31 Mag La memoria come liturgia, su “Memorie fluviali” di Isabella Bignozzi
a cura di Franca Alaimo
Immagini di Camille Corot
Il titolo della seconda sezione dell’ultima raccolta di Isabella Bignozzi (Memorie fluviali, MC edizioni 2022, collana Gli insetti, a cura di Pasquale Di Palmo) è Passo d’addio, lo stesso della prima pubblicazione della Campo, e questo va certamente letto come un gesto di devozione alla poetessa e alla sua rappresentazione del mondo.
Essa, pur essendo la più breve delle tre sezioni che compongono Memorie fluviali, costituisce il suo cuore pulsante in quanto rivela la doppia incandescenza dell’atto del ricordare che, se da una parte coincide con la perdita soprattutto degli affetti primari (è immediato il parallelismo con La tigre assenza della Campo), dall’altra pretende un rito d’immersione lustrale dal quale riemergere, purificati, alla dimensione dello spirito.
L’aggettivo «fluviale» infatti, più che alludere alla comune accezione di abbondante e inarrestabile flusso memoriale, spesso involontario, come quello da cui si origina la ricerca proustiana del tempo perduto, possiede una forte connotazione simbolica e mistica, veicolata da un lessico assai prossimo a quello della Campo, a cominciare dall’espressione «cerimonia purissima» con la quale per entrambe la poesia assurge a una postura religiosa capace di collegare il mondo di qui con l’altrove, valicando la soglia sulla quale si arresta l’esperienza e la parola della quotidianità.
E dunque termini attinenti alla liturgia, quali «miniato codice», «croce», «sindone», assurgono al ruolo di metafore della bellezza e della passione (da leggere nel suo significato originario di patimento) che sono date in sorte a ogni autentico poeta.
Che la memoria sottenda lo spazio psicologico (uno dei termini più ricorrenti è la sua figura fisica «fronte») da cui sgorga l’acqua lustrale della poesia (che ha, invece, la sua figura nel termine «bocca») è attestato dalla struttura circolare della silloge, che si apre e si chiude con due testi dedicati al padre; al quale padre si affiancano altri familiari, anch’essi perduti, a fare da psicopompi, più che verso l’oltre, verso il tempo dell’infanzia, con un movimento del cuore che la Campo definì un «avanzare di ritorno», e che, nella Bignozzi, coincide, per altro, con un tentativo di ricongiungimento all’infanzia muta dell’Essere stesso e, perciò, al silenzio precedente alla creazione, a quella «matrice primaria un amalgama di uomo terra e animale / una genesi / amore purissimo di spavento bianco» evocati nell’ultima lirica.
Tale struttura ad anello serve anche a collocare la poesia sul confine lungo il quale vita e morte si perpetuano a vicenda nella ripetizione del tragitto sorgente-foce che segna il ritmo dello scorrere di un fiume (giusto per tornare al titolo della silloge), che si spera inesauribile, di contro l’ipotesi di un disastro: «Se solo fossero la mia e la tua mano, disciolte in ritorno, vicine nel sole».
Ci troviamo, insomma, di fronte al problema dell’inesprimibile, che l’autrice affronta con una tessitura linguistica suggestiva che, mentre dice le cose reali del mondo ricorrendo al lessico scientifico, tenta di afferrare il non-visibile facendo uso del parlato; e allorché immagina la sutura tra le due dimensioni, si rivolge alla metafora e all’analogia con effetti o di splendente liricità o di complessità indecifrabile o, ancora, di visionarietà mistica.
La Bignozzi sa bene che non è con l’intelligenza che si penetra il senso intimo delle cose, ma con l’intuizione, la cui «durata» paradossalmente «non si sviluppa in una serie di momenti-movimenti, ma nell’arcana percezione «di qualcosa che accade, senza che nulla accada, di eventi che prendono la pura forma di cristalli»» (Massimo Cacciari, Paradiso e naufragio, Einaudi, 2022, p. 109).
Se la Campo costituisce un riferimento forte, molti altri sono gli autori citati dalla Bignozzi, quali Mandel’štam, Celan, Herbert, ma la dedica all’amico Elio Grasso nel testo Al poeta non solo lo pone, in forza dell’articolo determinativo, in cima ad una ideale scala di giudizio affettivo e valoriale, ma tende altresì a ricalcare quella «a Cristina e Mario» che introduce la sezione centrale, intendendo sottolineare il ruolo dell’amico nella sua formazione culturale, così come in quella della Campo fu fondamentale il magistero di Luzi, che l’avviò alla lettura di molti autori, e in specie della Weil.
