Roberto Calasso: Sotto gli occhi dell’Agnello

di Ivana Margarese

 

Sotto gli occhi dell’Agnello è un piccolo libro di Roberto Calasso, pubblicato da Adelphi dopo la morte dello scrittore, che ha diretto e rappresentato la casa editrice sin dai suoi esordi.
Il libro si compone di brevi frammenti che si rifrangono l’uno sull’altro come una transazione segreta: “Di questo è fatta la storia: di momenti affilati, che lasciano una cicatrice”.
Lo stile è paratattico. Il testo è una ripetuta domanda che non trova risposta. Protagonista sin dal titolo è l’Agnello, di cui si parla nel libro dell’Apocalisse:

« Tu sei degno di ricevere il libro
e di aprirne i sigilli,
poiché sei stato ucciso
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo,
nazione; tu li hai costituiti per il nostro Dio un regno
e dei sacerdoti;
e regneranno sulla terra ».

Tutto accade sotto gli occhi dell’Agnello, l’unico degno di ricevere il libro e di aprirne i sigilli, l’unico ad essere ucciso prima della creazione del mondo: “è il primo essere che viene ucciso. Nessuno ha detto perché”. Uccisione e sacrificio sono situate all’origine di ogni cosa. Dopo avere ucciso qualcuno, che non ha alcuna colpa, la macchina del mondo può mettersi in moto, mentre dall’Agnello continua a sgorgare sangue.
Roberto Calasso nell’incipit del suo testo fa un richiamo, citando Gesù, Buddha, Lao Tzu, S ́iva e Allah, a una figura mitologica condannata a una ripetuta flagellazione: Prometeo.
Titano,«figlio più forte» di Zeus, Prometeo è quasi una figura della “dépense” di cui scrive Georges Bataille,  seppure il suo desiderio sia soprattutto quello di morire piuttosto che trovarsi in una sofferenza continua senza speranza di morte.
Si tratta di un riferimento alla tragedia di Eschilo, svelato soltanto in nota, ma significativo. Il tema del sacrificio peraltro ritorna spesso nell’opera di Calasso – basti pensare a La rovina di Kasch – seppure in questo caso la scrittura si frantuma in tante domande che non hanno risposta: Chi ha ferito l’Agnello? Nessuno lo ha detto. 

Simone Weil: « L’Agnello è in qualche modo sgozzato in cielo prima di esserlo sulla terra. Chi lo sgozza? ». È la domanda ultima della cristianità – e non ha trovato risposta.

Il sangue dell’Agnello è una presenza perenne nel mondo, esiste da sempre. Tutto si è svolto sotto i suoi occhi, che guardano fissi davanti,  distanti e impenetrabili. L’agnello aspetta la sua sposa, la Gerusalemme Celeste: “le nozze fra un animale morto e un luogo ignoto”.
Il libro ha al suo interno un paio di immagini, due dettagli che raffigurano l’Agnello del Polittico di Gand dipinto da (o dai) Van Eyck tra il 1426 e il 1432, denominato anche, per il soggetto del pannello centrale, Polittico dell’Agnello Mistico.

Per secoli si era letto dell’Agnello nell’Apocalisse. Nessuno aveva osato raffigurarlo. Era come fosse legato nel testo. Poi van Eyck provò – e apparve qualcosa di abbagliante, unico. Nessuno osò ripeterlo.

L’ attenzione verso la figura dell’Agnello muta, in alcuni passi del testo, attraverso la mediazione del libro, nell’immagine della Vergine dell’Annunciazione, che è tradizionalmente ritratta, fra il Quattrocento e il Settecento, nell’atto di leggere.

Ma perché la Vergine, tutte le Vergini, devono leggere un libro, apprestando un leggio per separarlo da ciò che lo circonda? Perché non raffigurarle accanto a un telaio o a un altro strumento domestico più consono? Leggere è un ostacolo, un luogo intermedio, dove qualcosa accade. Che il testo letto dalla Vergine siano i profeti è arbitrario. Più che evocarlo, la Vergine teme il futuro, a giudicare dalle sue espressioni. C’è un abisso tra il flusso dello Spirito Santo e il libro. È la vita.

