Voci di donne: la storia e il coraggio di Maria Occhipinti

 

Dialogo con Marilena Licitra/Occhipinti e Serena Todesco

a cura di Ivana Margarese

Immagine di copertina di Barbara Arrigo, Dentro, tecnica mista su carta, 2020

 

Maria Occhipinti è stata scrittrice e attivista, ma soprattutto rappresenta una figura di donna esemplare per onestà, senso di giustizia e libertà intellettuale, tanto più che non appartiene a un mondo di privilegi ma proviene da una Sicilia povera e culturalmente poco evoluta.
Maria, ventitreenne sposata e incinta di cinque mesi, vive con il marito, i genitori, le sorelle nel quartiere dei ‘mastricarretti’, la zona più popolare di Ragusa. La mattina del 4 gennaio 1945, l’ennesimo rastrellamento che non tiene conto delle esigenze della povera gente la porta a un gesto estremo: si stende a terra davanti alle ruote di un camion militare come azione di opposizione. Per questo gesto di protesta sarà incarcerata, poi confinata a Ustica e schedata a vita come sovversiva. La sua azione politica di grande coraggio fu misconosciuta e osteggiata dalla sua stessa famiglia: fu abbandonata dal marito, vessata dai genitori, considerata una vergogna per il suo paese.
Queste vicende, oltre che la sua testimonianza letteraria, rendono la storia di Maria Occhipinti una storia singolare che molto racconta della cultura italiana e della posizione femminile: “lo sguardo trasformativo di Maria ha davvero tanto da insegnare al femminismo di ieri e di oggi, certamente, proprio perché non si è mai basato su forme di consorterie, su ideologismi rigidi”. Infine la sua apertura verso le relazioni sincere, scevre da appartenenze o consorterie, può indicare un metodo di lavoro comunitario capace di accogliere le differenze e il dialogo tra i differenti. Assai prezioso è il contributo che Marilena Licitra/Occhipinti, figlia di Maria, e Serena Todesco, studiosa della scrittrice, hanno voluto dare alla nostra rivista, raccontandoci di Maria Occhipinti.

Grazie!


Quello che colpisce nella vicenda di Maria Occhipinti è la sua natura indomita, il suo senso della giustizia al di là delle appartenenze, la sua battaglia per la libertà. Tutto pagato a caro prezzo. Mi interessa, in un ambito delicato qual è quello della genealogia femminile, la relazione di Maria con la madre, che pare essere stata una relazione difficile e dolorosa, di non riconoscimento.

Marilena Licitra/Occhipinti: La madre l’ha sempre incompresa, sin da piccola le era ostile, forse già sentiva la diversità di questa bimba con gli occhi blu e i capelli biondissimi, (forse normanna). Nell’adolescenza Maria soffriva di acne al viso e sua madre non faceva altro che lodare la pelle bianchissima di sua sorella.
Questo le aveva causato un complesso di inferiorità. Poi quando ha sviluppato una coscienza politica e ha fatto il gesto che l’avrebbe resa alla storia, sua madre non ha mai fatto nulla per capirla, Maria ha dovuto subire le umiliazioni e le incomprensioni della famiglia e del paese. Al ritorno dal carcere, distrutta fisicamente e psicologicamente Maria aveva bisogno di comprensione, invece ha trovato una grande ostilità, i terribili pregiudizi avevano offuscato anche la mente dei parenti.
Un giorno era tornata in ritardo da una conferenza politica, a casa l’aspettavano suo padre, sua madre, mio padre e sua sorella Rosina. Maria ha a
vuto appena il tempo di adagiarmi sul letto, suo padre le ha dato dei colpi sulla schiena con la cinghia, solo l’intervento di mia zia Rosina per fermarlo l’ha salvata. Sua madre non è intervenuta per difenderla. L’indomani mattina le aveva portato a letto una tazza di latte, Maria avrebbe voluto buttarglielo in viso ma disse solo: madre snaturata, poteva uccidermi, non hai fatto nulla per salvarmi. Non poteva neanche alzarsi, con difficoltà è andata da Franco Leggio che l’ha convinta a denunciarlo altrimenti sarebbe stato capace di ucciderla. A malincuore ha seguito il consiglio, solo così l’hanno lasciata in pace ma era ovvio che non poteva più rimanere in quella casa. Per la loro mentalità lei aveva disonorato la famiglia e doveva morire. Quando nel 1970 mia nonna era moribonda, mia madre da poco operata, da Los Angeles è andata a Ragusa, anch’io da Montreal l’ho raggiunta. Quando mia nonna la vide, nei suoi occhi ci fu solo durezza, nessun perdono. Nel momento della morte ha voluto accanto solo le altre sue due figlie, Maria era esclusa. Ne ha molto sofferto. Le ha dedicato 3 pensieri poetici, profondi e tristi.”

