09 Mag “Le amiche” di Michelangelo Antonioni
a cura di Ginevra Amadio e Ivana Margarese
Non so – dissi – mi pare che tanto chiasso non valga la pena.
Cesare Pavese, Tra donne sole
– Perché le propongo di venire a lavorare da me? Perché così impara a guardare al di fuori di lei. Sono poche le persone che possono permettersi di bastare a se stesse. Non possiamo fare a meno degli altri. È inutile farci illusioni.
“È inutile farci illusioni” – come dice Clelia nella sequenza in cui parla in treno con Rosetta – è uno dei motivi ricorrenti de Le amiche, film realizzato da Michelangelo Antonioni nel 1955; tuttavia non si può leggere questo film come un soggetto avulso dal sentimento che permea il titolo. Non che il regista non intersechi tematiche a lui care, come l’alienazione o il legame imperfetto e contraddittorio tra modernità e sviluppo, ma il rapporto tra amiche, la costruzione di un’identità personale che procede, soprattutto, dall’incontro con l’altra è il focus a cui si dedica questa riflessione.
La vicenda è quella di Clelia (Eleonora Rossi Drago), una giovane donna romana che torna nella città dell’infanzia, Torino, per aprire una succursale del suo negozio di moda. Qui conosce Momina (Yvonne Furneaux), una donna ricca e affascinante, la cui amica Rosetta (Madeleine Fischer) ha tentato il suicidio. Questo prologo, che introduce una chiave di lettura incentrata sull’elemento dell’estraneità, dell’altro che scopre se stesso in un contesto nuovo, è la porta d’accesso a un lungo percorso di inclusione e repulsione che vedrà Clelia interagire con il gruppo di amiche di Momina, composto anche da Nene (Valentina Cortese) e da Mariella (Anna Maria Pancani).
Fondamentale, in questo percorso, il rapporto con le altre donne che richiama in filigrana quello tra le amiche tratteggiate da Alba de Céspedes in Nessuno torna indietro (1938). Sceneggiatrice del film insieme a Suso Cecchi D’Amico, l’autrice cubana apporta il suo contributo alla ridefinizione di uno spazio di identità personale che si nutre di affetti e “stanze tutte per sé”.
Come nel romanzo di Alba de Céspedes il Collegio Grimaldi – in cui le protagoniste studiano – diviene «luogo di resistenza e autocoscienza» costruito a partire dal rifiuto dei modelli imposti (quello di madre, figlia, donna obbediente), la Torino de Le amiche è invece il teatro di relazioni che si vanno costruendo, nel tentativo – ben espresso da Nene: «spero che diventeremo amiche» – di trovare nel legame tra donne un terreno da cui ripartire.
Trasposizione – meglio, compimento – del racconto di Cesare Pavese Tra donne sole, Le amiche è uno dei film più articolati di Antonioni nel quale confluiscono stilemi tradizionali ed elementi di modernità che svelano il percorso di maturazione del regista in merito alla focalizzazione del femminile, soggetto – come nota Andrea Malaguti – a una progressione emblematica:
Nei primi tre film di Antonioni […] si passa da una “cronaca” che appartiene in gran parte a una donna, peraltro molto appariscente (Cronaca di un amore), alla storia di una donna specifica, incentrata sulla sua stessa femminilità (La signora senza camelie), alla vicenda condivisa di un gruppo di donne e quindi a una femminilità diffusa come condizione collettiva.
In tal senso, l’articolazione autonoma rispetto al testo di Pavese consente di mettere a fuoco una condizione generalizzata, che prescinde dal teatro della scena e si estende all’intero paese, laddove la trama di ipocrisie borghesi si innesta in maniera sghemba sul tronco della società contadina. Permane una noia di vivere, una impossibilità a legare con la vita.