La Vergine viene sorpresa nell’atto di leggere nell’unico momento in cui lo Spirito Santo la tocca. Bisogna tuttavia sottolineare che si tratta di una interpretazione  del tutto arbitraria, in quanto non c’è un passo delle Scritture dove si dica che la Vergine debba leggere un libro nel momento in cui appare l’angelo.
Anche il primo gesto dell’Agnello è stato quello di aprire un libro – cantavano che fosse degno di aprire il libro « quoniam occisus es et redemisti nos Deo in sanguine tuo», « poiché ucciso ci hai riscattato per Dio con il tuo sangue ». Entrambi, l’Agnello e la Vergine aprono un libro.

“È come per l’Agnello. Non potrebbe dominare le belve se non sapesse aprire il libro dei sette sigilli e leggere ciò che contiene. Leggere è qualcosa che si misura con le potenze del mondo, incluso lo Spirito Santo”.

«L’incertezza è enorme e rimane» – scrive Calasso – e così sul terreno sdruccioloso delle pagine di questo libro sembra sempre di mancare la presa, quasi l’intelletto fallisse la sua capacità di comprendere. Calasso offre al lettore delle corrispondenze, forma un’inquieta e affascinante costellazione di nessi immaginabili, una possibilità di giocare col pensiero su temi cruciali e originari. La forma aforistica procede per salti e predilige porte di accesso alla riflessione imprevedibili.
C’è un ricordo dello scrittore da bambino, contenuto in Memè Scianca ( Adelphi, 2021), dove vengono riportate alcune annotazioni del nonno Ernesto, contenute in un suo quadernino di diario:

« La nonna fa dire le preghiere al piccolo Roberto prima di addormentarsi. Il bimbo poi si segna: Padre, Figliuolo e Spirito Santo.
« Si spinge sotto le coperte e pare si addormenti, ma improvvisamente balza fuori dal lenzuolo con la testa e afferma: Lo Spirito Santo però non lo conosco ».

Un balzo inatteso o forse una protesta un po’ dispettosa rivendicano il senso del gioco, che Calasso descrive come qualcosa che induce a una concentrazione estrema, spingendo ad annullare tutto ciò che non ne è parte. Questa preferenza assoluta per il gioco, viene ben presto sostituita in lui dalla passione per i libri: “È una conquista graduale la possibilità di immergersi in un libro con la stessa intensità che si sperimenta nel gioco”.
La lettura è per Calasso bambino una rivelazione che apre la via verso una regione ignota e fascinosa. E certamente verso luoghi non ancora noti ci spinge la lettura delle opere di Roberto Calasso, spronandoci a godere del gioco della narrazione  e pungolandoci per non smettere di interrogarci, ancora.

1 Comment
  • Isabella Bignozzi
    Posted at 09:58h, 30 Maggio Rispondi

    Cara Ivana, leggo ora con ammirazione il tuo articolo, e sento il bisogno di dirti che si tratta di una soglia luminosa, che apre riflessioni di ripida profondità.

    In un momento storico come questo, dove il palcoscenico è gremito e la platea vuota, vedere l’archetipo atavico dell’agnello sovrapporsi all’immagine di colui che legge, o alla vergine che accoglie senza domandare, che fa dono di sé senza computo, provoca una sensazione di esattezza assoluta.

    Pensavo, leggendo le tue parole insieme a quelle di Calasso, davvero a tante cose, all’Agnus dei di Zurbarán, al suo accondiscendere mite, maestoso; all’attenzione di Simone Weil come continuo battesimo dell’altro; alla cultura come dedita salita al Carmelo di Cristina Campo. Le tue riflessioni mi sono giunte perfette, piene di mistero e cariche di conforto. Di questo ti ringrazio tanto.

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