Santa Chiara

di Francesco Scarrone

Una creatura, vi dico. Una creatura con ancora i denti da latte. E potete ben credere a me che l’ho tenuta a balia, quella pupattola: certi dentini, quella svergognata! Che quando meno te lo aspettavi ti mollava dei morsichi ai capezzoli da farti fare dei sobbalzi che non ti dico! Glielo dicevo anche al suo Signor padre, il Favarone- oh, siamo nel medioevo, i nomi son quelli, eh!- gli dicevo: questa pupattola ha del carattere! Eeeee non mi sbagliavo! La Chiaretta mia, una bellezza, vi dico! Quando passava per le strade d’Assisi si fermavano tutti a guardarla, mendicanti e gran signoroni. Certi occhi che le buttavano dietro che io lo sapevo ben quel che gli passava per la capoccia a quegli sporcaccioni, e glielo dicevo pure: Chiaretta mia, le dicevo, con quei fianchi tu farai un gran bel matrimonio e, florida come sei che pari la valle del Nilo, ne metterai al mondo almeno una dozzina, di figliuolini belli e sani come Dio comanda!

Ma lei, fin da piccolina, una testaccia di coccio da parere un vaso etrusco. Oh che non glielo dice sempre anche il Signor Papa?! Chiaretta, le dice, tu sei cocciuta come un vaso etrusco! Proprio così le dice: parola per parola. E poi ride, il Signor Papa. Una sagoma. Quello d’adesso, eh, il Gregorio. Ché prima c’era Innocenzo e con l’Innocenzo si rideva mica tanto, con l’Innocenzo, ché lui c’aveva ‘sta fissa degli eretici e di fare i roghi che infatti andava d’amore e d’accordo con Domenico, che sai come vanno ‘ste cose, quando c’hai le passioni comuni… Ma insomma.

Il punto è che Chiaretta mia, tanto bella e tenera come una colomba, che avrebbe potuto avere qualsiasi uomo della terra, pure l’Imperatore se le fosse girato lo sghiribizzo, non ti si va a perdere la testa per quell’altro fannullone del figliuolo del Bernardone?

Quattordici anni neppure compiuti quando lo vide la prima volta. Era fresca come una primavera! Lui, invece, già quasi trenta, che secondo me, altro che tonsura, è che stava perdendo i capelli. Ebbene, che ci crediate o no, la mia Chiaretta lo vide lì in mezzo agli straccioni e rimase di sasso come una barbabietola. Vieni via, Chiaretta, non dar spettacolo!, le dicevo tirandola per la manica. E invece lei gli andò incontro, si inginocchiò di fronte a quello sciagurato che predicava povertà ai pezzenti- come se i pezzenti avessero ancora bisogno di qualcuno che gliela decanti, la povertà! Bella roba, da fare!- e gli baciò l’orlo di quel vestitaccio sudicio che io non ci avrei poggiato manco l’alluce, e invece lei, le labbra, ci mise! Le sue delicate labbra di pesca. E da quel giorno non ci fu Santo che tenne!

Con tutti i nobili d’Assisi a farle la corte, e quella a sospirare nei boschi: Francesco qui, Francesco là! Francesco, Francesco, Francesco, Francesco! Ma che, ti sei battuta il capo? C’hai messer Lapo di Pratoforte che se vuole ti si compra mezza Perugia solo con le rendite di un anno, c’hai messer Pistonchio da Tigullio- oh, siamo nel medioevo, i nomi son quelli, eh- tutti questi signoroni che ti fan la corte, e tu guardi quel poco di buono del Francesco?

