02 Lug Non c’è cosa più dolce – Intervista a Francesca Sensini
di Sara Manuela Cacioppo
Sappiamo che sei una studiosa di Giovanni Pascoli: dopo il successo di “Pascoli maledetto” (Il Nuovo Melangolo, 2020), che ha dato dello scrittore una visione originale, vera e soprattutto “nuova” per il grande pubblico, abituato alla polverosa versione mainstream, cosa ti ha spinta a scrivere questo libro?
Ho deciso di scrivere questo nuovo libro per completare, in qualche modo, il lavoro iniziale che avevo fatto con “Pascoli maledetto”. In queel saggio-racconto avevo già fatto cenno alla ricchezza di relazioni che Giovanni Pascoli ha sempre intrattenuto, seppur con modalità diverse nelle diverse fasi della sua vita, con amici e amiche, e anche con donne – a dispetto della vulgata, che lo vuole isolato, tutto “nido” e sorelle – con cui avrebbe desiderato legarsi sentimentalmente. In particolare, avevo accennato al bellissimo e intenso scambio di lettere, durato quindici anni, dal 1987 al 1912, anno della scomparsa del poeta, con Emma Ciabatti, vedova Rotigliano e Signora Corcos in secondo nozze – suo marito era il celebre ritrattista livornese Vittorio Matteo Corcos – nativa di Lari, vicino a Pisa, animatrice della vita cultura fiorentina di fine Ottocento, lei stessa autrice, lettrice di poesia, sua ammiratrice e, in seguito, confidente e amica, al centro del nuovo libro: “Non c’è cosa più dolce. Giovanni Pascoli ed Emma Corcos, Lettere” (Il Nuovo Melangolo, 2022). Si tratta di un romanzo epistolare, anche se è un romanzo non di invenzione ma reale, se così posso dire, perché è composto di documenti autentici – lettere, cartoline, biglietti, telegrammi, foto – che ho raccolto e trascritto, integrandoli anche con stralci di altri corrispondenti, amici di Giovanni e Emma, e con parti narrative mie, per chiarire, contestualizzare le lettere e completare il quadro per il lettore.
Esisteva già un’edizione, ancorché parziale, di questo carteggio, uscita nel 1972 per Rizzoli a cura di Claudio Marabini. Tuttavia, l’edizione presentava per me delle criticità su cui mi pareva opportuno intervenire. Intanto, le lettere di Emma erano trascritte in certi casi solo in parte; a volte erano direttamente riassunte e in ogni caso sempre date in nota, dopo le lettere del poeta, riportate nel corpo del testo con un carattere più grande. La scelta di mettere in nota le lettere di Emma Corcos anche quando erano cronologicamente precedenti quelle del poeta mi è parsa abbastanza discutibile. Volevo, in prima battuta, rimettere in ordine il carteggio e trascrivere tutto il possibile, anche le parole affidate a cartoline illustrate e biglietti di auguri, nella loro sintesi spesso particolarmente interessanti a definire il rapporto tra i due corrispondenti. L’idea era, poi, di proseguire nel racconto di un Pascoli poco noto al grande pubblico – al contrario, gli specialisti e le specialiste di Pascoli hanno tutte le informazioni del caso, che però, purtroppo, non filtrano facilmente dal huit clos degli studi accademici – e di continuare nel tentativo di liberare il campo dagli stereotipi più triti su Pascoli: uomo chiuso in se stesso, spaventato dal mondo, in fuga dalla storia, dalle donne, tutto lacrime e sorelle, nido e lutti. È un discorso complesso, che ho affrontato in “Pascoli maledetto”. In ogni caso, la vulgata pascoliana – consolidata nel tempo dai manuali scolastici – dà un’immagine troppo ammorbante, oltreché molto parziale, e in parte anche storicamente falsa, dell’autore, non aiutando quasi per nulla a cogliere né il valore della sua esperienza biografica né la sua portata di poeta europeo. Il titolo del libro – “non c’è cosa più dolce” – è tratto da una lettera di Pascoli che così definisce la sorpresa nel ricevere notizie da una donna come Emma, colta, fine lettrice di poesia, acuta critica e e ben disposta nei suoi confronti. Da innovatore e per molti aspetti vero avanguardista, Pascoli non di rado pativa gli strali della critica, degli accademici, della cultura ufficiale italiana in genere, che mal sopportava la sua interdisciplinarietà – poeta, filologo classico, romanzo, dantista…. – e il suo spirito anticonformista.