Serena Todesco: Sulla relazione con la madre, concordo assolutamente con la risposta data da Marilena rispetto all’ambito privato e biografico di Maria. Ma vorrei anche aggiungere che le condizioni dure di questo loro rapporto così difficile hanno, per così dire, reso ancora più interessante e ‘politico’ il posizionamento di Maria stessa e la sua radicale differenza nel vivere la propria condizione di figlia, e poi di madre, nel modo più libertario possibile. Il costo della libertà è stato immenso, ma offre anche un esempio di coerenza e di onestà assolute.
Maria si fa portatrice di una pratica relazionale con la maternità capace di sganciarsi completamente dai dettami di una passività patriarcale entro cui la sua stessa madre si era sempre identificata, non prendendo mai le sue difese, ma anzi acuendo e insistendo sullo ‘scandalo’ che questa figlia aveva creato manifestando
autonomamente le proprie idee.
L’ideale esito di questa postura radicale è il ribaltamento dell’oppressione stessa in cui, tra una madre e una figlia, si insinua sempre l’ombra del patriarcato che regola i rapporti familiari, soprattutto tra donne. E dunque, Maria, pur essendo poi diventata lei stessa madre, non ha mai anteposto il proprio ruolo genitoriale all’esigenza di manifestare le proprie idee, spesso allontanandosi dalla figlia – anche a costo di trascurarla – per cercare una propria indipendenza nel mondo, per occuparsi di altre relazioni con varie forme di marginalità e di subalternità. Questo ha certamente creato conflitti e sofferenze (di cui leggiamo soprattutto in Una donna libera), ma ha anche suggellato un modo molto più complesso e decisamente anti-patriarcale di rapportarsi con lo stesso ruolo materno tradizionale, reinventato così al di fuori degli schemi rigidi imposti dalla cultura isolana. La capacità di sganciarsi, con dolore, da una madre che non l’ha mai difesa, è in questo senso un grande insegnamento etico per le generazioni contemporanee di donne; in questo, come in altre forme di ribellione, la storia personale di Maria certamente non offre soluzioni facili, ma spinge a una continua riflessione.


Un tema che mi sta molto a cuore è quello dell’amicizia tra donne. Il fatto che lo scambio di idee e la condivisione di esperienze possa portare a progetti trasformativi e creativi e attraverso una visione condivisa a nuove possibilità di sguardo. Chi erano le amiche di Maria Occhipinti?

Marilena Licitra/Occhipinti: Per Maria l’amicizia era sacra, era leale e schietta. Al suo ritorno a Roma nel 1973 conobbe Adele Cambria che l’ha subito stimata, la chiamava l’Ulisse/Donna o la dea Minerva. Lei è stata una delle poche intellettuali che l’abbiano capita e Adele mi diceva spesso con rammarico di averla conosciuta troppo tardi, che sarebbe stata di grande esempio ed aiuto per il movimento femminista.  I rapporti di Maria con quel mondo femminista romano di intellettuali non erano stati facili, lei faceva parte della base mentre loro erano delle borghesi benestanti. C’è stata una certa incomprensione, Maria era una ribelle con grande esperienza di vita all’estero, di lotte contro ogni discriminazione e sfruttamento. Maria ha sempre pagato di persona e agiva in modo autonomo, secondo coscienza. Le riteneva con poca esperienza di vita e immature, perdevano troppo tempo in chiacchiere.

