Interviste alle case editrici: Cliquot edizioni

DI GINEVRA AMADIO, SARA MANUELA CACIOPPO E IVANA MARGARESE

 

 

Cliquot Casa Editrice Logo

Cliquot è una casa editrice romana sollecita alla riscoperta e alla cura di voci obliate del nostro passato recente. La sua è una ricerca che parte dal “basso”, dai «manoscritti ritrovati in umide cantine» o da «storie ripescate in polverose riviste». Riportare alla luce il passato, cancellare il rimosso che investe – soprattutto – le grandi scrittrici è una “missione” in linea con i percorsi della nostra rivista: il recupero dei «classici mancati» costruisce infatti un canone più inclusivo e coraggioso. Sono sei le collane proposte da Cliquot: Biblioteca (opere fuori catalogo da lungo tempo); Generi (narrativa popolare dalla tradizione dell’editoria italiana); Fantastica (storie dell’immaginario, italiane e straniere); Segni (dedicata ai fumetti dimenticati); Ajeeb (manuali sugli scacchi) e un fuori collana, in cui convergono tutti i testi di difficile inquadramento. Di seguito la nostra intervista a Paolo Guazzo di Cliquot, che ringraziamo per la disponibilità con l’augurio di un buon lavoro!

Perché avete deciso di aprire una casa editrice?

Il progetto editoriale di Cliquot è volto alla riscoperta di quelli che per noi sono classici mancati, belle opere che per motivazioni diverse sono cadute nel dimenticatoio. Potrei dirvi che la spinta iniziale è venuta dal desiderio di “ripubblicare i libri che ci piacciono ma che non si trovano più”, il che è certamente vero, ma probabilmente non basta a spiegare perché abbiamo deciso di fondare una casa editrice. Quello che volevamo fare era piuttosto provare a rimettere in discussione la scala di valori che l’industria editoriale del Novecento ha cristallizzato, ridando lustro a generi letterari, opere e autori che il clima intellettuale del secolo scorso aveva marginalizzato.

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Da dove nasce il vostro nome?

Chevalier Cliquot era un mangiatore di spade che si esibiva nei circhi e nei teatri di vaudeville fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento in quelli che venivano definiti sideshow, ovvero esibizioni marginali rispetto allo spettacolo principale. Ci sembrava perfetto per dare un “volto” al nostro progetto editoriale. Nel logo abbiamo voluto però utilizzare una volpe che esce dalla tana, che simboleggia la nostra curiosità e il desiderio di esplorazione del mondo editoriale, con una grafica che ricorda una Q che è il suono centrale del nostro nome.

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Il vostro è un catalogo coerente, ricco di titoli significativi, coraggiosi. Da dove nascono le vostre scelte?

È necessario sporcarsi le mani: spulciare nelle biblioteche e negli archivi, consultare vecchi cataloghi, farsi aiutare dai collezionisti in giro per l’Italia. Ci capita di acquistare libri rari da ogni parte del mondo, ma non sempre ci imbattiamo nell’opera “giusta” per noi. A volte l’idea arriva da un articolo letto, o da un vecchio film rivisto. E comunque spesso questo non è sufficiente perché il percorso che porta alla pubblicazione è lungo e irto di ostacoli. Spesso c’è la difficoltà di rintracciare gli eredi dell’autore e di trovare con loro un accordo (se è ancora in diritti), un problema di non poco conto. Quando riusciamo ad arrivare alla pubblicazione quindi la soddisfazione è tanta, perché oltre a riscoprire un’opera in molti casi è quasi come dare una seconda vita allo scrittore stesso.

Qual è il messaggio che vi sta a cuore promuovere?

“Festina lente” (ovvero “Affrettati lentamente”). Questo è il motto scelto da Aldo Manuzio, il grande editore rinascimentale, che abbiamo fatto nostro. C’è un problema che affligge l’editoria ed è quello della sovrapproduzione. Senza entrare nel complesso problema della filiera, è evidente che un piccolo editore che adotta la stessa strategia dei colossi non può resistere a lungo. È necessario attuare strategie adatte alle dimensioni dell’impresa: mantenersi fuori dal meccanismo della grande distribuzione, avere rapporti diretti con i librai affinché possano promuovere con cognizione di causa i titoli, costruire un catalogo solido. La nostra idea è quella di avere pochi titoli ma ben selezionati, che siano soprattutto lavorati con professionalità e promossi nel giusto modo. Crescere, ma senza fare il passo più lungo della gamba.

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Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Stiamo lavorando sulle nuove uscite per la seconda parte del 2022. Ci saranno un paio di titoli in traduzione e un nuovo libro di Carlo H. De’ Medici, misterioso autore friulano la cui riscoperta ci ha dato molte soddisfazioni. Per quanto riguarda le scrittrici italiane dimenticate, nel 2023 torneremo a pubblicare Laudomia Bonanni, in particolare un suo romanzo dei primi anni Ottanta che non è stato mai più riproposto.

Organizzate eventi per la valorizzazione della donna e del femminile?

Quest’anno parteciperemo per la prima volta a Feminism/Fiera dell’editoria delle donne, che si terrà dal 10 al 12 giugno nel Complesso dell’ex Buon Pastore a Roma. Sarà l’occasione anche per tornare a parlare di Brianna Carafa, la cui figura sarà al centro di un incontro che stiamo organizzando.

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Quali sono i vostri rapporti con le altre case editrici. C’è a vostro parere la possibilità di fare rete tra gli editori?

In passato ci siamo confrontati spesso con realtà della piccola editoria affini alla nostra, soprattutto quelle che lavorano nel campo del “repêchage” editoriale e condividono con noi un certo modo di fare editoria. Questi ultimi due anni purtroppo non sono stati facili, ci sono state poche occasioni di incontro, di condivisione di idee, spazi fisici e virtuali. Per noi è un aspetto fondamentale e speriamo presto di poter tornare a farlo senza nessun tipo di limitazioni.

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