Torino, sebbene riconoscibile dalla prima inquadratura, diviene un fondale sfumato sul quale si stagliano esistenze precarie, messe alla prova dagli eventi e da un lento procedere di momenti vuoti, sospesi tra alienazione e integrazione. Forse è questo il motivo per cui Antonioni sceglie di adattare Tra donne sole: l’ambientazione completamente moderna – quasi un unicuum nell’opera pavesiana – si compone infatti di quelli che Maria De Las Nieves Muñiz Muñiz identifica come «luoghi deputati della civiltà del benessere»: l’albergo (dove tutti alloggiano e nessuno vive), il casinò (che rende equivalenti il guadagno e la perdita), l’atelier (la fiera del travestimento), l’automobile (una specie di gabbia dove si fugge in branco), la casa d’appuntamenti (dove l’amore diventa gioco e godono solo “gli altri”).
Pur mantenendo una struttura canonica, Le amiche sviluppa una parabola sulle relazioni umane e sul loro valore generativo che ha nella figura di Clelia il suo osservatorio privilegiato.
Ancora una volta è il distacco da Pavese a svelare la potenza di questa figura in relazione. Sorta di alter ego femminile dell’autore (tanto da indurre Calvino a scrivere: «quella donna-cavallo pelosa, con la voce cavernosa e l’alito che sa di pipa, che parla in prima persona e fin da principio si capisce che sei tu con la parrucca e i seni finti che dici: “Ecco, una donna dovrebbe essere così”») nel film di Antonioni la giovane diviene campione di una femminilità ‘nuova’ e ancora in costruzione.
Il rifiuto delle convenzioni e dei ruoli è del resto esplicitato sin dalle prime battute, quando alla domanda della cameriera «Signora o signorina?» Clelia risponde: «Come le pare». Con questa dichiarazione, la donna si mostra impermeabile a qualsiasi imposizione calata dall’alto, rivendicando – come nella scelta del lavoro, dell’amore, nella costruzione dei rapporti – una libertà di giudizio che la pone su un piano altro, sebbene ancora soggetto a oscillazioni.
In questo processo di consapevolezza l’amicizia riveste un ruolo fondamentale, come rivela una battuta che è già chiave interpretativa:
«Io sono andata via da Torino ch’ero bambina, ho sempre lavorato, non ho avuto tempo per le amicizie. Ecco, mi sembra logico che ci dobbiamo fare delle confidenze».
I momenti “tra donne sole” si consumano del resto in spazi comunicanti, come le stanze in cui le giovani si muovono o la casa di campagna di Momina, in cui – per dirla con Mariella – «pare sempre di fare qualcosa che non si deve».
Una delle sequenze più emblematiche, in tal senso, è quella della visita di Clelia e Momina alla galleria d’arte dove Lorenzo (Gabriele Ferzetti) espone dei quadri e Nene alcune ceramiche. Qui è il personaggio interpretato da Furneaux a dominare la scena, quando all’uscita di scena del ragazzo si lascia andare a una serie di indicazioni ‘illuminanti’ che mettono Nene in condizione di riflettere sull’invidia del compagno per il suo talento. Clelia intanto mostra un entusiasmo genuino teso all’incontro, all’accoglimento dell’altra.
Se gli uomini – con cui le donne sono in rapporto costante – mostrano un abulico senso del possesso, un’ossessione dell’identità già gretta e livellante, le giovani tentano di conoscersi, di sviluppare «qualcosa di diverso». Attraverso i profili di queste giovani donne, diverse tra loro e, seppure vicine, in parte sconosciute le une alle altre, il regista ritrae in maniera sottile e intelligente il pantano della buona società, dove non ci si può concedere un atto di ribellione o di genuinità. Bisogna incassare e far finta di niente, continuare a riunirsi per cena o per gite domenicali.
Interessante, in questo senso, la scelta di Antonioni di eliminare ogni differenza di età o esperienza tra Momina e Clelia o ancora tra Rosetta e Mariella, ben evidenti nell’opera di Pavese. Tutte le donne del film, nota Malaguti, «sembrano riconoscersi nelle stesse abitudini sociali e quindi si rapportano tra di loro alla pari».
I personaggi maschili peraltro, ancor più delle donne, sembrano essere prede facili di modelli banali, retorici. Si mostrano infantili, capricciosi o impauriti. Ridicolo o tragico per le donne farne un centro, un riparo “per sempre”.
