Salìber Fest. Conversazione con Filippo Triolo

a cura di Ivana Margarese

 

Filippo Triolo, direttore artistico del Salìber Fest, festival del libro della città di Salemi organizzato dall’associazione Liber…i.
Il festival è tra i maggiori appuntamenti della Settimana delle Culture ed è patrocinato dal Ministero Italiano della Cultura con il contributo dell’Assemblea Regionale Siciliana e del Comune di Salemi ma anche di tante aziende e società locali e non che hanno scommesso sull’evento.

Da dove nasce la tua grande passione per la lettura e per i libri?

Nasce dall’educazione alla lettura ricevuta sin da bambino. Non saprei indicare una data, un momento particolare, sono nato e cresciuto in una casa piena di libri, pagine mi venivano lette per prendere sonno ma io non volevo dormire, ero assetato di storie, e ala fine ne volevo lette, raccontate altre. Ho tenuto da sempre in mano libri – ho iniziato naturalmente con gli albi illustrati per bambini- quanto erano belli – non sapevo ancora leggere, ero davvero piccolo, però ascoltavo le storie che i più grandi leggevano per me, le seguivo ammirandone i disegni, delle volte le imparavo a memoria. Quando ho imparato a leggere mi si è dischiuso un mondo che sapevo essere anche il mio mondo. Ho iniziato a leggere, dunque a viaggiare nel tempo, nello spazio, fuori e dentro di me, e non ho smesso più.

Sono stato fortunato, riconosco che l’educazione alla lettura non è cosa scontata spesso per mancanza di strumenti, di mezzi che le famiglie non hanno. Dovrà la Scuola in quel caso provare ad infondere l’amore per la lettura. Però quest’educazione ricevuta – e sarò sempre grato ai miei genitori – ha fatto sì che leggere per me fosse un’operazione del tutto normale, naturale quasi. Sono mancati dunque, e certo un po’ mi dispiace, l’incontro consapevole, la fascinazione matura dell’atto del leggere, la meraviglia che si prova quando scopri per la prima volta qualcosa della quale non puoi fare a meno di innamorarti.

È un po’ come chi, scendendo dalle montagne scopre il mare per la prima volta, e nella vastità di quel mare coscientemente si perde. Può averne paura, fuggirne oppure amare quel posto che sa d’infinito. L’uomo che per la prima volta vede il mare dev’essere travolto da un’emozione enorme- ne sono sicuro. Diverso invece se quello che hai di fronte, che hai di fronte da sempre è il tuo mare. Certo, potrai amarlo ogni giorno sempre di più, deciderai di esplorarlo e ne conoscerai forse gli angoli più impervi e remoti ma la fascinazione, sicuramente, non sarà la stessa.

Sei il giovanissimo direttore artistico del Saliber Fest. Ti chiederei di raccontarci qualcosa in merito e di darmi il tuo parere e il contributo che danno i Festival alla scena culturale. Peraltro apprezzo molto la grande varietà dei festival che animano diversi spazi e permettono incontri, scambi e anche la creazione di piccole comunità attive.

Da tre anni curo la direzione artistica del Salìber Fest, un festival letterario che si tiene ogni estate nella città di Salemi. Un festival ancora giovane – e poi pensato, animato da giovani, le socie e i soci dell’associazione “Liber…i”– che ha la bella e sana ambizione di diventare l’appuntamento letterario di punta della Sicilia occidentale, così ricca di rassegne e festival che da un anno fanno rete eppure ancora così poco attrattiva per quanto riguarda questi eventi letterari.

Occuparmi di ciò mi obbliga a guardarmi intorno, dialogare ma soprattutto guardare con attenzione e interesse ad esempi virtuosi – che sì pure in Sicilia si svolgono, ma da tutt’altra parte – e penso alle grandi manifestazioni di carattere letterario che arricchiscono la Sicilia orientale, da Ragusa a Catania, passando per Taormina e che diventano appuntamenti imperdibili per lettori provenienti da tutto lo Stivale ed oltre. Ma anche studiare il territorio che quotidianamente viviamo, saperlo ascoltare, capire cosa di buono fatto altrove possa essere utile replicare qui, cosa possa essere utile alla nostra comunità, alla nostra città. Perché per queste – le nostre comunità, prima di tutto – un festival ha motivo di esistere.

