17 Mag Tutti i soldi di Almudena Gomez – Intervista a Valentina Di Cesare
di Noemi De Lisi
Tutti i soldi di Almudena Gomez (Alessandro Polidoro Editore, 2022) è il nuovo romanzo di Valentina Di Cesare. La protagonista è Almudena Gomez, una giovane donna di origini sudamericane, che ha lasciato il suo paese molti anni fa per trovare lavoro in Italia e cercare di contribuire al mantenimento a distanza della sua famiglia. Assunta come badante dall’anziana e ricca signora Cols, Almudena nel tempo instaura un rapporto d’affetto con la sua datrice di lavoro, nonostante la gelosia e il classismo dei figli della signora, che invece la vedono solo come una inserviente. La vita di Almudena cambia, o comunque si complica, quando alla morte della signora Cols, il testamento svela una postilla a favore proprio della giovane badante…
Attraverso un linguaggio lieve e delicato, Valentina Di Cesare racconta una storia intensa, che si rivolge alle grandi domande della nostra società. Pagina dopo pagina assisteremo all’educazione emotiva di Almudena, alle peripezie cui va incontro una immigrata in Italia, paese che ha ancora paura di far i conti con il proprio passato da popolo emigrante, ma anche con il proprio futuro, con il valore del silenzio e della distanza.
Ogni romanzo fa un percorso che è sempre personale e mai uguale al precedente. Raccontaci il percorso editoriale, che ha fatto Tutti i soldi di Almudena Gomez per arrivare nelle librerie con Alessandro Polidoro Editore.
Prima di iniziare a rispondere a questa intervista vorrei ringraziarvi per avermi concesso il vostro spazio all’interno del quale poter ragionare sul libro e più in generale sulla mia scrittura. Grazie anche per avermi consentito di farlo in tempi non troppo ristretti perché queste conversazioni, per avere davvero senso, sia per chi legge che per chi scrive, richiedono riflessione e calma.
“Tutti i soldi di Almudena Gomez” (Polidoro, 2022) era nel cassetto quando ho incontrato la casa editrice Polidoro. L’idea di pubblicarlo non c’era ancora per più di un motivo: nel 2020 infatti mi ero dedicata alla stesura di un altro romanzo (tuttora inedito) e nel frattempo avevo avuto l’ispirazione per iniziare ad abbozzare la storia di Almudena. L’anno in questione era stato particolarmente fervido quanto a inventiva per cui, da un punto di vista programmatico, con i due manoscritti in mano, volevo soltanto fermarmi a “far riposare i personaggi” prima di mettermi alla ricerca di un editore. Si trattava di storie differenti, scritte con linguaggi molto diversi l’una dall’altra, a dimostrazione (per quel che mi riguarda) del fatto che la scrittura ha a che vedere con tante variabili, segue i suoi tempi e non si accoda forzatamente a regole estendibili a chiunque vi si avvicini.
L’incontro con la Polidoro tramite l’editor Antonio Esposito e la possibilità di far leggere loro i primi capitoli del romanzo sono giunti in maniera quasi inaspettata, quando ero da poco venuta a sapere che, nell’estate del 2021, sarei diventata mamma. Un periodo impegnativo dunque e pieno di novità per me, che però si è rivelato molto entusiasmante.
Marta (la sarta), Bartolo, adesso Almudena Gomez. Quanto la scrittura dei protagonisti dei tuoi precedenti romanzi ti hanno aiutata a delineare il profilo di Almudena?
Credo rileggendomi, talvolta con tenerezza, talaltra con più di un ammonimento, che ci sia stata crescendo, una svolta nel modo di narrare e di costruire i personaggi. “Marta la sarta” è stato il mio libro d’esordio, un romanzo onirico con un bel potenziale ma a mio parere (postumo) a tratti ancora acerbo. Ho deciso però di perdonare certe mie piccole ingenuità e di darmi da fare senza piangermi addosso. Non si arriva tutti alla decisione di scrivere con la stessa consapevolezza. Dopo la pubblicazione del primo romanzo, tradotto in tedesco da Claudia Lederbauer, in romeno da Carmen Fageteanu e in arabo (solo il primo capitolo) da Islam Fawzi, ho conosciuto la casa editrice palermitana Urban Apnea con cui ho pubblicato il racconto lungo “Le strane combinazioni che fa il tempo”. In questa occasione ho conosciuto Dafne che poi è diventata la mia editor.