Serena Todesco: Quando ho avuto l’idea di organizzare il convegno su Maria Occhipinti alla Casa Internazionale delle Donne di Roma nel 2021, insieme alla scrittrice e attivista femminista palermitana Gisella Modica e con il sostegno della Società Italiana delle Letterate, il germe originario è stato proprio il mio rapporto con generazioni diverse di studiose e scrittrici italiane, soprattutto meridionali, che si riconoscono in un femminismo trasversale e, appunto, intergenerazionale. Le diverse voci (oltre a me e a Gisella, sono intervenute Maria Rosa Cutrufelli, Maria Attanasio, Nadia Terranova, la Presidente SIL Elvira Federici, Adriana Chemello e Maria Grazia Calabrese), hanno costituito un mosaico davvero interessante, come si vedrà dal libro che stiamo preparando per raccogliere i vari interventi (in uscita nel 2023).
Si può dire che la causa del mio interesse è stata la spinta continua al confronto politico e affettivo con altre donne per le quali nutro amicizia, rispetto, ascolto. Questo è stato motivato anche dal fatto che, leggendo i libri di Maria, avevo spesso avuto l’impressione che la sua vita fosse stata puntellata da tante forme di relazione, a volte frustranti, a volte ricche di significato e di crescita, in qualche modo proiettavo il mio tentativo di praticare un femminismo delle relazioni sotto il segno della sua vita esemplare. Lo sguardo trasformativo di Maria ha davvero tanto da insegnare al femminismo di ieri e di oggi, certamente, proprio perché non si è mai basato su forme di consorterie, su ideologismi rigidi. Il fatto che, come dice giustamente Marilena, il femminismo a lei contemporaneo non abbia spesso saputo comprenderla, la dice lunga su quanto ancora dentro i movimenti ci sia bisogno di sconvolgere continuamente i binari delle pratiche ‘assodate’, su quanto si rischi sempre di scivolare nelle gerarchie piramidali, persino dentro gruppi di donne che si vogliono mettere in relazione per arrivare a un progetto comune. Viviamo tempi duri, in cui il personalismo della politica ha completamente degenerato le tante buone intenzioni dei movimenti nati dal basso, soprattutto negli anni Settanta. Secondo me, Maria anche in questo può dare un esempio di pratiche di relazione trasversali, in cui ci si sposta sempre nell’onda di terreni comuni possibili. Leggere le sue pagine così lucide, anche quando parla della sua delusione nei confronti di certi comportamenti del femminismo verso di lei, mi fa capire che ora più che mai abbiamo bisogno di rifondare gesti e parole per amicizie femminili inter-generazionali, soprattutto ispirate da forme etiche di relazione non giudicante, non escludente.


La sua autobiografia “Una donna di Ragusa” fu pubblicata nel 1957 (Landi editore), ma l’opera cominciò a suscitare interesse in seguito alla pubblicazione con la Feltrinelli, nel 1976, e nel dicembre dello stesso anno vinse il Premio Brancati. Come definireste lo stile di Maria Occhipinti?

Marilena Licitra/Occhipinti: La pubblicazione del 1957 aveva la prefazione di Carlo Levi ed ebbe la segnalazione di merito al Premio Viareggio ma poi Maria lasciò l’Italia e quest’opera venne quasi dimenticata. Nel 1975 il giornalista Enzo Forcella fu invece molto colpito dalla testimonianza storica ed umana di questa donna coraggiosa e chiese a Feltrinelli di ripubblicarlo togliendo la prefazione di Carlo Levi e aggiungendo una sua “Nota storica” sui Moti scoppiati in diverse città della Sicilia, correlata da statistiche sui morti sia ribelli che militari. Forcella chiese a Maria di andare con lui e la troupe della Rai a Ragusa per fare un documentario nei luoghi della rivolta. Una Donna di Ragusa fu anche tradotto e pubblicato da Maspero a Parigi e da Prisma in Svezia nel 1980.
Come si può definire il suo stile? È un racconto di un’esperienza drammatica scritto in modo schietto, sensibile e forte, forse si avvicinerebbe un po’ al verismo ma non sono un’esperta e non posso giudicare.