Gli uomini de Le amiche sembrano assenti dalle loro stesse relazioni: sposano le donne, comprano loro fiori o vestiti, e possono persino dire “amore” senza dare a questo troppo valore. Lorenzo, compagno di Nene, geloso del talento della moglie, cerca di affrontare questa sua crisi seducendo Rosetta, nonostante conosca la fragilità della donna, per poi allontanarla bruscamente e tornare alla sua vita di sempre, strappando a Nene la promessa che non partirà per l’America, dove è stata invitata per il suo lavoro da artista.
Carlo che rinuncia a Clelia, si rassegna e si nasconde, forse è il personaggio maschile più sincero, consapevole della sua incapacità di andare oltre, di offrire di più di ciò che ha, semplicemente non chiede.
Le amiche è un film specificamente psicologico e comunica un sentimento di amarezza. Mentre ci addentriamo in salotti “buoni” e in stoffe eleganti l’elemento onirico scompare e lascia in scena uno spazio asfittico, senza valori o possibilità di salvezza. Ogni scelta di campo comporta una rinuncia, come nel caso di Nene, o addirittura una sparizione, come per Carlo e Clelia.
Abusare della parola “amicizia” significa spogliarla del suo significato. Ogni gesto nel film è misurato, ogni momento di avvicinamento ben calibrato e volto alla condivisione. Nene, nella sequenza in casa di Momina, avvicina Rosetta, le chiede del marito ed è pronta a levarsi di scena, cerca la verità, la interroga. La stessa Rosetta non mente e dichiara a Nene l’amore per Lorenzo.
Ma a questo momento di lealtà segue ben poco, il desiderio per Lorenzo ha la meglio, nonostante tutto. Nene rinuncia alla partenza e al successo per stare insieme a Lorenzo, Rosetta non riesce a immaginarsi senza di lui.
Questi movimenti consentono al regista di immaginare una rete di relazioni che, come in uno specchio, riflette l’identità delle singole figure e mostra sullo sfondo il possibile processo di costruzione di uno spazio diverso. La sequenza sulla spiaggia, una delle più memorabili della pellicola, è quella in cui gli uomini affiorano appena e le cinque amiche si svelano nella loro natura, tra atteggiamenti manipolatori e candore liliale. Ognuna, in rapporto all’altra, scopre una parte di sé.
Come Clelia, che dinnanzi all’inquietudine di Rosetta esclama: «Quando sento ridurre la vita a un vestito… la vita è fatta di tante cose». Una nuova consapevolezza per lei, modista di professione e votata a un lavoro indefesso, che – per sua stessa ammissione – le ha precluso in passato lo sviluppo di relazioni sane, di amicizie fondate sulla condivisione del tempo. Proprio il confronto-scontro con la realtà messa a fuoco dalle amiche consente invece a Nene di superare le ipocrisie del suo rapporto con Lorenzo, ascoltando il monito dell’amica: «Una donna che vale più dell’uomo che le tocca è una disgraziata».
È in questo terreno di contraddizioni, scivoloso come solo i rapporti sanno essere, che le donne sviluppano una nuova forma di sé, uno spazio di ri-scoperta ed elaborazione di (in)consapevolezze e modelli introiettati, primo fra tutti quello del desiderio maschile.
L’amicizia dunque, al di là della disillusione e della amarezza che permeano il film, che sembra condannare ogni personaggio a un’inevitabile scelta tra solitudine e superficialità, diventa speranza, possibilità futura d’incontro, spazio offerto di ri-unificazione e definizione del sé, attraverso l’accettazione della pluralità delle posizioni e delle linee d’ombra che ciascuno attraversa.
Bibliografia
Maria De Las Nieves Muñiz Muñiz, Introduzione a Pavese, Roma-Bari, Laterza, 1992
Vittoria Foti, Contributo critico alla ricezione di Tra donne sole di Pavese e Le amiche di Michelangelo Antonioni. Una nuova
proposta di analisi, in “Cuadernos de Filologia Italiana de la Complutense”, volumen extraordinario, 159-176, 2011
Giorgio Tinazzi, Michelangelo Antonioni, Milano, Il Castoro, 1995
Andrea Malaguti, Straniere a se stesse. Identità femminili e stilistica visuale nel cinema di Michelangelo Antonioni degli anni Cinquanta, Giulianova, Gaalad Edizioni, 2018
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