31 Ago Valdés. In dialogo con Remo Rapino
A cura di Francesca Grispello
Scrivere la storia di un uomo solo è tracciare una nuova prospettiva, che arricchisce ciò che siamo abituati a considerare “la Storia”. Leggendo Valdés, il racconto di Remo Rapino, numero 14 della quarta quartina di Tetra edizioni, seguo un filo di tensione e sudore dettati dal calcio, dalla volontà del singolo e dalla grande storia.
Allora datemi un dettaglio, un ritaglio e vi consegnerò il mondo intero! Mi hanno sempre affascinato le storie dove lo sfondo (la Storia) si muove, si plasma e modifica il protagonista. Il gioco di sfondo attiva in chi legge molta potenza: un pallone di calcio e delle gambe sorprendenti.
Siamo in Cile, sono gli anni del colpo di stato di Pinochet, c’è la periferia, il centro, la meraviglia, le illusioni, la violenza, la folla, l’umana commedia.
Dammi la mano dalla profonda ragione del tuo sparso dolore
Come nasce in lei l’innesco che porta alla costruzione di una storia? Cosa è accaduto in Valdés?
Scrivere una storia è sempre un atto politico che riguarda la comunità umana (Polis, appunto). Raccontare di Valdés è parlare di una generazione, di un tempo tragico, dare alla vicenda personale un senso universale. Valdés ne prende coscienza, il suo grido è testimonianza di libertà, un esercizio di ribellione. Ognuno è Valdés.
Lei come scrive le sue storie? Si costruiscono man mano che avanza la scrittura, oppure è una visione d’insieme che viene poi tradotta dalla scrittura?
Scrivo con i piedi ben saldi alla terra. Le storie non vengono dal cielo della fantasia. La scrittura non è mai un meccanico rispecchiamento della realtà, ma ha bisogno di questa per essere inventata e ascoltata. Ricerca, documenti, ma soprattutto ascolto di voci.
Il calcio e la sua passione per lo sport come si traducono in letteratura?
Il calcio come passione condivisa e come dimensione sociale e culturale, come occasione di costruire architetture di parole, metafore del vivere e del gioco del vivere. In questi giorni è uscito, per la minimum fax, Fubbàll, 12 racconti dove il calcio è pre-testo per dire altro, per parlare di esistenze, di viaggi e di naufragi. Scrivendo degli altri, in fondo, scriviamo di noi.
Qual è stato il suo primo ricordo legato allo sport?
Un racconto di mio padre che, nell’estate del ’46, in un torneo post-bellico, parò un rigore decisivo a Tontodonati, centravanti di Roma e Pescara. Per questo fu chiamato Gatto Nero. Un po’ come la storia di Davide e Golia. Il resto verrà da sé.
Nella lettura, l’arrivo in città del nostro Valdés ha segnato una grande virata nella mia prospettiva: tutto è diventato occhi. Quegli occhi che vedono la città, la folla, i mitra, un libro. Sono questi occhi che lei conduce cinematograficamente su di un’etica composta di umanesimo spietato?
In effetti la parola che narra è un gesto, uno sguardo irriverente sulle cose del mondo. La parola è sovversione della realtà, progetto di cambiamento, ma anche accettazione della sconfitta. Osservare dai margini per capire la complessa centralità del reale; anche una risposta violenta alla violenza del mondo.
Qual è il suo legame con la letteratura sudamericana?
Forte e da sempre. Anche qui il calcio, tra splendori e miserie, è occasione per rivendicare il diritto alla libertà e alla giustizia, un modo per aggirare la censura e la repressione. Poi, naturalmente, anche tutto il mondo che va dalle Ande alla Pampa, dai grandi fiumi alle foreste del Brasile. Città, villaggi, uomini, realtà storica e magia come movimento, di gesti e di parole, che tende a modificare le strutture dell’esistente.
C’è una parola ripetuta in Valdés che è diventata mia: “Estoy”. Cos’è “Estoy”?
Estoy è un grido di lotta e partecipazione. Significa “ci sto”, sono presente. La parola che Valdès non ha il coraggio di gridare al funerale di Neruda.
Di qui, dopo vent’anni, la lettera di scuse al poeta. Querido don Pablo…
Un libro imprescindibile
Sognai che la neve bruciava di Antonio Skarmeta
Un odore
Erba dopo la pioggia
Una parola
Le nuvole
Un viaggio
Finis Terrae
Un pasto
Pizza di mais con verdure
Un gesto
Chinarsi per aiutare a rialzarsi chi è caduto
… è difficile essere eroi quando il ferro si fa tutt’uno con la carne.
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