Ma che ci vuoi fare te! La gioventù, il sangue caldo: che smuove, che bolle… e chi non è stata giovane? Chi non ha sentito quella primavera rimestare dentro certe voglie da far calar le braghe alle monache! Con rispetto parlando, evidentemente. Io, per carità, all’età mia… anche se quel signore là in fondo… sei mica male, te, bel morettino! Resta nei paraggi che ti chiamo dopo! Ma sì, insomma. Che io glielo dicevo alla Signora, la povera Ortolana- Ortolana, si chiamava la Signora. Ortolana la madre, Favarone il padre. Oh, l’ho già detto che siamo nel medioevo, e i nomi son quelli! Insomma, glielo dicevo sempre ai Signori Padroni: Fate attenzione con chi si mette, quella povera creatura. Ma la mia Chiaretta era testarda come un mulo della Marsica! No, voglio Francesco, io! O Francesco o piuttosto mi faccio suora! Certe scenate che faceva in casa, roba da spaccar le brocche! Ma per davvero, eh! O Lui o niente!, gridava, e TRAC, una brocca per terra! Il Padrone, povero il Favarone che le voleva tanto bene alla figliuola sua mentre lei gli faceva fuori tutte le ceramiche di famiglia, il Padrone si prendeva il capo fra le mani e diceva: Io non gliela fo più, io non gliela fo più! E la Signora, l’Ortolana, che stava sempre lì a difendere la Chiaretta, E piantala di lamentarti, gli rimbrottava al Favarone. Ma io glielo dicevo ben, alla Signora mia padrona, di dargli un po’ di tregua a quel pover’uomo. Che intanto pure il marito mio, per quanto lo batta, mica che cambia. Che gli uomini son così, come le albicocche! Che anche se la batti, un’albicocca, mica ti diventa una pesca. E poi niente, una volta, PAM, morto, stecchito. Povero Padrone. Lo vedi che alla fine c’aveva ragione che non ce la faceva più? Ma insomma, il punto è che: Lei voleva Lui! Voglio dire, la Chiaretta mia, voleva il Francesco del Bernardone. Ci siamo capiti, no? Quello che dicono che è mezzo matto. Che parla cogli uccelli, i lupi e le coccinelle. Lui! Francesco! Con la sua aria da poeta e la sua testolina tonsa fra le nuvole. Seeeee, la testolina tonsa fra le nuvole, te la raccomando!

Che sopportarlo, quello lì, lo vedevi che ci voleva una pazienza che neppure nostro signore Gesù Cristo sulla croce! Se ne stava tutto il santo giorno a parlar con le margheritine mentre il resto del mondo s’arrabattava in questo frenetico ‘duecento pieno di banchieri, bottegai e fervore industriale, di cattedrali che spuntavan come funghi dalla notte al mattino e di Santi che facevan carriera aggredendo la teologia. Che alla mia padroncina, io glielo dicevo ben: Senti a me, Chiaretta, le dicevo, se proprio non ti va di tirare al mondo una nidiata di piccoli bricconcini, almeno, prenditi Domenico! C’ha i contatti, lui, si dà da fare, gli amici vescovi… E poi l’ambizione! L’ambizione! Ma lo vedi che il Francesco non c’ha ambizione! Sempre lì a fissar le campanulette, le formichine, con quel sorriso beota che gli rimane stampato in faccia tutto il giorno. Che ti devo dire? Mai una volta che gli vedi fare, che so, una bella orazione sulla piazza, un anatema in pubblico, una scomunica, un rogo… Domenico, certi roghi, certi roghi, Domenico! Tutto un fuoco! Tuttounfuoco! Francesco? Nieeente. Lui c’aveva le velleità artistiche, che gli volevi dire? Lo vedevi lì in mezzo al prato a far niente, gli chiedevi una mano a portar legna o spostare un carro, e lui, Sto lavorando- ti diceva- cerco l’estasi. Cercava l’estasi. Bravo, bravo, cerca nel prato che prima o poi la trovi.

Che ‘sto figliuolo, se proprio lo vogliamo dire tutta, era pure ben messo. Che il padre suo c’aveva un bel commercietto di tessutini e drappini delle fiandre che erano un amore, e tanti di quei soldoni che la casa loro, non una casa pareva, ma una cassaforte enorme con porte e finestre! E che allora, a vederlo, ti dicevi, Ma bene, uno così ti tira su un ordine che manco San Benedetto da Norcia! Invece, quello, in quattro e quattr’otto non ti molla baracca e burattini e ti si mette a girar mezzo ignudo per le strade d’Assisi e tutti a ridergli dietro. ‘Sto gran gnoccolone!

Solo la padroncina mia, Chiaretta, tanto buona, continuava a guardarlo sospirando. E più quello faceva delle balzanie, più la Chiaretta mi s’infervorava tutta. L’è bello, l’è alternativo, l’è ribelle! Alternativo di sicuro l’era alternativo, ribelle, può anche essere, bello, no! Chiaretta! Ma riprenditi! Messer Bracco da Tortiglione, lui sì che l’è bello! Che c’ha su certi lombi che, con rispetto parlando, il Paradiso te lo fa veder lui. Il Francesco, no! Piccolino, mingherlino, bruttarello, e poi con ‘sto saio con tutti ‘sti buchi, senza scarpe, i piedi zozzi, una sciatteria! Chiaretta! Oh, io lo capisco che l’amore rende ciechi, ma qui sei cieca, muta e sorda e ti funziona pure male l’olfatto, perché un bagno ogni tanto si potrebbe anche fare!