Serena Todesco: La scrittura di Maria Occhipinti è spesso come un fiume in piena, trae forza dalle stesse parole che mette in fila, costruendosi a livello sonoro, sensoriale, oltre che testuale. Se la si legge con attenzione e dedizione – anche immergendosi nei Racconti del carrubo o nelle poesie, oltre che negli scritti autobiografici – non è difficile immaginare la sua voce forte, dichiarativa, imbevuta di mille accenti diversi, una voce tuttavia maiideologica o affetta da eccessiva sicurezza. È una voce che riflette, che scava, che interroga il mondo, ciò che lei vede, testimonia, tocca con il proprio corpo, con la propria esperienza. Non è una scrittura facile, lineare: spesso le frasi sono affastellate, perché la foga interiore con cui lei continuamente riafferma il proprio diritto di parola rende le pagine dense, vorticose. Ma non mi sentirei di dire affatto che è uno stile poco “letterario”, anzi proprio il contrario: le immagini che vi si innestano sono intrise di un immaginario poroso, di una visionarietà potente che la rende unica, generosa.
In particolare, mi piace ricordare le pagine di
Una donna di Ragusa dove descrive la propria infanzia, la scoperta dell’ineguaglianza già dentro la famiglia, la comprensione sempre più profonda delle ingiustizie di classe, i primi moti di ribellione che sfociarono nel gesto simbolico potentissimo del gettarsi, incinta di cinque mesi, davanti ai mezzi militari che avrebbero dovuto prelevare forzatamente gli uomini da mandare al fronte.Quella lucidità con cui Maria descrive le ipocrisie del proprio mondo, attraversato da classi contadine e piccolo-borghesi ugualmente subalterne a poteri sottili, trasversali, è, per certi versi, meglio di un qualsiasi saggio di antropologia sulla Sicilia di quegli anni; ci aiuta a capire gli effetti nefasti e a lungo termine di una cultura profondamente polarizzata e spietata, non solo dentro il fascismo ma anche a sinistra; ci mostra senza filtri come il potere sia  capace di insinuarsi dentro gli ideali, sotto forma di convenienze personali, crudeltà, doppiezze. Occhipinti continuamente solleva il velo per noi che la leggiamo, insomma; sta poi a noi trarre le conclusioni necessarie e imparare da lei a reinventare la memoria di un momento storico ancora parecchio travisato, ovvero quella “Resistenza” meridionale su cui tanto ancora ci sarebbe da analizzare.

Sulla figura di Maria Occhipinti stanno nascendo nuovi progetti, di cui mi piacerebbe parlare con voi. Al contempo vorrei chiedere cosa a vostro parere da Maria possono apprendere le nuove generazioni.

 

Marilena Licitra/Occhipinti: Penso che potrebbe insegnare moltissimo alle nuove generazioni, intanto il grande coraggio nell’affrontare la vita, la coerenza alle proprie idee, la grande umanità e solidarietà. Ha lottato contro le ingiustizie, le guerre, sempre seguendo la sua coscienza. È un grande esempio, un faro di luce, una cittadina del mondo e malgrado fosse atea, penso che sia stata una delle poche persone cristiane nel vero senso della parola, non si è mai fatta indietro per aiutare gli altri, era capace di grandi sacrifici e si privava anche del poco per condividerlo.

Serena TodescoSono molto d’accordo con Marilena: l’insegnamento di Maria per le generazioni presenti e future è immenso, sfaccettato, assai attuale, perché eccede rispetto al contesto storico originario. È una postura soggettiva di continua ricerca, sperimentazione tanto interiore, quanto sociale e politica. Mi viene anche da dire che forse oggi il femminismo si è esso stesso piegato a determinate logiche neocapitaliste e neoliberiste. Le istanze, anche quelle teoricamente più articolate e sincere negli intenti, diventano parte di un sistema di mercato e di “performance” in cui il personalismo spesso prevale sull’azione di comunità.
Maria Occhipinti riprende e rivitalizza quel modello di grassroot politics che poteva avere più riscontri negli anni Settanta, dunque non so fino a che punto, sinceramente, si possa riaprire un discorso organico su possibili sfide e obiettivi del femminismo italiano – delle donne e degli uomini dell’Italia di oggi – a partire dall’esperienza di questa donna straordinaria. Al convegno che abbiamo organizzato a Roma nel novembre 2021, mi duole dirlo, c’erano pochissime esponenti del cosiddetto femminismo “intersezionale”, un termine che conia qualcosa di assai più antico l’incontro cercato tra donne di appartenenze diverse. Con l’identitarismo non si va da nessuna parte, vorrei essere netta su questo. La storia di Occhipinti parla di una pratica di vita che si rende porosa, comunitaria, realmente inclusiva (altro termine abusato, a mio modesto parere). Tuttavia, un aspetto ulteriore e determinante per una possibile rifondazione complessiva di una pratica femminista ispirata a questa donna straordinaria sta nel fatto che la sua vita così ricca di scelte ardue, di sofferenza e di continui ripensamenti e rivolgimenti costituisce un fortissimo punto di riferimento sul piano simbolico, perché riproietta unMeridione al femminile verso un’agentività rinnovata, scevra dei soliti stereotipi sulle donne del Sud.

L’ultima domanda riguarda la mia isola, la Sicilia, dove Maria Occhipinti nasce e a cui non farà mai ritorno, vorrei chiedere come viveva Maria questa sua appartenenza siciliana. Vorrei anche chiedere del suo confronto con Leonardo Sciascia, scrittore che invece sceglie, al di là di qualche breve parentesi, di restare in Sicilia e di fare della sua isola e dei siciliani manifesto letterario e poetico.