Com’è stato ricercare e leggere la corrispondenza fra Pascoli e Corcos?
È stato molto emozionante, come sempre. Sono stata molte volte a Castelvecchio di Barga a fare ricerche nell’archivio di Casa Pascoli. La prima risale all’epoca del mio dottorato di ricerca; parliamo del 2004. Da allora non ho più smesso di lavorare su Pascoli e le mie visite a Castelvecchio sono state numerose. È molto bello poter maneggiare le carte di un autore che si ama molto, aprire i suoi libri, vedere cosa sottolineava e annotava nei bordi pagina. Ci si ritrova in intimità con lui. Inoltre, Casa pascoli a Castelvecchio è davvero un luogo rimasto sospeso nel tempo, tenuto con cura e affetto. Ha un grandissimo fascino e la cornice paesaggistica è unica.
Da cosa evinciamo che si tratti di una storia d’amore segreta: puoi citarci qualche passaggio saliente?
Questa cartolina mi è molto cara
Cartolina illustrata, Ponte di Campia – Massa e Carrara
25 agosto 1911
Donna Gentile, su, dunque: mi risponda tante e tante cose, che qualche volta la solitudine e il silenzio mi pesano. Interrompa l’afa col lieto tuono della sua voce, con uno di quei tuoni che sanno di fresco, di polvere spenta, d’odor di terra… Nella passata primavera passai di notte per Fiorenza silenziosa (oh! cosi parla bene e si mostra gentile all’uso antico!) e salutai di sulla tacita macchina, elastica, oleosa, la sua casa e quelli che vi dormivano dentro. Da S. Maria Novella andavo al Campo di Marte…
suo Giovanni Pascoli
Sì, si tratta di una storia d’amore ad un tempo dichiarata e segreta, un’amicizia amorosa, potremmo dire. Parliamo di un uomo – ricordiamolo – che ormai avevo rinunciato alla sua vita privata, abbandonandosi, oramai senza più forze, alla giurisdizione della sorella Maria, al cui ricatto affettivo aveva completamente ceduto (Maria temeva di essere messa da parte da un’altra donna ufficiale, da una moglie del fratello che avrebbe fatto di lei una sorta di ingombro sociale, la sorella zitella da mantenere e con cui convivere). L’ultimo tentativo di sfuggire alla prigione del “nido” (altro che luogo rassicurante!) avvenne intorno al 1896, quando Pascoli si fidanzò con la cugina riminese Imelde Morri, tenendo all’oscuro Maria ma non i suoi amici più cari, che lo aiutarono a fare le carte, a comprare i regali per Imelde. Era tutto pronto. Ma Maria venne a sapere delle manovre matrimoniali da ignari conoscenti, che la credevano al corrente, e sventò da par sua tutto il progetto. Stupefacente fu senz’atro anche il cedimento totale di Pascoli di fronte alla tirannica volontà della sorella. Per i particolari del feuilleton pascoliano rinvio a “Pascoli maledetto” per ragioni di spazio. Quando Emma conosce il poeta, si trova di fronte un uomo che ha rinunciato totalmente alla sua indipendenza affettiva e a quella che lui definisce in un’intervista del 1907 la sua “passione dominante”, cioè l’amore, sostituita con rammarico dal meno salutare, ma di più pratica gestione, “fumo”. Parola di Pascoli. Giovanni Pascoli stringe dunque un legame con Emma sincero, intimo, pieno di ammirazione, a volte di incomprensioni e scuse, di capricci dell’uno e dell’altra e spesso, da parte di Pascoli, di svicolamenti e fughe. Giovanni non sempre è libero di rispondere alla tenerezza e alla dolcezza con cui Emma gli si rivolgeva, cercando il modo di tirarlo un poco più verso di sé. Ad un certo punto, in una lettera, Emma esprime il desiderio di rivolgersi alle “fate” per diventare più bella, più giovane, più ricca ed esser così degna (Emma è una donna di grande modestia, come tutte le persone di grande intelligenza, direi) di chiedere la mano di Giovanni Pascoli. Questa fanciullesca e impossibile proposta di matrimonio cade naturalmente nel vuoto, senza replica. Pascoli non avrebbe potuto fare altrimenti, anche se avesse voluto rispondere qualcosa. E chissà che non lo abbia desiderato.
