09 Mar Raffinato e irriverente. “Sacro Amor Profano” di Lodovica San Guedoro
di Ivana Margarese
Sacro Amor Profano è una raccolta di racconti di Lodovica San Guedoro, proposta da Franco Cardini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
“Mi sono deciso a proporvi Sacro Amor Profano, lavoro di una nobildonna italiana dal cognome che farebbe invidia a Guido Da Verona, ma che non è uno pseudonimo. Accintomi a leggiucchiare il manoscritto in un pomeriggio domenicale di quelli in cui, potendo, si ama oziare in poltrona col gatto sulle ginocchia e un bicchiere a portata di mano, mi sono scoperto con sorpresa ad appassionarmi alla lettura. Uno stile etereo e mordace, lieve e corrosivo, aulico e semplice. Il libro di una «scrittrice in esilio» in molti sensi, dotato di intensità espressiva ed emozionale. Propongo questa autrice all’edizione 2023 del Premio Strega per la sua immaginazione, il suo serio artigianato e la sua fedeltà ai valori eterni della vera e buona letteratura.”
Questa descrizione, comprensiva di poltrona e gatto, il titolo del romanzo che attribuisce sacralità al profano e il ritratto dell’autrice di origini siciliane, esule da lungo tempo, i cui lavori sono stati più volte respinti dagli editori italiani e che fieramente definisce se stessa come scrittrice autentica, mi ha incuriosita.
La lettura dei racconti, legati dal tema pluriforme dell’amore, è stata capace di restituirmi la realtà onirica, le fantasticherie e i venti, le luci appassionate e fantasmagoriche dell’isola.
Ho associato quella luce alle zone di Siracusa, a certe campagne descritte da Bufalino, all’arte barocca di alcune chiese e piazze.
Il Sud emerge in certe ambientazioni metafisiche, sospese tra miraggi e ricordi, in una vita antica o senza tempo: “Erano in verità due città scomparse, quella lontana e quella presente: questo le univa. E lei era la loro notturna abitatrice, l’unica che le amasse, la sola che passeggiasse nelle loro vie disabitate, per la quale esistessero. Per lei esistevano più delle città vive e affollate, erano più vive delle città vive e affollate”.
Lodovica San Guedoro ha una voce densa di rimandi. È innocentemente suadente e allegramente pervicace. In uno dei racconti contenuti nel libro, Agonia. Lo strano incidente che capitò a Giulia Berri-Orff in quel tempo lontano, la protagonista, che porta il volitivo nome di Giulia, sa di essere un’artista. Nonostante le circostanze avverse alla sua espressione artistica, Giulia vuole crescere “come un albero orgoglioso e testardo che voglia saltare di anello in anello, erompere in mille rami difformi, sprizzare in alto la sua linfa, perché ricada in una misteriosa, profonda cupola di fogliame fremente, anche se la terra intorno alle sue radici è grama, anche se lo mettono in un vaso e manca l’acqua, perché quella di crescere è la sua predestinazione, la sua ossessione, la sua… natura”.
E ancora:
“Ogni opera che aveva creata era stato un modo di crescere, malgrado la realtà le vietasse di crescere.
Ogni opera da lei scritta era stata un anello del suo tronco, ogni opera era stata una forma lussureggiante di vita, un cerchio più grande gettato dalla sua anima intorno a sé, una successiva espansione vitale.
Era stato obbedendo a questo esaltante impulso, oscuro e categorico, che aveva scritto il suo primo, il suo secondo, il suo terzo romanzo e gli altri, e poi i racconti, le fiabe, le commedie, i drammi, le sceneggiature”.
Giulia scrive trovando ispirazione di metamorfosi e resurrezioni nei materiali del Sud, aprendo i fiori scuri e profumati dell’inconscio, lasciando affiorare e maturare la problematicità dell’essere e le sue ossessioni, facendo esplodere desideri di liberazione e aurore cristalline.
Giulia si scontra con le esigenze e i rifiuti delle case editrici e al contempo vive il bisogno di trovare casa ai suoi libri affinché non vadano perduti, ma piuttosto custoditi e tramandati: li affida così a una biblioteca nazionale.
In quest’ordine delle cose Giulia si innamora con tutte le contraddizioni e le andanze di un sentimento audace e irriverente. In tutti i racconti della raccolta l’amore viene descritto come diviso tra l’ideale e la tensione del reale, tra l’armonia perfetta di anime affini e le assenze, le crisi, i crolli, le peripezie e le sorprese del quotidiano:
“È una lotta con se stessa, quella che la dilania, per mantenere in piedi questo loro ideale.
Oscilla la sua mente, oscilla il suo cuore, oscilla tutto il suo essere, in quell’altalena sconvolgente tra l’irresistibile fascinazione del nuovo, effimero, iridescente amore e la fedeltà al vecchio, splendido, eterno, multiforme, sicuro amore, in un crescendo emozionale che si sta facendo insopportabile”.
La scrittura vorrebbe fermare il reale nei suoi mille rivoli per descriverlo, evocarlo, restituirlo ma rimane il fatto che la felicità è tanto più intensa quanto più è effimera. Ecco che sacro è comunque anche profano, come ben mostra l’ultimo tra i racconti in cui duettano Venere e Amore:
“VENERE Però tu sei iperattivo! Giunone si è lamentata con me: non dai requie, attraversi cieli e mari da mane a sera e, con le tue frecce, semini il caos non solo tra gli uomini, ma, da un po’, anche tra gli animali, i pesci, gli uccelli… È stato proprio ieri, qui, che ho visto un cane inseguire un gatto e tentare di coprirlo. E poi sai cos’è saltato fuori, perfino? Me l’ha detto il cuoco: che il cane era una cagna…
AMORE …e il gatto era un gatto. Sono due mie vecchie conoscenze. Erano come cane e gatto e allora, mi sono detto, facciamoli innamorare”.
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