11 Apr Studi d’artista. Napoli
a cura di Ivana Margarese
Ci sono luoghi che meglio di altri raccontano la storia di una città, “genius loci” nascosti tra le vie, affollate o meno, che ci troviamo a percorrere. Spazi di incontri, incroci e affinità. Come osserva Italo Calvino (1972) in un pluricitato passaggio de Le Città invisibili ogni città la propria storia l’ha tutta scritta nelle pietre dei suoi palazzi e nei ricordi ad essi legati. Attende soltanto che qualcuno sappia e voglia leggerla. «Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, nei corrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta da graffi, seghettature, intagli, svirgole».
È attraverso gli indizi, che una città rivela il proprio spirito e rivendica una identità percepita e condivisa da chi la abita. Il dialogo con gli artisti e gli artigiani che vivono la città nasce dal desiderio di raccontare delle storie, di comporre elementi che possano farci guardare meglio ciò che abbiamo intorno.
A Napoli abbiamo dialogato con Maria Siricio e provato attraverso il suo lavoro a comprendere qualcosa in più di questa meravigliosa città.
Puoi parlarci del tuo percorso di formazione come artista?
Il mio percorso artistico comincia alle scuole medie, disegnavo molto per la materia di educazione artistica, il secondo e il terzo anno sono stati decisivi per scegliere che indirizzo prendere alle superiori e il professore di disegno mi consigliò l’iscrizione ad una scuola d’arte. Decisi di seguire il consiglio e mi iscrissi alla sezione pittura dell’ISA Francesco Palizzi di Napoli. All’epoca era un istituto statale d’arte, adesso è diventato un liceo artistico.Conseguì il diploma quinquennale in pittura e decisi di continuare il percorso formativo all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove optai per la sezione di decorazione pittorica. Durante i primi anni di Accademia cominciai a lavorare presso una bottega di pittura e decorazione dove imparai alcune tecniche di lavorazione del legno, per lo più dipingevo complementi d’arredo come testiere di letto, armadi, credenze. Erano le prime esperienze, i primi approcci con il mondo del lavoro, alla teoria abbinai la pratica della gavetta, quella vera, in bottega.
Terminati gli studi accademici sentii il bisogno di avere uno spazio lavorativo personale, uno spazio mio in cui mettermi alla prova e aprii il primo laboratorio di pittura e decorazione.
I soggetti ai quali mi dedicavo erano diversi, il dipinto, il motivo decorativo, il ritratto e anche la pittura astratta. Non avevo ancora maturato una mia “preferenza” o “stile”, forse perché dedicavo gran parte del lavoro ad esaudire le esigenze dei clienti lasciando poco spazio alle mie. Con il senno di poi troppo poco. Era il 2004 e iniziavo a camminare sulle mie gambe con un laboratorio tutto mio. Negli anni ho realizzato tanti lavori e cambiato diversi laboratori, i primi due li ho avuti al Vomero, nel quartiere collinare della città e un terzo a Chiaia nella parte più elegante della città.
Ogni laboratorio era caratterizzato da un arredo concepito e decorato da me: quadri, armadi, tavolini, lampade e piccoli complementi d’arredo dipinti.
Negli ultimi anni trascorsi nel laboratorio del Vomero cominciai ad appassionarmi alla creazione di gioielli con materiali alternativi, usavo molto la pelle, i tessuti, la carta, la lana e il filo. Mi è sempre piaciuto sperimentare tecniche miste con materiali diversi e – per approfondire la mia ricerca e migliorare la lavorazione dei gioielli – nel 2015 frequentai un corso in una scuola di gioielleria contemporanea a Firenze. Il corso mi piacque molto, riguardava la tecnica della lavorazione di gioielli con la resina epossidica. Mi si aprì un mondo: dai gioielli iniziai a sperimentare la resina epossidica per lavori di dimensioni e significato diverso, la scultura. Quello fu anche l’anno in cui conobbi l’associazione Enterprisingirls fondata a Napoli ma di carattere nazionale. Dire che fu un incontro felice è dir poco. Da quel momento ho intrapreso un percorso di crescita artistica in cui il confronto, le attività di co-branding e un progetto pluriennale pensato con la presidente, Francesca Vitelli, mi hanno portata a maturare e ricercare, finalmente, un mio stile.
Raccontaci del progetto e del ruolo che hanno in questo le figure femminili.
Il progetto pluriennale era un ciclo di mostre dedicate alle figure mitiche femminili partenopee. Nelle mie opere la figura femminile è frequente, è un soggetto che studio e mi appassiona, fui felice, perciò, di lavorare alle opere create per le mostre dedicate alla sirena Partenope e alla Sibilla Cumana, figure femminili molto forti connotate da vicende sofferte, caratteri tormentati.
Il risultato della mia interpretazione rispecchiava il loro modo di essere, detti vita a soggetti femminili tesi, sofferenti, energici e vibranti di emozioni. Nella prima mostra ricreammo una grotta sottomarina all’interno di una cantina di un convento trasformato in albergo in cui Partenope era interpretata in dipinti su tele, grandi pannelli lignei, piccole sculture lignee, lampade e pezzi di design come un tavolino composto da due code sagomate in legno e dipinte sormontate da un piano di cristallo (https://enterprisingirls.it/mostra-la-danza-di-partenope-a-cura-di-enterprisingirls.htm).