Dalla lettura delle lettere evinciamo che Pascoli ha un legame speciale con la Sicilia, perché?
Sì, Pascoli ha avuto un legame speciale quella Sicilia, che lui chiama “l’isola dei poeti”, dove ha lavorato e ha vissuto gli anni più felici della sua vita, più fecondi di visioni e progetti. Le sue passeggiate sullo stretto con il cane Gulì, la vicinanza di colleghi e amici, come Manara Valgimigli, rallegrarono gli anni dal 1898 al 1903, quando insegnò Letteratura latina all’Università di Messina.
Nel discorso tenuto nel 1897 in commemorazione del latinista e poeta in latino Diego Vitrioli (Un poeta di lingua morta) così parla della Sicilia:
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi
obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo
è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono
formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti
nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, imagine di grandi
porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo.
In Sicilia Pascoli era giunto come nel luogo “dove giunge chi sogna”, dove sentiva trascorrere accanto a sé le ombre vive e le voci di quella civiltà mediterranea da cui prendeva le mosse la sua ricerca di poeta filologo, radicato in quello che lui definisce “l’antico, che è sempre nuovo” e percorso dalle visioni della poesia del nuovo secolo appena iniziato. Nel carteggio con Emma sono molto commoventi le lettere che i due amici si scambiano dopo il terribile terremoto di Messina, del 1908, a testimoniare l’amore di entrambi per l’isola (il primo marito di Emma, Giacomo Rotigliano, era di origine siciliana). Sia Giovanni che Emma – che i figli di Emma – si prodigano per venire in soccorso degli amici sicialiani, della popolazione sul posto e degli sfollati in Toscana.
Emma Corcos è chiamata più volte da Pascoli “Gentile Ignota”, cosa nasconde questo soprannome?
“Gentile ignota” è il soprannome di Emma quando Giovanni riceve la sua prima lettera, in forma anonima. Non sapeva in effetti chi fosse la donna che gli aveva scritto. La lettera gli era stata recapitata da un amico comune, il padre scolopio Ermenegildo Pistelli. Questo soprannome rimase però sempre caro a Emma e divenne il sehnal che la rendeva unica, che la faceva sentire tale. Tant’è che pretendeva che Pascoli usasse sempre quel soprannome e non la chiamasse mai “gentile signora”, come la chiamavano tutti gli altri suoi corrispondenti. Pascoli la chiamava anche spesso “Donna gentile”, appellativo che rimanda alla “donna gentile” che conforta Dante, nella Vita nova, dopo la morte di Beatrice. All’Ignota è anche il titolo di una bellissima poesia che Pascoli scrisse Emma proprio da Messina e che fu pubblicata solo dopo la morte del poeta, quando Emma, su richiesta dei giornali, decise di divulgare quei versi preziosi, di fatto una visione amorosa e poetica di Emma in veste di “sirena”.
L’impossibilità d’amore traspare dalle parole scambiate e da quelle sottintese, se questo legame fosse sbocciato nella contemporaneità si sarebbe concretizzato a tuo avviso?
Che bella questa sollecitazione fantabiografica. Un what if a cui però non saprei rispondere ma a cui ho pensato molte volte: cosa sarebbe stata la vita di Giovanni Pascoli se…Se lui non avesse risposto favorevolmente alle richieste a Ida e Maria, quando presero a ricontattarlo, dopo tanti anni di blackout, quando Pascoli faceva la sua vita di bohémien a Bologna, esprimendo il desidero di andare a vivere con lui a Massa – dove Pascoli si trasferì nel 1884, per insegnare al liceo – di lasciare la casa della zia, Rita David, che si era presa cura di loro dopo la morte dei genitori. Tutte ipotesi che potrebbero far da spunto a un romanzo, questa volta di fantasia. Forse un romanzo felice. Non saprei dire neanche questo ma sicuramente non ci sarebbero nidi asfittici di mezzo. E sarebbe già un bel progresso.
