09 Mar Lesja Ukajinka, poetessa ucraina radicata nel mondo
di Maria Grazia Ferraris
Ripercorrere la vicenda umana-letteraria di Lesja Ukajinka, grande poetessa della Ucraina, significa capire con chiarezza l’animo del popolo ucraino e il significato antico della rivendicazione della loro indipendenza. Attraverso i suoi drammi e le poesie la poetessa ha scritto una pagina fondamentale della letteratura ucraina.
Il suo nome è uno pseudonimo (Larissa Kossac- Kvitka, 1871-1913). La lettura delle sue opere è importante per avvicinarsi e comprendere storicamente la cultura e la storia dell’Ucraina.
Alcune sculture in luoghi pubblici d’Europa tramandano la memoria di questa poetessa, artista e patriota: fra queste vi è un busto in bronzo davanti alla casa nella quale abitò, in via Saksaganskogo, a Kiev, ed un’altra a figura intera, sempre in bronzo, realizzata nel 1975 dallo scultore Mykhailo Chereshniovsky per lo High Park di Toronto, in Canada (Paese che ospita un discreto numero di cittadini discendenti dagli immigrati ucraini e polacchi, emigrati fra il XIX° secolo e l’inizio del successivo).
Fino alla morte precoce, avvenuta nel 1913 a causa della tubercolosi, Lesjia Ukrainka combatte per dare forza all’ambiente culturale nazionale, per affermare l’indipendenza del Paese, formare le coscienze e rendere gli ucraini consapevoli delle loro forze e della loro grande cultura.
Cominciò a scrivere poesie fin da bambina: novenne compose Nadija (“Speranza”), ed ebbe pubblicati i suoi primi componimenti nel 1884. Autodidatta, imparò molte lingue europee, il greco ed il latino, e varie lingue nordiche.
Le sue prime opere poetiche trattano della natura, dei suoi luoghi natali, delle sue esperienze personali. Risentono della cultura europea dell’epoca. Rimandano al quieto borgo natale di Polysse e ai suoi boschi.
Un esempio:
Sì, salirò su verdi monti
dove gli abeti stormiscono alti,
porterò le mie pene solitarie
e le lascerò negli spazi montani.
Getterò via la mia pena,
su una verde radura,
lascerò ai pini la mia tristezza,
purché non ne trovi un’altra…
È poesia romantica, effusiva, densa di una commozione contenuta, e di ardore di vincere l’umana fragilità.
Fermo, cuore, fermo! Non battere così folle.
Placati, pensiero, non volare così impetuoso!
Non battere le ali nella vuota vastità.
Tu, musa lungimirante, non accecarmi
col fuoco dei tuoi occhi immortali!
Dammi la mano, stringimi al tuo petto.
Ti ho offerto quanto avevo,
dammi un grande consiglio.
Guarda: ci attorniano grandi campi desolati,
boschi selvaggi, alti burroni,
e oscure acque chete. Guarda:
non vi sono strade, e solo qua e là
sentieri intricati vanno verso l’ignoto.
Ecco la gente- son pochi- ara questi campi,
ecco dal bosco si ode appena il colpo della scure,
dagli alti burroni echeggia il grido delle aquile…
Ma la sua vena più autentica è alimentata dall’impegno, dalla speranza e l’energia.
Raggiunse l’apice nella poesia solo a fine secolo, quando pubblicò Blakytna troianda (“La Rosa Azzurra”) del 1896, in cui descrive la vita dell’intelligencija ucraina. Questo fu l’inizio del nuovo genere, chiamato “poema drammatico”, a cui la poetessa fu dedita per il resto della sua breve vita.
Infatti la vita ed il percorso letterario di Lesja Ukajinka vanno inquadrati nel complesso contesto storico-culturale del periodo storico di fine secolo, caratterizzato dalla progressiva russificazione della cultura nazionale ucraina, tanto più minacciata, quanto più avanzava l’industrializzazione e l’immigrazione di operai russofoni, specie nella parte orientale del Paese, in prossimità del bacino carbonifero del Donez.
Utilizzò dapprima il tema della cattività babilonese, metafora storica per riferirsi alla sofferenza del popolo ucraino soggiogato dall’Impero russo (Sulle Rovine, 1903), (La cattività babilonese, 1903). Nel poema Kassandra (1908) descrisse poi il destino dell’Ucraina attraverso la tragica storia della città di Troia, ed attraverso le parole profetiche di Cassandra, l’eroina troiana, cercò di incitare il popolo ucraino a scuotersi dalla sua apatia ed inerzia. Analogamente, nel poema drammatico Nelle catacombe (1905) rimproverò la comunità ucraina per la sua passività ed i compromessi a cui si era sottoposta. E nel poema drammatico Bojarynja (“La Boiarina“, 1910) viene espressa la convinzione per cui la lotta armata è il solo modo per liberare il popolo ucraino dal giogo moscovita condannando così l’apatia e l’immobile rassegnazione del suo popolo.