La seconda mostra, dedicata alla Sibilla Cumana (https://enterprisingirls.it/sibilla-donna-mito-e-passione.htm), aveva un taglio diverso, in una galleria d’arte, introdotti da un video, i visitatori seguivano un percorso composto da schizzi preparatori, tele di diverse dimensioni e sculture in terra cotta. La scultura in terra cotta: un mondo meraviglioso! L’anno precedente, spinta dal desiderio di dare tridimensionalità ai soggetti che modellavo, seguì un corso di ceramica con una cara amica con cui avrei condiviso, poi, il mio ultimo laboratorio. Le figure scolpite erano ancora più energiche, cariche di vigore, quasi esasperate. Avevo trovato una materia da plasmare che in cui riversaretutto quel negli anni avevo accumulato dentro di me, una energia creativa che aspettava solo di esprimersi, di essere canalizzata. Sentivo forte il desiderio di creare. Le sculture in terra cotta divennero un ulteriore campo di sperimentazione, argilla rossa, argilla bianca, parti della scultura smaltati e parti grezze, contrapposizione di pieni e di vuoti. Dopo la Sibilla mi cimentai con altri soggetti per una terza mostra, curata sempre da Francesca Vitelli, dedicata al corallo e il cammeo. Le mie opere dialogavano con i gioielli dei maestri di Torre del Greco, diedi vita a donne concopricapo che riprendevano le forme e i colori del corallo e delle conchiglie su cui viene inciso a mano il cammeo, i corpi diventavano intrecci di decorazioni a bassorilievo. Alle figure femminili ho lavorato anche in occasione della mostra collettiva “Donne – attraverso lo sguardo femminile” organizzata lo scorso dicembre, sempre con EnterprisinGirls, in occasione della diciassettesima Giornata del Contemporaneo promossa dall’Associazione dei musei d’arte contemporanea italiana (https://enterprisingirls.it/enterprisingirls-partecipa-alla-17esima-giornata-del-contemporaneo.htm) e lì è emerso uno stile diverso, più maturo, in cui si evidenzia una mia evoluzione. Dopo la mostra sul corallo e il cammeo il laboratorio si arricchì di manufatti in terracotta. Vi erano molte figure femminili ma anche tanti Vesuvio, τόπος molto amato dai napoletani e dai non napoletani. Lui, il gigante, l’ho interpretato in diversi materiali e con diverse tecniche: legno, argilla, resina, dipinti su carta, tela, tavola e su micro dipinti con inserti di ottone colati nella resina epossidica. Per noi napoletani il Vesuvio rappresenta un vero e proprio “punto fermo”.
C’è un’opera che preferisci raccontarci?
Tra le tante opere a cui ho lavorato una, tra quelle che preferisco, è l’ultima che ho realizzato. Un pannello ligneo di 220 centimenti x 110 su cui si sovrappongono diversi elementi: la sagoma stilizzata del Golfo di Napoli realizzata in legno dello spessore di un centimetro stuccata a goffrage e dipinto in acrilico color oro e degli elementi decorativi che ricordano la lava in eruzione. Questi, in color porpora, sono stati spennellati di flatting lucido trasparente per catturare e riflettere la luce. Il Golfo è rialzato dal fondo del pannello ligneo con dei tasselli da due centimetri, l’effetto è tridimensionale.
È una sorta di connubio tra pittura e “collage” in cui al posto della carta ho introdotto sagome in legno tagliate da un cartamodello disegnato in dimensioni reali. Il pannello si completa con l’introduzione di un decoro in trasparenza, direttamente sul fondo beige-rosato del pannello, color glicine molto chiaro. Il soggetto dell’opera è nato dal desiderio dei committenti che, avendo visto un mio gioiello in resina e ottone che raffigurava quest’immagine, hanno chiesto una rielaborazione per un quadro da parete. Cosa c’è nel mio futuro? Nel mio imminente futuro c’è una prossima mostra, a Livorno in primavera, dedicata ai collage in tecnica mista frutto di un co-branding dell’associazione EnterprisinGirls con le sete di San Leucio e il corallo di Torre del Greco di cui abbiamo dato un piccolo assaggio a dicembre a Caserta (https://enterprisingirls.it/sirene-e-seta.htm), dopo vorrei dedicarmi alla preparazione dell’ultima mostra dedicata al ciclo delle figure mitiche femminili napoletane avviato con Partenope: la Bella ‘mbriana, lo spirito benevolo della casa.
Quali sono le difficoltà maggiori che hai incontrato nel tuo lavoro?
Nessun percorso è esente da ostacoli, il mio non fa eccezione. Nel 2020 decisi di staccare la spina e presi un periodo sabatico durato più di un anno e mezzo, avevo bisogno di una pausa, credevo di non voler più dipingere né scolpire.Black out, avevo bisogno di tempo, spazio e silenzio. Mi sono riavvicinata all’arte in modo del tutto trasversale, forse grazie alle due gattone – di cui mi dichiaro schiava – a cui ho dedicato dei profili social dove scrivo storie di cui sono indiscusse protagoniste. Una di queste, scritta a settembre dello scorso anno, era ispirata al film Kill Bill. La mia gatta Cippy, che litiga sempre con Gattarina, prese le sembianze della protagonista del film. È stato così, guardando loro, le mie gatte che una domenica pomeriggio “l’interruttore” si è riacceso. In modo del tutto naturale ed automatico decisi di interpretare la locandina del film e ripresi in mano i pennelli. Quei pennelli che giacevano abbandonati.
Progetti per il futuro
Fra i progetti futuri ce ne è uno che mi intriga molto, mi piacerebbe scrivere e illustrare le mie storie raccontando la mia città, le mie gatte sono napoletane e quindi si esprimono in dialetto napoletano.
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