Il testamento di Jirō Taniguchi

di Giorgio Galli

Jirō Taniguchi è morto. Ha lasciato il mondo a febbraio 2017. Ma per fortuna non se n’è andato a mani vuote. La foresta millenaria è solo un frammento della graphic novel a cui stava lavorando; ma un frammento incantevole.

Non cerchiamo, nelle sue quaranta pagine, una trama. Cerchiamovi piuttosto un’atmosfera. Tutto il racconto è nello sguardo di Wataru, il bambino protagonista. Ha scritto Vittorio Giardino, curatore dell’edizione italiana: “Attraverso il suo sguardo scopriamo il fascino misterioso della foresta, fascino avvolgente ma non rassicurante, perché c’è pure un aspetto inquietante nella natura”. La magia di questo stuolo di immagini è nel rapporto tra lo sguardo trasparente del bambino e la natura. Tra Wataru e il mondo intorno si crea un impatto immediato e innocente, terrorizzante, stupefacente. Non accadono fatti eccezionali. Ci sono un bambino, una famiglia, dei ragazzi e dei giochi: tutte cose ordinarie. Ma trasfigurate dal panteismo perturbante eppure sereno di Taniguchi. Un panteismo moderno, i cui contorni sono fissati dal tratto chiarissimo, però vibratile e ipersensibile dell’artista. La partenza del bambino e il suo impatto con la nuova famiglia si impregnano di implicazioni catastrofiche; le scene fra le mura domestiche sono un’elegia piena di terremoti emotivi che agiscono tuttavia sottotraccia, come un fiume carsico d’inquietudine e di meraviglia. I bambini appaiono come spiritelli. La natura è quella potente e indifferente di Leopardi, ma viene guardata con la rassegnata contemplatività di un orientale. Taniguchi trascolora continuamente dalla percezione sovrannaturale alla vita ordinaria: basta che Wataru cada dall’albero e che i compagni di giochi si preoccupino per lui, che subito riconosciamo in loro dei bambini comuni; subito l’albero smette d’essere un fossile per riacquistare l’aspetto dell’albero su cui tutti ci siamo arrampicati. Ma accade anche il contrario: che, per quanto un oggetto sia familiare, non appare mai come un oggetto noto: sembra sempre che si possa trasformare in qualsiasi momento nel suo Doppio perturbante.

Scrive ancora Vittorio Giardino: “Riconosco nei disegni di Jirō Taniguchi qualcosa che vedo ogni giorno, come il balenare improvviso nel verde cupo della foresta di un ammasso di rocce chiare”. Egli quindi riconosce l’ordinario nello straordinario e viceversa. In ogni sua graphic novel il mondo -guardato e disegnato- diventa insieme misterioso e lineare. Conosciamo la famosa definizione di Calvino: poeta è chi trova l’oceano in un bicchiere. Taniguchi trova anche il bicchiere nell’oceano: e l’uno si capovolge nell’altro.

Purtroppo, non abbiamo la seconda parte del fumetto. Possiamo intuirla nelle tavole preparatorie che Giardino ha pubblicato in appendice. Ma La foresta millenaria funziona anche così: come un tronco che appare e s’inabissa; che introduce ai suoi misteri e poi ci lascia. Indica qualcosa: la strada, poi, dobbiamo trovarla da soli. È il nuovo Oriente di Jirō Taniguchi, sprofondato nella tradizione e proiettato nel futuro. Un’alba vista al tramonto di un’esistenza feconda, dove ogni cosa diventa segnale del Tutto, e dove tutto crea vibrazioni paniche.

(Jirō Taniguchi, La foresta millenaria, prefazione e cura di Vittorio Giardino, Oblomov, 2018)

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