Viola come il mare o rossa come la vergogna?

di Beatrice Monroy, Simona Nasca,  Francesca Scalia, Sandra Virzì

 

 

I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria” 1.

Nel solito zapping televisivo abbiamo visto passare alcune riprese da drone su Palermo per la fiction Viola come il mare. Siamo rimaste sconcertate dalla banalità dei dialoghi pieni luoghi comuni sul vissuto negativo della protagonista appena arrivata a Palermo. Ancora?, ci siamo chieste. Ma non ne avevamo abbastanza? Eh no, infatti è di giorni la notizia che si girerà una serie su Matteo Messina Denaro. Ancora?

Abbiamo voluto chiamare queste nostre riflessioni, rossa come la vergogna, quella che dovrebbero provare gli autori e i produttori e, anche, la vergogna che dovremmo provare noi siciliani stessi a mandare giù tutto quello che viene propinato al grande pubblico a nostro danno senza dire nemmeno una parola. Calati junco che passa la china, eh? Viola come il mare è una fiction squalificante. Certo, si vedono i bellissimi paesaggi siciliani ma, accanto, all’ennesima immagine del siciliano: un popolo di ignoranti, lazzaroni, sfaticati, volgari, pettegoli, incivili in una sola parola. Dei veri buoni a nulla, una razza infima e inferiore, una società dove la fa da padrone il furbetto, il mafiosetto, l’amico degli amici senza arte né parte. A dirla tutta, la fiction è squalificante anche per la figura femminile della protagonista che, lungi dall’essere una ragazza smart, come forse era intenzione da parte degli sceneggiatori, una giornalista che ha lavorato a Parigi, diventa una seduttrice che sta due minuti a mettersi il rossetto per acchiappare il bel poliziotto. Tutto ciò che la donna non è ma la si induce ad essere: una dolce cerbiattina un po’ smarrita che, più che affidarsi alle proprie capacità, si affida alle proprie doti seduttive. Per non parlare dello stereotipo del protagonista maschile: il classico protettore della fanciulla smarrita, bellissimo, muscoloso e, ovviamente buono e vincente.

Ecco l’incipit, la prima frase scolpita sullo schermo:

“Palermo è una città che t’invade con i suoi colori.”

Invade, c’è subito un sentimento d’oppressione e infatti la bella ragazza è subito al mercato del cibo o della morte: pezzi di carne in primo piano, pesci sventrati, mani lorde di sangue, urla e in un paniere, calato da un balcone accanto a lei, viene schiaffato un pesce morto.

Seconda battuta: “In questa città può succedere di tutto.”

Brividi dello spettatore, teletrasportato nel mondo dell’eccessivo, dove vivrà esperienze indimenticabili di violenza morte e amore, in una parola: Palermo.

Basterebbe questa breve descrizione per fare venire il voltastomaco a chiunque e, invece, non una parola si è levata dai rappresentanti dell’intellighenzia siciliana contro gli stereotipi della fiction, che, prodotta da Mediaset e distribuita anche da Netflix, riprende la solita e stantia immagine di noi. Non un’alzata di scudi come succede giustamente per altre situazioni di emarginazione o fobia collettiva.

Ma noi siamo siciliani e “il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare”2

Non crediamo alla buona fede, crediamo piuttosto a una cultura di divisione del sud come territorio da colonizzare. Altri parlano e ti definiscono perché tu non sei in grado di farlo, sei inferiore. Una nuova forma di colonialismo. Ci chiediamo se l’intenzione di costruire tra nord e sud un ponte sia più voglia di colonizzare che creare sinergie e ponti di culture e ricchezze espresse dalla diversità.

D’altronde è anche vero che noi, qui, siamo lontane dalla forte luce del Centro. Noi viviamo nella sua ombra, raccattiamo qualcosa dal suo riverbero e accettiamo di venire definiti da altri, attraverso il folclore semplificante, facilmente leggibile e rassicurante.

Così nasce la nostra alienazione. Infatti nel tentativo di definire la nostra identità, ci troviamo a viaggiare su un doppio binario: da un lato il folcloristico mito esotico, con il quale ci proponiamo come il paradiso in terra per i vacanzieri (distruggendo le nostre più belle località) o le avventure liminari attraverso il non corpo dello schermo; dall’altro, ci proponiamo come assassini sanguinari, cittadini del mondo di second’ordine, gli ingestibili, quelli che ne combinano di cotte e di crude perché non sanno stare nel posto loro assegnato. I buffoni di corte di questo perverso sistema di narrazione.

In Sicilia alcuni conquistatori hanno amato l’isola e si sono integrati, altri, invece, si sono limitati a spogliarla e a depredarla, definendo la popolazione bassa manovalanza, frutto di una genia inferiore. Questa storia, anche se in modi diversi, noi riteniamo continui. La sottomissione, oggi, la si ottiene con metodi più sottili, giocando più sugli effetti psicologici spesso veicolati dai mass media che con la forza bruta.

Ancora vorremmo aggiungere qualche parola sul trash patinato in cui siamo finite con questa fiction. Vorremmo definirla la metasicilia, la Sicilia vista come una cartolina, una quinta di scena, dove viene ritagliato solo il bello, ma un bello (per fare vero folclore) connesso con lo ‘’sgarrupato’’, le rovine, la ‘’monnezza’’etc…. l’uno è inscindibile dall’altro.

Come aveva già notato Laurence Durrell negli anni 70’’ nel suo ‘’Carosello Siciliano’’,3  in Sicilia il bellissimo e il bruttissimo sono mischiati. L’operazione cartolina crea un luogo che non esiste, ma a cui si crede. Da qui l’annoso ripetersi di vecchi cliché̀ come abbiamo scritto prima.

Durrell nel suo giro turistico in Sicilia negli anni ’70’, restava stupito dall’assenza di interesse dei siciliani per le loro origini di ‘’Magna Grecia’’: per lui era ancor più della Grecia, era il luogo dove era nato il mito. Inorridiva vedendo come erano mal conservate le vestigia di antiche civiltà, la Sicilia.

Purtroppo, oggi il luogo del mito non esiste più, da tempo sfrattato dal luogo della cartolina di trash patinato che a noi, siciliani, può solo fare molto, ma molto, male.


Note

1 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo.

2 Ibidem.

3 Laurence Durrell, Carosello siciliano, Sellerio

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