“L’anno che Bartolo decise di morire” è il secondo romanzo, uscito nel 2019 per Arkadia, e durante la sua stesura mi sono resa conto che ormai andavo raggiungendo, rispetto al romanzo d’esordio, una cognizione diversa e più matura della mia scrittura e della mia voce. In questo secondo libro ho sperimentato una struttura fatta di corrispondenze, flashback, memorie, refrain e anticipazioni conferendo alla storia una rappresentazione a più piani.
In “Tutti i soldi di Almudena Gomez” penso di aver consolidato questa struttura e inoltre di aver accentuato la coralità narrativa alla quale ho sempre ambito. Sicuramente nella stesura di Almudena c’è stato un rafforzarsi della dimensione realistica e un desiderio di spostare lo sguardo su una materia contenutistica e di trama molto più vasta e composita rispetto ai due romanzi precedenti.
Concludo dicendo che tutti e tre i personaggi centrali dei miei romanzi e anche Elio, il protagonista del racconto lungo uscito per Urban Apnea nel 2018, hanno in comune la marginalità: in alcuni casi auto-inflitta, in altri inflitta dalla società, in altri ancora dal destino.
Nei Ringraziamenti, alla fine del libro, citi una persona che porta lo stesso cognome di Almudena e che ringrazi per averti dato l’ispirazione. Almudena Gomez, dunque, ha qualche connotazione autobiografica? Non è una domanda che nasce dal puro gusto del gossip, o dalla solita tiritera di voler a tutti i costi identificare la storia del romanzo con la storia personale dell’autore, ecc. Piuttosto, è un pretesto per riflettere insieme su quanto il trend dell’autobiografismo sia ancora molto presente nell’editoria italiana
Alla fine del libro ringrazio con molto affetto due persone che mi sono amiche da diversi anni, molto prima che mi imbattessi nella storia di Almudena e che decidessi di scriverla. Si tratta di Sara e Jaime, emigrati in Italia rispettivamente dall’Ecuador e dal Perù e residenti ormai da molti anni a Milano, città in cui le comunità sudamericane sono molto numerose ma anche ben inserite. Li ho conosciuti per caso e ho avuto modo di frequentarli. Mi hanno resa partecipe del loro presente e anche del loro passato, non omettendo chiaramente tutti gli avvenimenti accaduti intorno alla decisione forzata di lasciare il proprio paese.
Lo sguardo di chi emigra per necessità e non per piacere o per libera scelta resta eternamente sospeso tra due estremità, e si aggrappa ad ambedue le sponde, come deve e come può. Prezzolini mi pare la chiamò “la schizofrenia dell’emigrante”. Vivendo in una città come Milano è impossibile non accorgersi di come una notevole gamma di settori lavorativi venga svolta da persone emigrate, tanti servizi non sarebbero garantiti se non ci fossero loro. Questo romanzo, nonostante la patina leggera che lo attraversa e che, come tutti i miei precedenti libri, proprio per il suo linguaggio lieve corre il rischio di sembrare niente più che una storiella gradevole ha invece l’intenzione di fare luce sulle disparità economiche e dunque sociali alle quali ci siamo infelicemente abituati e di cui non si parla più in maniera critica ma al contrario pietistica, a dimostrazione che questo è uno dei maggiori tabù dell’epoca.
Volevi scrivere un romanzo principalmente intimistico o sociale? La protagonista affronta un percorso emotivo di trasformazione importante influenzato dai beni materiali. L’eredità, il montepremi del Gratta&Vinci: più il denaro perde valore, e più Almudena sembra acquistare consapevolezza di sé. Ma allora perché ha impiegato i migliori anni della sua vita proprio per racimolare denaro da inviare ai suoi cari? Questo è il paradosso dei non-privilegiati; lavorare per vivere e vivere per lavorare.
