24 Nov 25 novembre: i diritti delle donne in Europa secondo Amnesty International
a cura di: Amnesty International, sezione italiana, coordinamento Europa
In questi giorni l’Italia è infiammata dal dibattito seguito alla morte di Giulia Cecchettin, il 105° femminicidio nel nostro Paese dall’inizio dell’anno. In occasione del 25 novembre, Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ripercorriamo in una rapida carrellata la situazione dei diritti delle donne nei principali Paesi europei, evidenziando come il cammino da fare sia ancora piuttosto lungo e come spesso, in materia di diritti delle donne, i Paesi più avanzati in fatto di diritti civili non si dimostrino all’altezza della loro fama. In conclusione, rimandiamo a un comunicato della Sezione italiana di Amnesty International sulla specifica situazione del nostro Paese.
Polonia – violenze fisiche e non solo
Negli ultimi anni in Polonia il clima di intolleranza, razzismo e misoginia ha conosciuto una violenta escalation. Dopo le elezioni del 13 ottobre 2019, vinte dal partito “Diritto e Giustizia”, il governo polacco ha intrapreso significative modifiche legislative e politiche che hanno compromesso i diritti umani nel Paese. Tra le modifiche legislative, l’adozione di norme che minacciano l’indipendenza del Tribunale costituzionale, consolidano il potere nelle mani dell’esecutivo -a spese di una magistratura indipendente e libera da interferenze politiche- e stabiliscono restrizioni al diritto di libertà di riunione e di espressione. In diverse città sono state registrate proteste contro l’adozione della legge. Prendere parte a delle proteste in Polonia richiede impegno, tempo, il contatto di un legale e la determinazione ad affrontare le conseguenze -che possono variare dalle molestie alle aggressioni fisiche e verbali, dalle sanzioni pecuniarie alla detenzione, fino ai procedimenti penali. L’11 novembre 2017, 14 donne sono state aggredite a Varsavia durante la Marcia per il Giorno dell’indipendenza solo per aver espresso la loro opinione. Le 14 donne volevano dimostrare la loro contrarietà ai messaggi d’odio dei manifestanti di estrema destra che si erano radunati per inneggiare a una “Polonia bianca” e ad un’Europa che, come dicevano gli slogan, “sarà bianca o verrà abbandonata“. Durante la manifestazione, hanno srotolato un striscione su cui era scritto “Fermiamo il fascismo”, provocando la rappresaglia di alcuni manifestanti. Gli aggressori le hanno prese a calci, le hanno insultate apostrofandole come “sgualdrine”, “feccia sinistroide”, “puttane”, le hanno spintonate, prese a gomitate, afferrate per il collo e trascinate sul marciapiede. Alcune guardie del corteo, non appartenenti alle forze di polizia, hanno cercato di proteggerle, mentre la polizia è giunta sul posto solo 30 minuti dopo. All’arrivo delle forze dell’ordine la manifestazione era già passata e gli aggressori non erano più identificabili. Al contrario, gli agenti hanno controllato i documenti di identità delle donne e contestato la loro presenza alla marcia sostenendo che avevano agito da provocatrici. Invece di fermare e condannare gli esecutori dell’aggressione, le donne sono state accusate, giudicate colpevoli e multate per aver intralciato un raduno legittimo. Una dannosa sentenza della Corte costituzionale del 2021 ha continuato a limitare l’accesso all’aborto, mentre le Ong hanno aiutato 44.000 persone ad accedere all’interruzione di gravidanza (la maggior parte all’estero), affrontando un grave rischio a causa delle spaventose punizioni per chi fornisce questo supporto. (Nel frattempo, l’Ungheria ha adottato nuove regole che impongono alle donne che vogliono abortire di esibire un referto medico che confermi che hanno ascoltato il “battito cardiaco fetale”.)
Danimarca – stereotipi da abbattere
La reputazione della Danimarca come Paese avanzato in materia di uguaglianza di genere maschera una società con uno dei numeri più elevati di stupri in Europa, dove una legislazione imperfetta e stereotipi di genere hanno portato all’impunità endemica degli stupratori. Nel rapporto Give Us Respect and Justice – Superare le barriere per dare Giustizia alle donne vittime di stupro in Danimarca, Amnesty International ha denunciato che donne e ragazze sono danneggiate da leggi obsolete e pericolose, facendo sì che spesso non denuncino le violenze per la paura di non essere credute e dello stigma sociale, il che mina la loro fiducia nel sistema giudiziario. Nonostante i recenti passi positivi compiuti dal governo per migliorare l’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza, lo stupro in Danimarca è ampiamente sottostimato: anche quando le donne vanno alla polizia, le possibilità che i loro aggressori siano perseguiti e condannati sono molto scarse. Nel 2017, su un numero di stupri variabile tra 5.100 secondo il Ministero della Giustizia a 24.000 secondo uno studio recente, solo 890 sono stati denunciati alla polizia. Di questi, 535 sono sfociati in procedimenti penali e solo 94 in condanne. I pregiudizi profondamente radicati all’interno del sistema giudiziario sono tra le ragioni dei bassi tassi di condanna.