Marilena Licitra/Occhipinti: Maria ha pagato un prezzo altissimo per i pregiudizi dei suoi compaesani e questo l’aveva profondamente ferita. Aveva un rapporto di amore-odio con la sua terra. È stata sempre fiera di essere siciliana, all’estero non diceva mai di essere italiana ma siciliana. Vi tornò nel 1987 dove a Comiso con i pacifisti di Vigna Verde manifestò contro i missili americani, strumento di morte, tenne un discorso a Piazza Fonte Diana per svegliare le coscienze dei comisani. Fu il suo ultimo intervento pubblico. Ebbe poi una malattia che la fece molto soffrire per 5 lunghi anni.
Non si può fare il paragone con Sciascia perché lui non aveva sofferto le incomprensioni, le umiliazioni, la carcerazione, poi lui era un uomo, famoso scrittore, dettaglio non trascurabile, se Maria fosse stato un uomo non avrebbe dovuto subire tutti quei pregiudizi. Quando Maria si batté contro l’esproprio delle terre ragusane contattò vari politici, passò anche un Natale e Capodanno davanti al Quirinale con un cartello dove chiedeva di essere ricevuta dal Presidente Pertini per chiedere giustizia per i contadini ragusani e fare abolire la legge Bucalossi. Non fu mai ricevuta.
Contattò vari deputati i quali presentarono un’interrogazione parlamentare ma non si ottenne nulla. Si fece ricevere da Sciascia il quale non la fece neanche accomodare, le disse freddamente che non poteva fare nulla, fu una grande delusione. Meno male che il padre di Maria non venne mai a sapere dell’esproprio, ne sarebbe morto di crepacuore, lui che era andato a lavorare in Africa per comperare un pezzo di terreno per fabbricare una casetta rustica con le sue mani.

Serena Todesco: Anche io, da siciliana, sento molto vicina a me l’alleanza ideale con una figura come quella di Maria. Come lei, penso che serva e arricchisca sempre la scelta di allontanarsi e guardare in base a un piano inclinato, “obliquo” il proprio retroterra per svelarne le contraddizioni. La storia personale e pubblica di Maria dimostra una capacità innata di liberare sé stessa dal giogo dell’identità isolana come destino ineluttabile. Non è priva di traumi, perché si è trattato di una scelta dolorosa, derivata anche dal fatto di essere stata ripudiata dall’ambiente familiare. Non è un percorso lineare, risolto, ma certamente diventa esemplificativo di una vita che, nel nomadismo, riesce a manifestare istanze sempre nuove di (auto)liberazione, di rifiuto verso qualsiasi tipo di oppressione e ingiustizia. E non dimentichiamo l’aspetto materiale: Occhipinti denuncia regolarmente le condizioni vergognose in cui versano le persone invisibili, che lavorano nell’oscurità per assicurarsi sopravvivenza. Rifiuta in toto di essere “cooptata” da gruppi politici vari, pur condividendo pezzi del proprio vissuto con alcuni di essi (penso al movimento anarchico). L’appartenenza a un’etichetta non le serve per scalare alcuna montagna di potere, la sua autorevolezza proviene da un altrove molto più complesso.
Alla luce di questi elementi si innesta l’impossibilità di un dialogo con la classe intellettuale e autorevole a cui apparteneva un personaggio come Sciascia. La galassia di Maria era lontana anni luce da quella sciasciana, prima di tutto per una distanza sociale oggettiva. Restare in Sicilia, per Sciascia, è una scelta dettata da ragioni di creatività profonda, oltre che di interesse politico di lungo raggio – lui scelse di restare “dentro” la Sicilia, non solo in senso fisico ma anche ontologico e simbolico. In altre parole, la vicinanza con il territorio e con i grandi drammi dell’isola – la mafia, il clientelismo, la corruzione, la povertà – gli permetteva di alimentare la propria immensa curiosità intellettuale, da cui scaturiva anche la poetica della sua originale, unica scrittura da raisonneur. Maria, d’altro canto, scardina del tutto l’idea di un impegno intellettuale che resti ben saldo, pur tematizzando i problemi delle persone comuni. Lei, innanzitutto, era sospettosa di chiunque utilizzasse la cultura di appartenenza identitaria come  mezzo di costruzione di una forma di potere gerarchico – e gli anni in cui visse, in effetti, videro le migliori menti della sinistra piegarsi a logiche gerarchiche, opportuniste. La vicinanza di Maria alle soggettività marginali, la sua sensibilità verso chi soffriva, era impregnata di empatia e non conosceva etichette di comodo; dunque la Sicilia, oltre che non bastarle, aveva smesso di essere un baluardo di identità, anche per il ripudio familiare di cui sopra. Ragusa e la Sicilia intera altro non erano che luoghi da cui trarre lezioni di sopravvivenza e di ribellione, luoghi drammaticamente immersi in forme di ingiustizia molto più ampie contro cui lottare senza mai accontentarsi.