I festival diventano pertanto occasione di narrazioni di comunità, spazi e territori. Diventano brand e vetrine per i nostri paesi, contribuiscono alla creazione di “comunità” che riconoscono le finalità di tali eventi ed in quelle si riconoscono… comunità e festival che perseguono il comune obiettivo della crescita socio-economico culturale del proprio territorio. Perché i festival sono macchine -piccole, medie, grandi che siano- economiche. E allo sviluppo socio-economico culturale del proprio territorio devono contribuire. E contribuiscono. Poi, soprattutto nei piccoli paesi, a volte sprovvisti di un presidio librario pubblico o privato che sia, biblioteca o libreria o dove – proprio come a Salemi – esistono e resistono piccole librerie indipendenti e importanti biblioteche sempre più deserte un festival letterario con una visione chiara può servire come l’acqua e il pane.

Forse un festival non riuscirà ad aumentare i lettori ma grazie a questi eventi aumentano esponenzialmente le copie vendute di libri che spesso non sono best-sellers o romanzi in classifica. Le copie vendute di libri – scelti dai vari direttori artistici – che altrimenti il più delle volte non troverebbero spazio sugli scaffali delle librerie tantomeno nelle classifiche nazionali di vendita.

Un festival da queste parti dunque, permette certo ai lettori di incontrare voci autorevoli e apprezzate del panorama letterario nazionale, ma è utile alla crescita socio-economico culturale delle nostre città e agli instancabili e coraggiosi librai. Puntiamo sui festival letterari anche e soprattutto per una filiera del libro che in questo Paese è in ginocchio.

 

Esiste una rete tra il Festival e le scuole?

È importante che ci sia una rete tra il festival e le Scuole. Di più, è fondamentale. Se poi un festival nasce da una “rivoluzione culturale” avviata ormai oltre quattro anni proprio nelle aule scolastiche direi che la rete è ormai improrogabile. Improrogabile perché è vero, non c’è ancora o è in fase embrionale. Certo, è difficile coinvolgere le Scuole per un festival che si svolge in piena estate come il nostro… è però fondamentale che si inizi quanto prima con una programmazione seria che coinvolga le scuole in quanto istituzioni – non solo gli alunni, che da anni ormai coinvolgiamo e che quest’anno pure si sono offerti di darci una mano entrando nello staff volontario del festival.

Entrare nelle scuole, lavorare con i ragazzi durante l’anno– importante si lavori anche con i bambini – proporre loro progetti di lettura condivisa, far conoscere nuovi autori, permettere un dialogo tra giovani lettori e scrittori, e/o ancora coinvolgere i ragazzi come già iniziato a fare quest’anno con un concorso letterario a loro dedicato diventa prioritario per il festival che può così raggiungere lettori sempre più giovani ma soprattutto per l’associazione culturale che sta dietro questi eventi, “Liber…i” e che come qualsiasi altra associazione impegnata in questo settore vede proprio come sua missione quella dell’educazione alla lettura.

Ci consiglieresti alcuni libri di giovani o giovanissimi autori?

Forse perché giovane, forse perché anch’io interessato alla scrittura e al mondo editoriale guardo da sempre con molta attenzione – non lo nego, con ammirazione – ai giovani e giovanissimi autori di questo Paese. Che sono sempre di più e sempre più sotto i riflettori di un sistema editoriale che in questi ultimi anni li ha premiati, salutandone con gioia gli esordi. Forse perché anch’io giovane, non voglio che i giovani autori manchino nei cartelloni che firmo. Durante la prima edizione del Salìber Fest presentammo l’esordio feroce e sorprendente di un giovanissimo Mattia Insolia, Gli affamati per Ponte alle Grazie (n.b. adesso è nuovamente in libreria con Cieli in fiamme, Mondadori), lo scorso anno il folgorante esordio per Sellerio di Mattia Corrente, La fuga di Anna adesso vincitore del premio letterario Città di Erice che ha visto come presidente di giuria la scrittrice Silvana Grasso. Quest’anno è stata la volta dell’esordiente campana Monica Acito con Uvaspina, bellissimo romanzo pubblicato da Bompiani adesso in finale al Premio Stresa. Ospite in questa edizione anche il giovanissimo e vulcanico Matteo Porru, per il quale non possiamo parlare di esordio nonostante l’età (22 anni) è al quarto romanzo pubblicato, adesso in libreria con Il dolore crea l’inverno per Garzanti.

