12 Apr Da “Malavita” a “Chianchieri”. Dialogo con Giankarim De Caro
a cura di Francesca Picciurro
Giankarim De Caro, scrittore palermitano, classe 1971, è un sognatore inguaribile, un appassionato viaggiatore e un grande conoscitore dell’Asia. Spinto dall’amore per la letteratura, si è imbattuto, sin da quando era adolescente, nei romanzi dei più grandi autori, italiani e stranieri. Ha deciso di rimanere a vivere e a lavorare nella sua amata terra, la cui storia lo affascina e seduce, tanto da diventare teatro dei suoi romanzi. I suoi libri, come dipinti, ci rimandano ai colori di una popolare sicilianità, ricca di chiaroscuri, e i cui personaggi portano sul viso i segni dell’amarezza, del dolore. Poco prima che lo intervistassi, Giankarim era – foglio e penna alla mano – intento a scrivere e immerso tra le parole del suo prossimo romanzo.
Qual è, se c’è, il leitmotiv nelle tue opere?
Nei miei libri si parla degli ultimi, di storie che riteniamo banali, di quelle figure che incontriamo per strada, ma che non osserviamo, perché si è soliti pensare non abbiano nulla da raccontare. Dietro a quegli sguardi, invece, ci sono storie incredibili, spesso molto amare. Sono nato e cresciuto a Borgo Vecchio, un quartiere popolare di Palermo, e queste storie le ho respirate. Proprio da chi pensavo non avesse nulla da dire, ho ascoltato narrazioni davvero molto intense e dolorose. Ho ascoltato di sogni irrealizzati o infranti a causa di esistenze troppo travolte dal dolore.
Nelle esistenze di alcuni dei tuoi personaggi, Dio sembra essere morto. È questo ciò che ti ha spinto a raccontare le esistenze di coloro che, nel creder comune, rappresentano gli ultimi?
No, nelle loro esistenze, Dio non è morto. È spettatore, è sadico. Gli uomini e le donne, protagonisti dei miei romanzi, credono in Dio, ma non riescono a capire perché Egli si accanisca contro di loro. Continuano a sperare e a credere nella sua benevolenza, non tanto per la propria vita, il cui destino è segnato, quanto per quella dei loro figli. Si rendono anche conto che questo essere divino a volte li ha salvati da problemi difficili e insormontabili, altre volte, invece, li ha abbandonati in situazioni di gran lunga peggiori. Ciononostante, tutto ciò che è volontà di Dio, viene sempre sommessamente accettato. È un po’ come nella cultura dei Paria indiani, oppressi, sottomessi, e condannati a una casta, senza la possibilità di cambiamento, o come diceva lo stesso Verga con la metafora delle ostriche, le quali, staccatesi dallo scoglio, sono destinate ad essere travolte dalla marea.
Sullo sfondo dei tuoi romanzi, c’è Palermo, croce e delizia. Qual è il tuo rapporto con questa città piena di contraddizioni?
Ho sempre amato Palermo e i personaggi che la caratterizzano. Palermo “caput mundi”, Palermo violentata dalle invasioni nel corso della storia, Palermo mai uguale a se stessa, Palermo che si ama, Palermo che piange. Palermo, meta di illustri uomini, come Goethe, Dumas, Wilde, i quali, nella nostra città, hanno trovato grande ispirazione, considerandola uno dei luoghi più belli del mondo. Nonostante dopo l’arrivo dei Savoia la mia città sia stata denigrata e definita priva di cultura, io mi rendo conto che più la osservo, più la studio, più mi invaghisco di ogni sua bellezza. Ogni pietra qui ha una storia, ogni palazzo nasconde vicende incredibili. Palermo è il grande cuore dei suoi abitanti ed è anche mistero. Trovo interessanti e affascinanti i romanzi di Natoli, dai quali si evince la vera “palermitanità”. In essi sono percepibili il nostro spirito, il nostro sangue, la nostra anima, così come la nostra forza, la nostra rabbia, quel perenne senso di sfiducia e, purtroppo, anche quella nota amara che è l’omertà, caratteristica imprescindibile di una cultura mafiosa che, con ogni sforzo, stiamo tentando di mettere a tacere.