Sebbene sia il perduto a predominare nella trama poetica della Bignozzi, proprio in funzione di esso, se «dice il vero chi parla di ombre», secondo un verso – citato dall’autrice – di Paul Celan, anche il presente si fa spazio nei versi di Memorie fluviali, innanzitutto come rilettura della propria infanzia in chiave sacrale: ne è un magnifico esempio il testo Teatro familiare (in cui il termine «teatro» rimanda all’atto del ri-vedere che compie la memoria), nei cui versi anche gli oggetti quotidiani assumono una significazione evocativa, spiritualmente alonata, iscritti come sono nello spazio della casa-cattedrale; dimora in cui ogni persona svolge il ruolo di ierofante, interpretato, al sommo della sua solennità, dalla nonna che «alla fonte lustrale / del rubinetto» colma d’acqua la brocca che aggiunge alla farina, per dare forma concreta al «suo gesto liturgico / cuocere il pane»; e, siccome è Domenica, esso rammemora la cena cristica.
Un altro elemento del presente che irrompe spesso nella poesia della Bignozzi è il paesaggio «che rinvia d’ogni cosa / la radiosa spina»; ché le immagini delle cose, tutte destinate a sparire, evocano, nella loro fragile bellezza, la dimensione dolorosa e insieme sfolgorante della fine («c’è pace nell’ultimo raggio»), dalla cui ineluttabilità sgorga la consapevolezza del compito del poeta, chiamato più di ogni altro all’attenzione nei confronti del dettaglio, «al dovere della cura». La parola poetica diventa metodo con cui raggiungere l’Abaton, il recesso sacro, sotterraneo e buio del tempio interiore dell’anima, dove l’uomo contemporaneo non riesce più ad arrivare, accettando il dolore e trasformandolo, secondo la lezione ancora della Campo, in luce e amore, «anche se – come scrive Marco Ercolani – questo sentimento amoroso di accordo arriva dopo un viaggio complicato e straziato nel corpo e nella mente».
da Isabella Bignozzi, Memorie fluviali, MC edizioni 2022
Alba
Sanguina il gelso
nel pianto degli archi
un adagio in minore
suonato di taglio
si misura nel crollo
la premura d’amore
negli steli recisi
la morte che ha cura
balsamo miele
mio barbaro
mia nuda tra le dita
preghiera
e tu
candido altare
alba di vetro
che ogni cosa sai
del nuovo giorno
spezzami piano.
*
Lirica del padre
Le frasi dette
i gesti delle mani
lasciano memoria nell’aria
come traiettorie aeronautiche
rotte alate
a calcolo numerico
ogni desiderio
che esca dalle labbra di un bambino
disegna a terra
con pietra bianca, di gesso
i quadrati
del gioco del mondo
dicevi intelligenti sì, ma siete fragili
la vita tatuata
da una medaglia
strazio – prigionia – fame
dismessi
in altra pelle
emergeva, a volte,
in una smorfia di diniego
una stranezza orfana
inattesa
un dispetto
io ti dicevo
vieni papà
ma mi pareva tardi
come fossimo sorvegliati
due stranieri in autunno
avrei voluto conoscerti infine
prima che la vita finisse
di strapparci gli occhi
ti cercavo
ti cercavo
con la nostalgia dei ritorni
nel rovescio assopito
delle parole
ma sono rimasta a guardare
inebetita
il nostro cristallo
farsi anisotropo
deformarsi
la tua voce
divenire
massa mancante
priva di trasmissione.
*
Il senso
Viottoli di bianco esteso candore
acuminato negli occhi lo sfascio
dei petali
bellezza taciturna divampa
segna le ore al quadrante
della sete
il negarsi precipite immacolato
del florilegio che grida
l’incanto
i cordogli custoditi oltre
quell’intagliato margine
di scogliera
che rinvia d’ogni cosa
la radiosa spina
e puro serbato il senso.
Biografia
Isabella Bignozzi è odontoiatra, autore di articoli medico-scientifici di rilevanza internazionale. Ha pubblicato racconti, prose e contributi critici su varie riviste letterarie. Alcune sue liriche sono apparse su «Inverso – Giornale di poesia», «Poesia del nostro tempo», «Versante ripido», «Atelier poesia», «rivista ClanDestino», «larosainpiu», «La foce e la sorgente», «Formicaleone». La sua prima silloge Le stelle sopra Rabbah, è uscita per Transeuropa nel maggio 2021, con una postfazione di Elio Grasso. Una sua prosa inedita è stata finalista alla 35^ edizione del Premio Lorenzo Montano. Con il romanzo storico a memoriale Il segreto di Ippocrate, edito da La Lepre edizioni, è stata finalista al premio Como 2020. La sua seconda silloge, Memorie fluviali, è nella collana Gli insetti di MC edizioni, curata da Pasquale di Palmo.
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