi vedere da Freya, lei in cucina, lui dal bagno , corridoio, porta e via fuori. Freya entra con gli occhi ansiosi di vederlo, niente, la bottiglia con un pò d’acqua e l’odore della plastica quello che rimaneva di J.

J.

Strada bagnata, pioggia sul cappello di lana , sa già quello che lo aspetta. Entra al Ritrovo, il musicista pallido dalla lunga camicia colorata e la barba lo bacia sulla guancia con gli occhi tristi e il bicchiere in mano. Tony lo invita ad una festa dove si beve solo birra, J. non beve birra “ io non bevo birra posso portare spumante o prosecco?” T. “ Non c’è bisogno che tu venga, la festa è a tema” lo deride, J. sorride stanco. Primo bicchiere, secondo, terzo. “ Stasera reggo” pensa, whiskey mischiato al sorriso dell’animatore turistico muscoloso poggiato sul bancone ammiccante accanto a lui. Uno dietro l’altro, due. Entra E., uomo che parla solo di guerre, comincia a parlare di guerre.. Sente di avere perso una guancia, poi un occhio, una mano, la gamba destra fa male, poggia il piede destro sul sinistro, si appoggia al muro, batte la testa sull’etilometro. Non ricorda come torna a casa. Letto disfatto. Giorno dopo. Sms di gente che non conosce. Messaggi vocali di due minuti e ventisette secondi dell’ amica, psicotica. Si addormenta con la testa tra le zanzare, si schiaffeggia, fino a urlare. Dorme. Giorno dopo.E’ mattina “ J. non aprire le finestre” dice a se stesso. Betflix.

 

E lei in cucina , con i fornelli accesi per il freddo,danza. Un cerchio, poi due, settanta cerchi.

La danza è il dolore stesso, quel dolore che parte prorpio dall’azione del danzare, così profondo, immutabile, sempre uguale a se stesso, lancinante, il dolore stesso, quello dell’anima, che il danzatore deve sopportare continuando a danzare. E Freya danza.

E la giacca bianca,comprata da Xu a cinque ero incarnò l’anima del padre “ qualcuno deve portare avanti le tradizioni” pensò sorridendo di piacere, ma così tanto piacere e  mentre danzava l’aria della stanza si riempì  del profumo  del giovane padre, morto ad Asgard undici anni prima.

E così danzava e danzava e danzava e danzava, la danza della vita.

 E poi J.

Scende per una strada che fa incrocio col mercato, sulla destra due fruttivendoli che si fanno la guerra, un aladino che vende tutto ciò che si può vendere anche i nuovi microfoni cinesi a batterie, il bar, le tre anzi quattro taverne di cui una chiusa sulla destra e un ammasso di ragazzi con adulti depressi . In quell’ angolo di strada il piede destro che si era mostrato titubante nell’andare si ferma. Sì. No. Sì.

Un enorme falco lo prende per i piedi e  No. No.

Si rirtrova nella sua stanza.

Si addormenta sereno, la luce della luna piena si riflette  sul suo viso. Finalmente rasserenato e limpido, torna bambino, le gote rosee , il pancino rotondo in posizione fetale, le labbra purpuree e lunghe ciocche come foglie di castagno scendono sui suoi occhi chiusi.

Gocce d’oro sul pavimento, lacrime di ambra sulla coperta.

Piume di falco dappertutto, la finestra spalancata.

E così, picoolo, sonnambulo, alla finestra:

“ Lunasaleartemisia

Lunasaleartemisia

Ecco il segreto del wird

Cammina con me nella luce della notte

Lunasaleartemisia

Esaudisci ogni mio desiderio

Nella notte più lunga della vita” .

 

 

 

 

No Comments

Post A Comment