Quanto c’è di Giankarim nella policromia dei personaggi che descrivi? Sono frutto della tua fantasia o una mescolanza dei tuoi infiniti io?
Tutto. Nei miei romanzi, di Giankarim c’è tutto; c’è il mio vivere, ci sono le esperienze che ho vissuto, c’è il mio desiderio di stare in mezzo alla gente, vivendola appieno, e c’è la mia voglia di ascoltare. Io parlo tantissimo, ma alla stessa maniera, riesco a percepire quando arriva il momento di star zitto e ascoltare. Ho, infatti, avuto modo di ascoltare tante storie che si sono sedimentate dentro il mio cuore, dentro la mia anima. Quando queste storie si sono ripresentate nella mia mente, la loro eco si è trasformata nei miei romanzi.
Il tuo romanzo “Malavita”, che ha destato l’attenzione di Luciana Littizzetto, ha già venduto 10.000 copie e grandi soddisfazioni sono arrivate anche da “Fiori mai nati” e “Chianchieri”. I tuoi lettori sono adesso in attesa della tua prossima opera. Ci sono novità in cantiere? Ci vuoi anticipare qualcosa?
Sì, “Malavita” è stato il libro più fortunato, grazie anche a Luciana Littizzetto, che ha dato al romanzo la possibilità di essere letto ed apprezzato in tutta Italia. “Fiori mai nati” continua ad esser venduto e a ricevere attestati di stima anche oltre lo stretto; grandi soddisfazioni ricevo da “Chianchieri”, l’ultimo nato e libro al quale sono molto legato. Nei confronti di questo romanzo mi pongo in maniera timida, perché tratto la storia della nostra terra, nel momento in cui è avvenuto il grande cambiamento relativamente all’emigrazione. Mi è stato facile parlare di emigrazione. Anche questa volta ho taciuto e mi sono messo ad ascoltare; ho ascoltato i racconti dei ragazzi che sono arrivati in Sicilia e ho richiamato alla memoria i racconti di mio nonno, nato nel 1898. Così mi sono reso conto che non è mai cambiato nulla. Mio nonno emigrò in America un secolo fa, ma viveva esattamente le stesse paure, le stesse angosce di chi oggi è costretto a lasciare la propria terra. Il nuovo romanzo dovrebbe uscire a maggio 2022 e verrà presentato presso Il Salone del Libro di Torino. Non voglio, però, anticipare nulla, così da lasciare accesa la curiosità dei miei lettori.
“Ieri, Navarra, la tua casa editrice. Ci racconti questa collaborazione? Domani? Sceglierai lo stesso editore per la prossima pubblicazione?
Ottavio Navarra ha creduto in me. È un visionario, che sa guardare oltre, puntando su progetti che apparentemente sembrano i più assurdi. Ha dato grande fiducia a persone che, come me, erano lontane dal mondo dell’editoria. Riesce a scoprire talenti e, in virtù di ciò, credo che tutte le sue edizioni meritino di essere lette. Ho ricevuto tante proposte da case editrici più grandi, ma quello che ti offre una casa editrice come Navarra è insostituibile. Ottavio ti segue, ti accompagna, ti fa crescere. Grazie a lui ho avuto modo di partecipare a fiere nazionali, a Torino, a Roma, a Napoli. Ho grandissima stima di lui come uomo e come professionista del suo settore. Non penso proprio di cambiare casa editrice, anzi, consiglio Navarra a tutti coloro che abbiano intenzione di pubblicare. Ottavio non chiede soldi, come spesso fanno tanto editori; se ritiene che un testo sia valido, non ci pensa due volte e lo pubblica.
Biografia
Giankarim De Caro nasce nel 1971 a Palermo dove tutt’ora lavora e vive. Ha frequentato studi tecnici continuando a coltivare la lettura di autori italiani e stranieri e la sua passione per i viaggi che lo portano a essere un buon conoscitore dell’Asia. Appassionato amante della sua terra e della storia della sua Palermo, decide di intraprendere l’avventura di narratore. Per Navarra Editore ha pubblicato i romanzi “Malavita”, “Fiori mai nati”e “Chianchieri”.
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