 


PENSIERI POETICI DI MARIA OCCHIPINTI DEDICATI A SUA MADRE

TRATTI DA “ANNI DI INCESSANTE LOGORIO”

 

MADRE  PAG. 59 

NON CI FU DIALOGO CON TE,

MI GUARDAVI AMAREGGIATA

E SOSPIRAVI

PERCHE’ NON ERO

LA RAGAZZA DI UN TEMPO, DOCILE.

LA GUERRA CON I SUOI ORRORI

AVEVA SCATENATO

L’URAGANO NELLA MIA ANIMA

E FATTO STRARIPARE

GLI IDOLI E I PREGIUDIZI.

TU LEGGEVI NEI MIEI PENSIERI,

VEDEVI CHE CON TUTTE LE MIE FORZE

SPEZZAVO LE CATENE DELLA SCHIAVITU’,

NEL SILENZIO DELLA NOTTE

SENTIVO LE TUE PREGHIERE:

“MIO DIO, COME TE MORRA’ CROCIFISSA!”

VOLEVO FARTI SENTIRE LA GIOIA

CHE SENTIVO QUANDO LOTTAVO

CONTRO LA TIRANNIA

E TU NON MI ASCOLTAVI.

LA MIA PRESENZA TI INFASTIDIVA,

LA MIA SERENITA’,

QUANDO ERO IN PRIGIONE

TI IMPENSIERIVA..

QUANTO MI PESO’ IL TUO SILENZIO!

ORA CHE LA NATURA TI HA SPOGLIATO

DELLA VITA E TI HA RESO

COME UN ALBERO DA METTERE AL FUOCO,

ORA CHE SEI NEL MONDO DEGLI SPETTRI,

HAI CAPITO QUALCOSA DI ME?

FORSE ORA POSSIAMO INIZIARE

IL DIALOGO COME DUE SORELLE,

POTREMO PARLARE DEL CIELO, DEL MARE.

PRENDIAMOCI PER MANO

MADRE MIA,

PASSEGGIAMO IN PERFETTA ARMONIA

CON LA NATURA

E CON TUTTA L’UMANITA’.

 

A MIA MADRE PAG. 61

 

UN UMILE GREMBO MI ACCOLSE

CON TUTTO IL DOLORE

DEI MIEI ANTENATI E DELLA MIA TERRA.

IGNARA LA POVERETTA DI TUTTO,

NELL’ATROCE SOFFERENZA

PARTORIVA QUEST’ANTICO DOLORE

CHE NON HA MAI TREGUA.

POVERA MADRE CHE VITA MI DESTI,

ALTRO NON SO DARTI CHE AFFANNI.

 

A MIA MADRE PAG. 62

 

L’AURORA SI CHINA

SUL TUO MESTO CAPO.

CHI PER PRIMO OSO’

FARTI ABBASSAR LA FRONTE?

CHI TI SPEZZO’ IL CUORE,

O MADRE MIA,

FACENDOTI DETESTAR LA TUA CREATURA?

LUNGHI ANNI SON PASSATI,

TI RASSEGNASTI ALL’ORRIBILE SCONFITTA

COL CUORE TRAFITTO;

CON LA FRONTE CHINA

ACCETTASTI QUELLO CHE DALL’ALTO

TI FU ASSEGNATO COME DESTINO.

LA TUA CREATURA PARTI’

PER UN LUNGO VIAGGIO

CONOBBE MONDI IGNOTI

E ABISSI INESPLORATI.

TORNO A TE, O MADRE,

RAGGIANTE DI GLORIA.

LE TUE LAGRIME SONO PERLE

NON PIU’ AFFANNI,

ALZA LA FRONTE AL CIELO, O MADRE,

L’AURORA TI CINGE LA BIANCA TESTA.

VOLGI LO SGUARDO INDIETRO,

ABBI PIETA’ PER CHI TI FERI’.

                                                                LA TUA MARIA ,

 

ROMA 12 APRILE 1957

                                                             

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