Bosnia ed Erzegovina – discriminazione economica
A oltre due decenni dalla fine del conflitto, le oltre 20.000 donne vittime di stupri di guerra in Bosnia-Erzegovina (BiH) continuano a soffrire, non solo per le conseguenze dei crimini passati, ma anche per l’abbandono da parte delle autorità del Paese: pochissime hanno avuto accesso alle cure mediche, alla giustizia, alla verità o a riparazioni economiche. La stragrande maggioranza delle vittime di stupri di guerra continua a soffrire in silenzio. Sono scoraggiate dal chiedere il rispetto dei loro diritti e continuano a far fronte alle conseguenze dei crimini da sole. Convivono con traumi e sentimenti di vergogna spesso paralizzanti, sopravvivendo ai margini della società. Il continuo fallimento delle autorità nel concordare misure per garantire un riconoscimento e un sostegno adeguati minaccia di lasciare le vittime senza l’opportunità di avere giustizia e riparazione. La Bosnia Erzegovina infatti non garantisce a tutte le donne vittime di violenze durante il conflitto lo status di “vittime di guerra”, senza il quale non si accede all’assistenza sanitaria -fisica e psichica- gratuita e neppure si riesce ad ottenere il riconoscimento economico che garantirebbe loro la sopravvivenza e un minimo di tutela. La giustizia viene loro negata anche a causa dei costi che queste persone non possono sostenere, e così continuano a vivere spesso accanto ai loro aguzzini -a causa della mancata volontà istituzionale di perseguire gli autori dei crimini di guerra- rimanendo vittime dello stigma sociale, impossibilitate a costruirsi una nuova vita a causa dei danni fisici e psichici a tutt’oggi non curati. Occorre a questo punto precisare cosa si intende per stupri di guerra. Nonostante le norme internazionali vietino lo stupro ad opera dei combattenti, in ogni conflitto dei nostri tempi le donne vengono stuprate perché i loro corpi sono considerati “legittimo bottino” delle milizie. Nel contesto delle guerre etniche, tuttavia, la violenza sessuale assume un nuovo significato, costituendo una delle armi di cui i combattenti dispongono per annientare l’etnia nemica. Le donne vengono violentate allo scopo sia di umiliare gli uomini della nazionalità delle vittime -umiliazione resa più grave dal fatto che l’atto avviene di fronte al villaggio, sotto gli occhi dei nemici sconfitti- sia di provocare la gravidanza coatta delle donne, affinché generino figli dell’etnia del violentatore.
Spagna – sviluppi positivi e casi di violenza
La violenza contro le donne persiste nel Paese, con 49 donne uccise dai loro partner o ex partner durante il 2023. Dal 2013, quando sono iniziate le registrazioni dei dati, 48 bambini sono stati uccisi nel contesto della violenza di genere contro le loro madri, tra cui due nel 2022. Uno sviluppo positivo è che il Ministero dell’Uguaglianza ha iniziato a raccogliere dati sulla violenza contro le donne perpetrata da individui diversi dai loro partner o ex partner. A ottobre inoltre è entrata in vigore la legge sulla protezione completa della libertà sessuale, che ha modificato il codice penale ridefinendo il reato di violenza sessuale basata sulla mancanza di consenso. A dicembre, infine, il Congresso ha approvato una proposta di legge per emendare la legge sui diritti sessuali e riproduttivi, eliminando il requisito del consenso dei genitori per le sedicenni e le diciassettenni che vogliono abortire, insieme ad altri ostacoli all’accesso a un aborto tempestivo, come la consulenza obbligatoria e i periodi di riflessione.
Italia – misoginia istituzionale
«La misoginia è diffusa particolarmente sui social, negli insulti e nelle offese di esponenti politici nei confronti di donne che rivendicano diritti o prendono la parola su questioni come l’immigrazione», afferma Tina Marinari, dell’Ufficio Campagne di Amnesty Italia. Un crescente clima di misoginia istituzionale caratterizza il nostro Paese negli ultimi tempi: un fenomeno già misurato da Amnesty International in occasione della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano e che ritroviamo oggi più forte e pericoloso. Così come i discorsi d’odio a sfondo razzista favoriscono crimini dall’identico movente, allo stesso modo la misoginia istituzionale rischia di alimentare gravi violazioni dei diritti umani contro le donne in un Paese nel quale i femminicidi si ripetono di settimana in settimana, anche a causa del non rispetto o della mancata previsione di misure di protezione in favore delle donne minacciate. In Italia il dibattito online su donne e persone LGBTQI+ genera più di una volta su quattro (nel 27,5 per cento dei casi) contenuti offensivi e l’11 per cento di questi si configura come hate speech. Il cinque per cento dei contenuti offensivi, inoltre, consiste in attacchi personali di stampo sessista da parte degli utenti. In un Paese nel quale emergono nuovi comportamenti criminali contro le donne, come il cyberbullismo e il revenge-porn, rileviamo con sconcerto come in intere zone la legislazione in materia d’interruzione di gravidanza sia di fatto inapplicabile per l’indisponibilità del personale sanitario preposto alla sua attuazione. Infine, come emerso da recenti ricerche di Amnesty International, l’Italia resta uno degli Stati europei in cui la legislazione sullo stupro è obsoleta e non rispetta gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione di Istanbul – che l’Italia ha ratificato – in quanto non è basata sull’espressione esplicita del consenso.
Per approfondimenti sulla situazione italiana:
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