16 Nov Bene e male sottosopra. La rivoluzione delle filosofe. In dialogo con Annarosa Buttarelli
a cura di Ivana Margarese
La questione del bene e del male è un interrogativo costante nel pensiero umano. Annarosa Buttarelli in Bene e male sottosopra. La rivoluzione delle filosofe toglie a questi concetti l’iniziale maiuscola per riportarli nella nostra realtà vivente. L’autrice ci accompagna in un percorso attraverso grandi pensatrici che hanno esplorato in modo originale il male e il bene nella nostra quotidiana.
In questo libro scopriamo quindi le concezioni rivoluzionarie di Simone Weil, Hannah Arendt, Iris Murdoch, Flannery O’Connor, Maria Zambrano e Françoise Dolto, che dischiudono prospettive e pratiche inattese in un mondo della vita in cui la “cura” è cardine delle relazioni.
Comincerei col riportare quanto scrivi all’inizio del tuo testo Bene e male sottosopra. La rivoluzione delle filosofe: “Siccome i nostri tempi sono in piena ripetizione dell’identico, un identico che ci sta portando sull’orlo del baratro, ho deciso di farmi mediatrice dello sforzo di pensiero controtempo di alcune pensatrici particolarmente profetiche, alcune di loro molto studiate per la loro stupefacente genialità e la loro imprevista irregolarità. Nonostante siano state così studiate e portate in palmo di mano dagli intellettuali, non sono state intese nella loro fatica, nella loro capacità di lettura della condizione umana, nella loro ferma critica alle morali costruite a tavolino. Non sono state intese nel loro desiderio: speravano che fosse recepita non solamente la loro genialità ma la loro capacità di trasformazione delle menti e dei cuori”. Mi interessa sottolineare lo sforzo di “pensiero controtempo” accostandolo al desiderio e alla speranza di trasformazione e domandarti da quanto tempo avvertivi l’esigenza di scrivere questo libro e qual è stata la scintilla che lo ha generato.
Molti anni fa, quando ero assistente di Ermeneutica Filosofica all’Università di Verona, ho iniziato a riflettere sulla necessità di andare contropelo al moralismo dopo aver letto Flannery O’Connor, la quale mi aveva scioccato. Pure essendo agnostica, mi aveva molto colpito la sua fiducia nell’intervento dell’imprevisto benefico nella condizione umana, un imprevisto che mi fa piacere concordare nel nominare come “grazia”. Poi ho proseguito a cercare, cercare e cercare ancora nelle altre filosofe e così sono arrivata a trovare anche Françoise Dolto che è una pensatrice di altissima qualità. L’urgenza di scrivere il libro mi è nata nel momento in cui la goccia del male fatto nel presente ha fatto traboccare il vaso dell’indignazione.
Simone Weil e Hannah Arendt affermano che il cuore del problema del male è l’incapacità di “pensare veramente”, formula questa ripresa da un’altra filosofa, la tua amata Maria Zambrano. Potresti spiegarci meglio?
Certo! Ho acquisito la formulazione “pensare veramente” da Zambrano alla quale cercherò presto di dedicare un nuovo testo sul suo metodo filosofico. Per questo non l’ho inclusa in questo libro, se non per la formula che ho applicato poi alla due filosofe che citi. Quasi tutti e quasi tutte, siamo convinti che siccome formuliamo frasi, scriviamo qualcosa, parliamo, a tratti ci concentriamo allora stiamo pensando. Sì, c’è una forma di pensiero che ha una sua automaticità perché si è nutrito di saperi, di formule, di morali imposte, ecc. Ma, come ha visto Hannah Arendt, a un certo punto, un punto difficile di svolta esistenziale, quel tipo di pensiero automatico (non spaventarti del paradosso) serve a poco, si segue l’onda dominante e si finisce così nella banalità del male. Pensare veramente, invece, richiede un metodo radicale, inquieto, non solo fatto dal dubbio, ma fatto soprattutto di pensiero dell’esperienza. Mentre la consuetudine del pensare si appoggia sulla ripetizione, sul commento, sul già saputo, nell’astrazione, pensiero radicale e radicato nella vita reale riparte ogni volta dall’inizio del pensare, in modo spoglio ma attento alla realtà.
La psicanalista Françoise Dolto, di cui parli in un capitolo del libro, ha proposto un’innovativa riflessione del concetto di prossimo capace di renderci liberi da un’attesa di riconoscenza che in un’ottica di scambio interrompe la libera circolazione della generosità e della vita. Mi piacerebbe avere una tua opinione in merito.
Françoise Dolto, una credente cristiana, ha saputo dare dei colpi letali al moralismo dottrinale cattolico e alla costruzione della “buona coscienza” borghese, sempre soddisfatta di sé stessa proprio perché è buona. Mi sono sentita felice quando ho capito che nessuno e nessuna siamo buoni. Ho amato la posizione di Simone Weil quando restituisce tutto il bene a Dio, qualunque sia o qualsiasi presenza sia questo dio. All’interno dell’atteggiamento moralista, si alligna con soddisfazione l’esigere di vedere riconosciuto il “bene” fatto. Molti rapporti diventano perversi se il loro legame si fonda sull’assoggettamento della persona a cui abbiamo dato una mano. L’altro/l’altra si sentono costretti dentro la prigione della riconoscenza coatta e ciò genera molta perversione. Dolto suggerisce a chi ha avuto del bene di saperlo ridare a chi ne avrà bisogno, anche se non sarà chi ha steso la mano in soccorso.
Per le sue riflessioni sulla banalità del male, nate dall’avere assistito al processo Eichmann a Gerusalemme, Hannah Arendt fu molto avversata, fu accusata di essere una donna senza cuore e persino un’antisemita. Come leggi questa pagina di storia così amara di colei che oggi è considerata una delle pensatrici più autorevoli del Novecento?
La potrei leggere, come ho fatto, guardando a ciò che sta accadendo oggi nelle guerre vicine a noi. Non è detto che, siccome una persona o un popolo, siano stati vittime, allora diventino improvvisamente compassionevoli e giusti. Si può vedere chiaramente, oggi, come la complicità senza riflessione con la tirannia, con la delinquenza, con il crimine quotidiano, sia ancora banale e diffusa. Compito di una vera pensatrice è quello di dire la verità, di raccontare la realtà così com’è, di indicare le zone della condizione umana a cui non arriva lo sguardo comune. Hannah Arendt ha visto quello che ancora oggi sta accadendo per la complicità decerebrata di molti, purtroppo. C’è chi teme per la propria vita e cede (chi salva la propria vita, la perderà; chi la perde la salverà) a tutto pur di salvarla. C’è chi riesce a mantenersi fedele alla propria coscienza profonda, e mette a disposizione la propria vita.
Vorrei chiederti a conclusione di questa chiacchierata se, insieme a queste pensatrici che ci hai così efficacemente restituito, hai anche tu una personale utopia in ambito etico.
Non so se potrei considerarla un’utopia, visto che la vedo praticare da alcune, e visto che cerco di praticarla quotidianamente anch’io: il saper dire sempre la verità, perché è vero, lo sperimento sempre, che la verità contingente, se si riesce a trovarla e se si sa metterla in parola, rende davvero liberi. Forse l’unica vera utopia che coltivo è la fine della misoginia e, di conseguenza, l’ascolto dell’autorità femminile da parte maschile e di altri generi.
Annarosa Buttarelli
Posted at 10:55h, 17 NovembreOttima intervistatrice e ottima fanzine
Ivana Margarese
Posted at 11:39h, 17 NovembreGrazie e speriamo a presto.