Comunque, fatto sta che la Chiaretta mia bella, sempre a sospirar per le birbonate del Francesco, un giorno si decide e viene a vedermi. Balia mia cara, mi dice, io la decisione mia l’ho presa. Io l’ero tutta un fremito perché m’aspettavo che mi dicesse che s’era decisa a prendere marito. Esatto, mi dice lei, voglio diventare la sposa di Cristo e di Madonna Povertà. Eeeeeh, Madonna Povertà! Ma ti sei rimbecillita, Chiaretta? Che l’era florida come un mattino d’estate, ve lo giuro sui santi del paradiso! Certe poppe c’aveva, che se le avessi avute io, altro che il matrimonio che ho combinato! Con Sandrino il ciabattaio mi sarei messa! E poi, capelli biondi e fini che, come si dice, eran come fili di seta e due labbra come una violetta che si schiude all’aurora. Chiaretta mia, non far birbonate anche tu. Fa’ la brava, maritati, figlia mia, vivi una vita onesta circondata dall’amore dei tuoi cari, e quando morrai, i tuoi figli, e i tuoi nipoti, ancora ti ricorderanno nelle loro orazioni. Ma lei, la Chiaretta mia, aveva occhi che vedevano cose che io non riuscivo a vedere e quando mi parlava sembrava che guardasse al di là di me. Che fosse perduta in una bellezza senza fine, ed era tanto dolce, la mia Chiaretta, che alla fine, che gli volevi dire? E così l’accompagnai. Mica la potevo lasciare andar sola!

Il Favarone oramai era morto, ma il resto della famiglia, gli zii, i cugini- bei birboni quelli, te li raccomando!- la volevano far sposare ad ogni costo. Oh, siamo nel medioevo, una donna ha da sposarsi, mica da entrare in convento! E’ merce, la donna. E’ scambio. Roba da vendere e comprare, come le vacche al mercato! Serve ad arricchir la famiglia, a crear legami, non scherziamo! Ma Chiaretta mia non ci stava. Lei era padrona di se stessa. Non c’aveva paura di nessuno manco del Papa, quello d’allora, l’Innocenzo che ti faceva certi occhiacci da gufo da metterti paura e c’impiegava due minuti a chiamarti eretico e sbatterti sul rogo. Gli rideva sul muso la mia Chiaretta, a un Papa così, che lei era una Santa fin d’allora.

Così la si decide di scappare in una notte di luna nuova che almeno- mi dice- fa buio e non ci vedono. Usciamo quatte quatte dalla porticina sul retro e, via! a scapicollo giù per la campagna. Oh, ma siamo nel medioevo, eh. Il buio non è mica buio come il buio di oggi. Il buio è proprio buio buio. Un buio medioevale che fa paura. Che dici, ma tu di che hai paura? Delle fiere feroci? Dei briganti? Dei banditi? Col cavolo! Della famiglia della Chiaretta, avevo paura. Che li disonorava tutti scappando da quello scavezzacollo. Ché la Chiaretta era nobile, mica figlia di bottegai! In famiglia sua, eran tutti cavalieri! Tuttituttituttitutti. Il nonno, il babbo, gli zii, i cugini. Anche il cugino Filippo che noi in casa chiamavamo scherzosamente Filippa. Aveva l’armatura con le piume di struzzo, ma pure lui era cavaliere! Che per essere un cavaliere con le piume di struzzo, ti dico, l’ho visto una volta tagliare in due un perugino, così, per lungo come una mela. E lui era quello sensibile della famiglia, per dire.