Credo né l’uno né l’altro coscientemente, ovvero temo che niente di quel che si scrive sia solo intimistico o solo sociale, credo che le due dimensioni siano legate indissolubilmente e che sia impossibile separarle. Questo libro è tutto un susseguirsi di luoghi comuni e stereotipi, confermati o meno non si sa, la voce narrante non ci aiuta in tal senso. Sotto la trama ci sono tante domande, forse troppe per un romanzo solo: chi siamo per noi? E per gli altri? Cosa rimane dei nostri passaggi nelle vite di chi incontriamo? La nostra più vera essenza o piuttosto le impressioni che lasciamo? E quanto contano in tal senso i ruoli che ricopriamo nella società, la nostra estrazione sociale, la nostra cultura di provenienza, la nostra reputazione?
Penso, cercando di guardare la storia come se fossi un’osservatrice esterna, che si tratti di una successione di eventi esterni (quelli che capitano a ognuno di noi nel corso della vita quotidiana) che mirano a identificarsi e a creare una corrispondenza con una successione di eventi interni ad Almudena stessa, il cui risultato finale è una sorta di educazione sentimentale della protagonista. Accade qualcosa che scombina le carte nella vita della protagonista, carte già parzialmente confuse in realtà. Questi eventi fanno sì che Almudena trovi se stessa o meglio che abbia il coraggio di farsi trovare: capiamo solo alla fine ad esempio che il silenzio era il suo unico modo di parlare e non al contrario di sottrarsi alle cose. Sono dunque gli eventi esterni a farla mutare (e a chi non succede?), a far luce su di lei, sulla sua storia, sulla sua vera essenza (per quanto mobile e relativa, come quella di tutti).
Aggiungo che chi lascia il proprio paese per ragioni economiche rimette il proprio destino e quello dei familiari da aiutare (se ne ha) nelle mani del denaro. Se ci si ferma un istante a riflettere su quanto sia ingiusta questa necessità, questa griglia di partenza immeritata ma “in dotazione” dalla nascita, in presenza o in assenza della quale si biforcano strade opposte che solo raramente si intersecano, ci si rende conto di quanto ancora le disparità sociali siano l’unico, vero e invalicabile punto di sbarramento tra umani.
E poi un’ultima cosa: sono meridionale, abruzzese per la precisione, e nella mia famiglia subito dopo l’unità d’Italia i miei bisnonni (maschi) hanno lasciato le loro misere occupazioni da braccianti per andare a fare i minatori in Pennsylvania, i manovali nel New Jersey; le loro mogli sono rimaste in Italia, le cosiddette vedove bianche insieme ai figli. Certi strappi, ricuciti o meno, rimangono contaminando anche le generazioni venute dopo. Il problema dell’incapacità tutta italiana di capire a fondo il fenomeno migratorio risiede principalmente nel fatto che manchiamo di fare i conti col nostro, lo sminuiamo per cattiva coscienza.
Almudena Gomez riflette molto sul concetto di tempo; tanto che la signora Cols, la ricca anziana cui fa da badante, la rimprovera: “Non dire sempre, lo dici troppe volte!” (p. 17). Quanto le origini sudamericane di Almudena influenzano il suo concetto di tempo? Il rapporto con il tempo (e dunque con la vita e con la morte) può cambiare radicalmente attraverso le culture, soprattutto se così apparentemente distanti come possono esserlo quelle sudamericana e italiana…
Nel delineare il rapporto che Almudena ha col tempo non ho pensato (perlomeno in maniera conscia) alle sue origini sudamericane, né ho caratterizzato a tavolino un personaggio basandomi sugli stereotipi culturali legati, in questo caso specifico, alla sua provenienza. Almudena vive nel suo tempo senza attraversarlo consapevolmente, senza parteciparvi in maniera attiva: questo è quel che sembra dal di fuori, questo è quel che probabilmente lei vuole che emerga. Nessuno, osservandola passare per strada, riuscirebbe a intuire quanto la sua apparenza sia ingannevole rispetto alla sua essenza. La nostra società è ossessionata dai ruoli e dalle etichette: anche il solo accostarsi a certe tipologie di persone ci mette automaticamente in una condizione di superiorità o inferiorità sociali. Per inciso dire di essere amico/a di una persona che di mestiere fa la badante ci procurerebbe in molti casi tutta una serie di giudizi a loro volta legati a preconcetti duri a morire, e la cosa è valida anche all’inverso, ovvero i giudizi altrui cambiano se in amicizia ci affianchiamo, che so, a un primario.
