08 Nov A passo lieve in un ombroso incanto: nel mondo di Gisella Genna
di Giorgio Galli
Gisella Genna ha iniziato a pubblicare tardi, dopo aver a lungo assimilato poesia: e per questo, al suo esordito nel 2020 con Quarta stella, i lettori hanno potuto scoprire una voce già matura, caratterizzata da una “calma potenza” –come ha scritto Giovanna Rosadini- che sfiorava i temi dell’inquietudine e della perdita trascendendoli nella pace inquieta della forma, con un effetto magico e di una compostezza inedita nel panorama italiano contemporaneo. Nelle sue liriche l’io si slargava nel noi, erano liriche nate da un’esigenza sovrapersonale e che tuttavia assecondavano la musicalità di una voce pacata e ricca di armonici qual è la voce vera di Gisella, così tonda e piena, affermativa eppure priva d’enfasi, solcata da una limpida malinconia. Gisella è una natura silenziosa, ha una capacità d’incanto per nulla esibita che nasce da un innato accoglimento del bello: la sua poesia è il sorriso melanconico dell’uomo di coscienza quando qualcosa d’improvviso lo solleva dal pensiero dell’orrore: quando, cioè, un mutamento quasi impercettibile nell’ordine delle cose gli permette di guardare le cose stesse sotto un’altra luce: momento epifanico la cui forza liberatoria si dispiega a poco a poco. Gisella ama la fotografia, e il suo approccio alla parola non sembra dissimile da quello, dimesso e insieme fiducioso, di Ghirri all’immagine: non aggiungere nulla a ciò che è, e semmai togliersi, esser pronti a ricevere quelle teofanie della bellezza che il reale concede, avaramente, e che sono gli unici varchi possibili verso un altrove che forse non esiste o non è attingibile, e che pure, a sprazzi, si mostra. La scrittura riserva a se stessa il compito d’annotare qualcosa di queste fuggevoli apparizioni, ma con discrezione: come quegli artisti giapponesi che con un unico tratto, senza staccare la penna dal foglio, riescono a compiere il disegno.
In questa seconda raccolta, Rarefazione –titolo quanto mai azzeccato- le bastano poche parole per andare a fondo. Molte poesie constano di una sola quartina:
Siamo corpo nell’ascolto,
una sola eco.
Scenda come divinazione,
scorra fluviale luce. Luce.
Un crescendo di gioia attraversa queste rapide parole e culmina in un’esclamazione trattenuta: “Luce”. L’autrice mette il punto fermo, ma chi legge è già al punto esclamativo. Gisella è come quei musicisti che lasciano poche indicazioni in partitura per non permettere agli esecutori di esagerare. Eppure chi ha orecchio e spirito per sentire, sente, e si slancia in quel punto esclamativo che manca dalla partitura della frase, ma c’è.
Altrove una Gisella fremente di trattenuto animismo innalza sottovoce una preghiera:
Si alza questa preghiera di terra
oggi mi vesto
di vento –
ubiquità della cenere.
oppure si rivolge a un tu amato con un’ombrosa grazia, con un umile carisma che è toccante come sanno essere toccanti i gatti –questi animali di leggiadra maestà- quando chinano lo sguardo:
Un punto blu costante:
fissità di sguardo
mantieni, ti prego, alta la carezza
sul capo mio chino
sempre.
La magia di questi versi non sconosce il disincanto, ma ne trae un’altra ragione di canto, una sommessa partecipazione al lirismo di tutte le cose:
Anche questo sogno andato
anche il volto, il tuo essere a lato:
ora che è poco fiorire, vai
nel raggio preciso di un mattino.
Posati polsi e palmi, un’ultima volta
insieme alla terra sbiadire.
In questa sapiente levità scorgiamo un mondo smisurato, reso appena percepibile con parchi segni. Chi scrive è sempre nell’eleganza, sempre nel lato lepido delle cose, e però è sempre nel mistero. E in questa prossimità al mistero c’è lo splendore di Gisella Genna donna e poeta: che è sempre dalla parte delle cose ultime, di quelle che contano e che restano; che si destreggia agilmente nel transitorio folleggiare del mondo, ma resta radicata nell’altrove.
Alla sommessa ma ricca tavolozza della poetessa non mancano toni più cupi:
Ai piedi del letto,
per sempre riverso il padre.
Schianto del corpo in prodigio di luce
con una fantasmatica parvenza di voce.
Quest’evocazione del padre riverso ai piedi del letto crea un silenzio sbigottito. Schubert in un celebre Quintetto fa lo stesso intercalando il ritmo vivace, il suono ruvido e popolaresco dello Scherzo alla voce oltretombale del Trio, improvvisamente lento, improvvisamente pianissimo, subitaneo silenzio che irrompe nel divenire e lo congela. Di colpo pensiamo a paesaggi invernali, ad alberi stecchiti… Così la morte appare nel frastuono dei giorni. E Gisella conosce e ricrea questo silenzio, con la sua “fantasmatica parvenza di voce”.
Pur conciso –meno di sessanta pagine- il libro è diviso in tre sezioni dai titoli evocativi e brevissimi: Dedalo, Albedo, Impermanenti. L’ultima sezione consta di brevissime prose: ed è in una di esse che trovo la più bella dichiarazione d’amore che abbia mai letto: “Mi sono stesa dall’ altro lato del letto e ho guardato quello che vedevi tu. Ho guardato con i tuoi occhi”. È quella di Gisella una voce laudativa per scelta, che conosce l’orrore del pianeta ma s’impone di restare –più per natura che per volontà- nel suo versante luminoso.
(Gisella Genna, Rarefazione, peQuod, 2023)
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