Così, quando siamo fuggite, che era buio, ma buio buio di un buio medievale, che c’avevo addosso una paura che non ti dico, ebbene: tutti ci son venuti appresso! Tutta la famiglia all’intero, eh, non ne mancava uno! Armati, bardati come per combattere i saracini, son venuti per ripigliarsela! Ma mica colle buone! Mica a dirle: Su Chiaretta, che fai, torna a casa… figurati! quelli, ti ci trascinano per i capelli. Non ce l’hanno mica un vocabolario per cercare di convincerti. Tre parole e ti danno una botta in testa. Allora sai che fa Chiaretta? Via, dentro un monastero di benedettine. I suoi cugini a dare l’assalto al monastero, ma tu dovevi vedere che roba ‘ste monachelle! Con delle padellone così a sbatterle sulla testa del parentado armato. Lo zio Lingusto a gridar Madonnachebotte! Quattro o cinque monache, una che lo tirava di qua, l’altra che lo spingeva di là, a menar certi colpi sulle armature che riecheggiavano fino a Assisi e parevano il mattutino! I contadini si sono alzati in piena notte e sono andati nei campi che era ancora buio. Ma non un buio normale. Un buio buio da medioevo, che ‘sti poveri contadini che vitaccia che facevano non ti dico nemmeno. E Suor Ermengarda, poi, che c’aveva due braccione come prosciutti, ne pigliava a due a due dei cugini di Chiaretta e li rollava di schiaffoni che quelli scappavano gridando Mamma. Oh, dai e dai, alla fine l’hanno capita e c’hanno lasciate in pace. Che quelli possono essere grandi e grossi e cavalieri quanto vuoi, ma quando le monache ci si mettono ti tirano giù Nostro Signore Gesù Cristo dalla croce, con rispetto parlando, evidentemente.

Ed è così che alla fine abbiamo raggiunto il Francesco del Bernardone; era lì che stava tirando su una chiesetta colle proprie mani. Sollevava i pietroni diventando tutto rosso rosso che pensavo che morisse. Piccolino com’era faceva una pena, poveretto. E appena si vide la mia Chiaretta, tutto si illuminò in viso, ed anche lei, la Chiaretta mia, tutta uno scampanio di Pasqua pareva. Che io allora mi vergognai di aver pensato che Chiaretta dovesse sposar Messer Bracco da Tortiglione o Messer Pistonchio da Tigullio. Perché guardandoli lo vidi, la Chiaretta mia e il Francesco del Bernardone, che c’era qualcosa tra loro più grande di quanto si possa dire con le parole degli uomini. Bisognerebbe saper parlare la lingua degli Angeli per poterlo dire. Era come se non si guardassero l’un l’altro, ma guardassero assieme nella stessa direzione. E io che non ho le parole per dirlo, questo lo chiamo Amore. Allora chiusi gli occhi e mi venne da piangere. Il perché, non saprei dire. Delle volte ci sono cose che son così. Dei momenti che tutto ti si scioglie dentro e intorno. E tu non sai perché, solo che quel mondo che vedi tutti i giorni, in quel momento lo vedi d’improvviso diverso e sembra che la luce debba esplodere di bellezza. E allora, forse, per un momento l’ho capita, la mia Chiaretta. Un momento solo, ma che vale tutta una vita. Capii che lei non era destinata a un’esistenza normale; un’esistenza di figli, di parti, di pance ingrossate e di gambe gonfie. E d’improvviso seppi che non mi apparteneva più, la mia bambina. Non era più mia e mai più lo sarebbe stata. Mai si sarebbe sposata, mai avrebbe avuto una casa, né una famiglia. Ma la famiglia sua sarebbe stata l’umanità intera, e la sua casa, l’universo tutto.

*

Francesco Scarrone ha scritto per il teatro e per il cinema. Ha sceneggiato The Repairman per la regia di Paolo Mitton e 1978, Vai piano ma Vinci (Nomination David di Donatello 2018) per la regia di Alice Filippi, Fuori Onda (Regia Nicoletta Polledro) e SIC (Regia di Alice Filippi, produzione Sky cinema). Arno Klein e Il Mulino di Amleto hanno rappresentato molte delle sue opere teatrali. Ha scritto Ecuba – ovvero il banchetto dei morti per Franca Nuti. Ha rivisitato Alice nel Paese delle Meraviglie per la regia di Marco Lorenzi in una produzione del Teatro Stabile di Torino. Ha scritto inoltre cinque libri, Di lama e d’ocarina, edito dalla Gorilla Sapiens edizioni (edizione esuarita ristampato dalla Rogas edizioni), Dublino 90 per la Rogas Edizioni , L’Allestimento, pubblicato dalla Vogliono Editrice, Vite prese a calci e Benzemà, Cronaca di un Sogno, per la Ultra Sport edizioni.

(La foto raffigura l’interno della cappella di San Domenico a Vence, dipinta da Henry Matisse)

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