I rapporti elettivi non dovrebbero tenere conto dei ruoli sociali o delle condizioni economiche delle persone coinvolte, sembrano banalità ma a furia di considerarle tali abbiamo acuito ancora di più le voragini tra la gente. Quanto al discorso del “sempre”, Almudena vuole continuamente accontentare la signora Cols: sa che Ivetta è una persona esigente, suscettibile, con la mania del controllo, dunque per limitare al massimo sue eventuali reazioni si mostra accondiscendente nei suoi confronti. Ivetta questa cosa la sa bene e ne approfitta , salvo poi, con un improvviso colpo di coda, prenderla alla sprovvista, provocandola. Lo fa per capriccio, forse anche per misurare la propria capacità di influenzare le reazioni della sua badante. Ivetta ha il potere, è la sua datrice di lavoro e qualche volta si mette a giocare con le sue emozioni, Almudena al contrario non può permetterselo. La sua giornata lavorativa è lunga e completamente dedicata alla signora, tutte le sue azioni sono lente e metodiche, non c’è spazio per gli imprevisti o per un qualche piacevole passatempo: ogni cosa deve svolgersi secondo un programma preciso che non ammette variazioni.
Per lavoro mi capita molto spesso di stare a contatto con adulti emigrati: se si tratta di persone che si sono stabilite qui con la propria famiglia, so che i momenti di svago post-lavoro sono pochi e perlopiù in casa o in qualche centro commerciale, ma per le persone emigrate da sole le occasioni di fare qualcosa al di là del lavoro si riducono di molto. Le giornate, le settimane, i mesi, gli anni degli emigranti economici sono dedicati perlopiù all’accumulo di denaro: penso agli animali prima del letargo, fanno provviste, è la natura a chiederglielo, poi penso ai miei bisnonni, anche loro lo fecero per decenni. Le esistenze di chi parte per necessità trascorrono nel tentativo di accumulare soldi utili a vivere vite che essi non potranno mai vivere completamente, vite che nel frattempo vanno avanti altrove e che imboccano strade inaspettate, incontrano cambiamenti perché non possono fermarsi ad attendere che il gruzzolo aumenti. Ecco, io ho cercato di raccontare che cosa vuol dire trovarsi fisicamente nel luogo in cui si lavora, ed essere continuamente col pensiero a migliaia di chilometri da noi in uno stato perenne di interruzione e ripresa
Hai altre scritture in cantiere dopo quest’ultima esperienza con Almudena Gomez?
Come già detto nella prima risposta ho un altro romanzo già terminato, scritto in concomitanza con “Tutti i soldi di Almudena Gomez” . Poi ce ne sono altri tre, uno che pian piano prende forma concretamente e altri di cui ho solo il titolo e un piccolo abbozzo. Non so ancora cosa ne sarà di loro, come disse Gianni Celati “scrivo per il gusto di farlo, non ho altri scopi (…) io non sono uno scrittore professionista, e l’idea di lavorare a un libro è qualcosa che non ho mai avuto”.
Biografia
Valentina Di Cesare è nata a Sulmona ed è cresciuta a Castel di Ieri, in provincia dell’Aquila. Attualmente vive a Milano dove lavora come insegnante di lettere e di lingua italiana a studenti stranieri. Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, Marta la sarta, (edito da Tabula Fati) tradotto in lingua tedesca e romena; nel 2018 è uscito per Urban Apnea Edizioni il racconto lungo “Le strane combinazioni che fa il tempo” mentre nel 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, “L’anno che Bartolo decise di morire”(Arkadia Editore) . Il 25 gennaio scorso è uscito, per l’editore Alessandro Polidoro, “Tutti i soldi di Almudena Gomez” .
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