Eppure sono tanti i giovani scrittori italiani di cui continueremo a sentir parlare a lungo. Penso al napoletano Alessio Forgione, al poeta e romanziere romano Giorgio Ghiotti – caspita quanto è bello Atti di un mancato addio – alla catanese ma cosmopolita Viola Di Grado che seppur giovanissima è tra le firme italiane più apprezzate nel mondo – a Lorena Spampinato, alla penna e quindi alla lingua dell’ultimo vincitore del Campiello Giovani, il palermitano Alberto Bartolo Varsalona che non ha ancora esordito con un romanzo ma ha dato prova di grandissima competenza linguistica in racconti facilmente reperibile, dal vincitore del Campiello Spartenza all’ultimo, selezionato da Davide Orecchio e pubblicato su Nazionale Indiana, Lazzaro e ancora potrei continuare a lungo.

Vorrei farti una domanda sull’amicizia che è un sentimento che apprezzo molto perché a mio parere è un territorio di pratica della differenza, in cui si condividono scoperte e in cui si apprende a negoziare con le proprie e altrui zone d’ombra creando con fiducia una comunità minima. Qual è la tua esperienza in merito?

L’amicizia è tutto. Senza saremmo falliti, avremmo fallito, e senza accorgercene, senza un amico che ci tenda una mano. L’amicizia salva. Ci salva nel rapporto e singolarmente. Ci scopre, ci sveste e di fronte all’altro scoperto ci scopriamo simili. Vulnerabili e fragili proprio come chi ci sta accanto. E nel riconoscersi vicendevolmente fragili e dunque insieme forse più protetti – o forti di una fragilità non più solitaria ma condivisa – si crea quella comunità, seppur minima, alla quale accennavi. Negoziare per non restare soli. Aprirsi all’altro e fare che l’altro si apra a te per non morire.

Che siamo animale politici, quindi sociali dunque bisognosi per vivere di relazioni lo aveva intuito già Aristotele, e proprio sui legami, sulla politica e matematica dei legami Chiara Valerio per ultima sta facendo un lavoro divulgativo sorprendente ribadendo in ogni sede che i legami tra le persone sono più persistenti delle persone stesse.

Tutto quello che abbiamo fatto – e penso al Salìber, ma potrei pensare ad altro – è stato reso possibile dal fatto che non siamo soli, e ti accorgi di quanto generosa sia l’amicizia vera, che equivale a credere a vicenda nel sogno dell’altro. L’amicizia che ascolta, confessa, sostiene, supporta e necessita a sua volta di sostegno la sperimentiamo ogni giorno della nostra vita, un peccato sarebbe non accorgercene.

L’ultima domanda è dedicata ai progetti futuri.

Lavorare al festival come già ripetutamente detto, affinché di Salìber Fest si continui a parlare a lungo. Avviare un dialogo proficuo con le Scuole, perché ho detto prima essere ormai improrogabile. La disponibilità e la dedizione, mai venute meno, a lavorare.
E poi ci sono gli altri progetti a breve, media e lunga scadenza…quelli accademici, la scelta della magistrale non appena mi sarò laureato, l’impegno a promuovere in ogni sede il romanzo storico ambientato nella Salemi risorgimentale Gli illusi di Alessandro Catania, pubblicato nel 1926 dopo I Vicerè di De Roberto e I vecchi e i giovani di Pirandello ma prima del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo e di quello – non siciliano – di Anna Banti, Noi credevamo incentrato proprio sull’illusione, anzi disillusione dei meridionali che avevano creduto nel sogno garibaldino.

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