Nella trascrizione delle lettere hai rispettato la punteggiatura, persino anomalie ortografiche. Perché questa scelta?
Sì, nella trascrizione delle lettere ha rispettato le particolarità ortografiche degli originali per restare fedele, per così dire, al testo sorgente e perché normalizzare non mi sembrava giustificato. Avrei dovuto stabilire delle regole artificiali. Mantenere la grafia originale e le convenzioni epistolari del tempo aggiunge una patina di lontananza al testo, che trovo affascinante.
Dalle lettere emerge il contesto storico in cui i due amici-amanti vivono. Cosa va sottolineato in tal senso?
Sì, le lettere permettono anche di entrare nell’atmosfera della Belle Epoque, in particolare a Firenze, dove Emma vive e, in generale, dell’Italia di fine 800, con le sue personalità letterarie – Carducci, D’Annunzio, Duse… – politiche, figure di critici, giornalisti, conferenzieri alla moda. Offrono davvero un vivacissimo scorcio su quella che fu una parentesi spensierata – anche se carica di contraddizioni, percorsa da nazionalismi sempre più feroci – prima dello scoppio della Grande guerra. Tra l’altro Vittorio Corcos, con i suoi eleganti e maliziosi ritratti, è uno dei massimo interpreti del bel mondo europeo di quello scorcio di fine secolo.
Le lettere sono precedute da tuoi racconti e notazioni introduttive che aiutano il lettore a calarsi nella storia, come stesse quasi spiando il rapporto d’amore/amicizia fra Pascoli e Corcos. Lungo le tue narrazioni alterni spesso la ricerca a dei giudizi personali così come passi dal romanzo al saggio: lo definiresti il tuo marchio di scrittura?
Potrei dire di sì, che è il mio marchio di scrittura; in ogni caso, è il modo in cui riesco a coniugare il rigore della ricerca con il piacere di raccontare quello che mi appassiona e che desidero condividere. Mi libero così, concedendomi uno spazio personale, dai lacci che la scrittura accademica richiede; lacci che personalmente a volte sento stringere troppo e che irrigidiscono ma finiscono anche per sterilizzare e raffreddare una materia che è invece è vivissima. Con questo libro il mio scopo era far conoscere e raccontare a un pubblico ben più vasto di quello specialistico un rapporto molto bello e umano su uno sfondo di storia e cultura italiana da noi cronologicamente distante eppure, per certi versi, simile al presente, un altro capitolo della vita di un uomo e di un poeta notevolissimo, una donna piena di garbo e di intelligenza come Emma Corcos, “ignota” davvero ai più. Come “Pascoli maledetto”, “Non c’è cosa più dolce” si rivolge alle e agli appassionati di letteratura e poesia, a professori e studenti della scuola, ai curiosi e interessati a un personaggio arcinoto come Pascoli, ma così mal(e)detto, per molti persino antipatico e noioso (ho letto certe reazioni alla traccia uscita alla maturità quest’anno). Cercando di spiegare le ragioni del mio grande amore per questo autore – amore di studiosa e di ammiratrice sincera, un po’ Emma Corcos anche io – ho messo insieme documenti e narrazione, la mia voce e quella dei due amorosi amici, Storia e storie, con una leggerezza – spero quanto meno – e una spensieratezza forse un po’ fanciullesca. Chissà se Pascoli avrebbe apprezzato.
Francesca Sensini è professoressa associata in Italianistica all’Université Côte d’Azur (Nice). Dottoressa di ricerca dell’Université Paris IV Sorbonne e dell’Università degli Studi di Genova, dedica le sue ricerche alla letteratura italiana di Otto e Novecento, all’ermeneutica dell’antichità classica e agli studi di genere in ambito letterario. Per il melangolo ha pubblicato Pascoli maledetto (2020).
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