Puteca celidonia. Napoli a teatro. In dialogo con Clara Bocchino

a cura di Ivana Margarese

 

Il teatro e Napoli sono nella nostra memoria culturale strettamente intrecciati. Da Pulcinella a Scarpetta, ai fratelli De Filippo a Totó, fino ad arrivare alla comicità napoletana di Massimo Troisi e così via. Qual è la vostra personale percezione di questo intreccio?

Credo sia un intreccio incredibilmente indissolubile, come se non potesse essere diversamente, è l’incanto della necessità di essere.
Napoli è lo specchio del mondo proprio come il teatro e non penso di essere campanilista o eccessiva affermandolo. Napoli è uno dei crocevia del mondo e di conseguenza l’intreccio era inevitabile.

Come è nata la vostra comune passione per il teatro e come si è modificata nel tempo?

Tutto è nato alle scuole elementari per via della nostra mitica insegnante Nunzia. Con lei mettevamo su dei veri e propri spettacoli che ci richiedevano impegno e dedizione. Per me era tutto così entusiasmante e pieno di emozioni. Complice di tutto ciò, la bellezza di nostra madre che ci portava sempre a teatro. Andare a teatro costituiva una magia presente, era una abitudine quasi, non una eccezione. Sappiamo che vita prende strade così imprevedibili e finalmente poi, ad un certo punto, sempre la vita mi ha ricordato che da piccola, con mia sorella, dicevamo sempre che da grande avremmo fatto le attrici! Ed eccoci qui, in questo mondo particolare, difficile e bello.

Potete spiegarci cosa è Il vicolo della cultura e che tipo di attività svolge?

Il Vicolo della Cultura, in quanto progetto di riqualificazione urbana e prima biblioteca all’aperto nasce da una idea di Maria Prisco e Davide D’Errico, in collaborazione con la mia compagnia Putéca Celidònia e l’associazione #Opportunity. Oggi è ormai così conosciuto il vicolo stesso in cui svolgiamo dal 2018 attività culturali, sociali e di aggregazione. Pian piano sta diventando quello per cui stiamo fortemente lavorando, ovvero un polo culturale trasversale per il territorio.

Mi interessa molto sapere di più di “Puteca celidonia”.

Putéca Celidònia è un nome particolare, lo sappiamo! Puteca è in dialetto napoletano la bottega, deriva dal greco apothéke. Il verbo di origine è composto da apò + tìthemi che significa “porre da parte”. Ci piaceva l’idea di italianizzare questa parola conservando la nostra origine partenopea, senza restarne però vincolati. La celidonia invece è una pianta erbacea che nasce spontanea nelle zone abbandonate del bacino del Mediterraneo, pertanto viene definita infestante. Il nome deriva dal greco chelidòn (=rondine), perché porzioni di pianta vengono strofinate dalle rondini sugli occhi non ancora aperti dei piccoli. Il latice caustico aprirebbe i lembi di pelle consentendo ai rondinini di vedere.
Con l’unione di queste due parole diamo un nome al nostro obiettivo e a come vediamo noi il teatro : un luogo/esperienza che mette da parte e custodisce tutte quelle cose che non sono ferme o scritte da qualche parte avendo la possibilità di riconoscersi, e vale sia per chi crea sia per chi vive l’esperienza; un’occasione possibile di apertura con nuovi punti di vista sull’esistenza, occhi nuovi sul mondo, talvolta inaspettatamente. E vale sempre per entrambe le parti.

La seconda domanda riguarda l’attività con il Rione Sanità dove Putéca tiene un corso di teatro gratuito per i bambini del territorio e ha programmato altri due corsi per gli adolescenti e per le donne e gli uomini del quartiere. All’interno degli spazi si è anche creato un format di nome “’A voce d’o vico” (la voce del vicolo), un dialogo tra teatro e musica, affacciati ai balconcini. Un evento-festa che si pone l’obiettivo di creare aggregazione e di portare bellezza e cultura lì dove c’era solo pericoloso silenzio.
Vorrei ascoltare le storie di questa importante iniziativa.

Tutto comincia perché ci era stata affidata a fine 2018 parte della gestione di due piccoli beni confiscati alla camorra in via Montesilvano, oggi conosciuto come il Vicolo della Cultura. Avere un rifugio creativo non è affatto scontato. Per ricambiare questo “dono” abbiamo deciso di offrire al territorio un corso di teatro per i bambini e da lì la nostra avventura ha intrapreso percorsi inaspettati. Avevamo l’esigenza di far recitare i nostri bambini e non avendo un teatro, abbiamo deciso di rendere palcoscenico i balconcini e il vicolo e di far recitare piccoli e grandi attori per le persone, per la città. ‘A voce d”o vico è una festa per il territorio e con il territorio.

 

In conclusione domando dei  tuoi progetti e speranze.

Io spero che sempre di più l’arte e la cultura in senso ampio possano sconvolgere e interessare le persone, entusiasmare il senso critico coltivando così le menti sia dei più piccoli che dei più grandi. Siamo tutti succubi dell’appiattimento generale di questo tempo e quindi non dobbiamo impigrirci, ma credere davvero in qualcosa e agire per questo qualcosa, qualunque cosa significhi per ognuno di noi.

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