Patrizia Baglione, “Nero crescente”

di Giorgio Galli

“Il filo che mi lega a te / è lo stesso che inchioda i morti / alla croce”: nella poesia di Patrizia Baglione amore e morte costituiscono un nesso identitario. L’io poetico non solo si definisce in rapporto ad essi, ma ne è sostanziato. Ha scritto Antonio Bux nella prefazione a Nero crescente (RP libri, 2022) che la silloge “si può definire come un autentico canzoniere ininterrotto che viaggia tra i due poli estremi del sentimento e della fine restando sempre sospeso in quel bilico verticale che la poetessa laziale sembra padroneggiare con umile e personalissima cadenza. E se ‘l’altro’, quell’amore abbandonato e impossibile, sembra a volte prendere il sopravvento […] un sentimento più oscuro pervade l’intera raccolta, quasi a celare una pulsione verso la morte che pare intendere che la vita sia un continuo e perenne lutto sul quale riflettere […]”

Quest’attenzione alla morte può inizialmente stupire in un’autrice tanto giovane come Patrizia -che è nata nel 1994-, ma presto ci accorgiamo che l’incombere della fine è così potente proprio perché avviene in un animo fresco. I momenti più intensi di Nero crescente sono quelli in cui amore e morte si presentano come puri accadimenti, non accompagnati da alcuna speculazione. Allora vediamo come la morte di Patrizia Baglione sia una morte che incalza, che corre: una morte giovanile, incardinata nell’identificazione tragica con la vita tipica della gioventù. E l’amore si presenta sì come amore di qualcuno, di un tu continuamente evocato in un dialogo sommessamente intriso di tormento e di passione, ma soprattutto è un tono di voce, una sostanza del dire che lo permea fino alle radici.

La poesia di Patrizia regala al lettore momenti di purissimo lirismo grazie a una felice combinazione di concretezza e impalpabilità e a un senso della misura che si direbbe innato prima ancora che costruito con le letture: si direbbe che l’autrice coltivi un’umiltà di fronte alla parola che è dote umana prima ancora che letteraria, e che proprio questa umanità pervada la sua pagina.

Chissà dove vanno

quelli che muoiono

forse in un limbo, tra

il celeste e il rosa delle nuvole

se ne stanno lì

fermi e buoni, ad attendere

un segnale d’accesso per il cielo.

*

O forse esausti

a ripetizione si dicono – potevo

fare molto di più

e piangono in loro tutti i giorni.

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