Esprimerà il suo desiderio di libertà ed indipendenza anche a livello personale, rifiutando a lungo il matrimonio voluto per lei dai genitori e consigliato dai costumi sociali del tempo, accettandolo infine pur dolorosamente come atto di abnegazione ed obbedienza. Esprimerà in Ritratto di donna (1906) un profilo psicologico di donna colta e convinta delle sue capacità, analizzando la dialettica tra le idee di libertà e la dipendenza-sottomissione della propria vita privata e quella artistica nel matrimonio.
Le poesie di questo tipo e quelle delle rappresentanti del primo femminismo ucraino dell’inizio Novecento sono state un incentivo a consolidare una base per comprendere i limiti della società dell’epoca e la necessità di ribaltare il sistema di sottomissione che non riguardava solo le donne, ma l’identità ucraina.
Sei una donna onesta, non vendi
la tua beltà e tenerezza per denaro,
falsi baci non dispendi
a favor di miseri piaceri, per lo sfarzo.
Sei una donna orgogliosa, non sei entrata
in un nido, da mani amichevoli creato,
il lavoro più duro ti sei affidata,
in silenzio, da lunghi anni ti è ancorato…
sai, come ci si sente
tra gioia e dolore, caduti in prigione…..
il tuo talento e la mente alla prigionia hai dato,
all’ergastolo eterno hai condannato,
e senti gioia e dolore fino in fondo.
Benché di origini nobiliari, Lesja Ukrajinka fu vicina ai circoli rivoluzionari che non si aspettavano alcuna riforma in senso autonomista da parte del governo zarista, e si erano orientati, nel corso dell’Ottocento, in senso sempre più radicale, fino all’esperienza rivoluzionaria del 1905.
La celebre Contra spem spero è forse la testimonianza più accorata dell’impegno della poetessa:
Via, pensieri, voi, nubi autunnali!
Ora è la primavera dorata!
Forse nell’amarezza, nel pianto
Passeranno gli anni della giovinezza?
No, voglio ridere attraverso le lacrime,
Intonare canzoni nel dolore,
Sperare comunque senza speranze,
Voglio vivere! Via, pensieri tristi!
In un triste campo desolato
Seminerò fiori variopinti,
Seminerò fiori nel gelo,
Verserò su di essi lacrime amare.
E per queste lacrime cocenti si dissolverà
quella possente crosta di ghiaccio,
Forse i fiori cresceranno – e giungerà
anche per me l’allegra primavera.
Trasporterò un pesante masso
In cima a un’erta montagna sassosa
E, portando questo tremendo fardello,
Intonerò un’allegra canzone.
Nella lunga notte buia, impenetrabile
Non chiuderò gli occhi per un attimo,
Cercherò la stella polare,
la chiara sovrana delle notti buie.
Sì! Riderò attraverso le lacrime,
Intonerò canzoni nel dolore,
Spererò comunque senza speranze,
Vivrò! Via, pensieri tristi!
È una formidabile conoscitrice delle letterature europee, che legge nell’originale – dato che conosce otto lingue -, specialmente gli autori romantici inglesi e tedeschi, ma anche i classici italiani e francesi e gli antichi greci. Traduce Omero, Dante, Shakespeare, Byron, Hugo, Goethe, Schiller, Heine. Trascorse due anni della sua vita a Sanremo, nella Villa Natalia (oggi Villa Adriana), presso la famiglia Sadovskie, che spesso ospitava connazionali attirati dal clima della cittadina: nelle sue lettere parlò spesso del “clima paradisiaco” di Sanremo, dal quale evidentemente trasse beneficio. Conosce la lingua e la cultura italiane, studia le opere di D’Annunzio e perfino della poetessa Ada Negri, sulle quali scrive dei saggi, e compara i due autori “diametralmente opposti per idee, simpatie, temperamento e origine” che le sembrano “destinati a iniziare un nuovo tempo e nuove canzoni, epigoni della grande epoca della liberazione dell’Italia”, affermazioni che rivelano l’ampiezza delle sue conoscenze e la sicurezza della valutazione estetica.
Inizia i suoi viaggi all’estero, principalmente per motivi di salute, tra cliniche specializzate e luoghi di villeggiatura mediterranei: da Berlino a San Remo, passando per Tartu in Estonia, senza mai lasciarsi scoraggiare dai progressi del suo male o dagli ostacoli frapposti dalle autorità russe.
Inizia anche i suoi soggiorni nel Caucaso, ove concluderà la sua esistenza; e, nello stesso periodo, scopre la sua passione per il teatro drammatico, componendo opere notevoli, quali La rosa azzurra, del 1896, e Sulle rovine. Emblematico il suo Epilogo:
Chi non ha vissuto in mezzo alla tempesta
quello non conosce il valore della forza,
quello non sa quanto sia cara alla gente
la lotta e il lavoro.
Chi non ha vissuto in mezzo alla tempesta
non capirà il dolore dell’impotenza,
quello non conosce tutto il tormento
dell’ozio forzato.
Come ho invidiato coloro
che non hanno avuto riposo
finchè la loro stanchezza disumana
Non li ha gettati a terra per un’ora!
Giorno e notte stanno di guardia,
lavoro lungo, sosta breve
giorno e notte sono al lavoro,
fino a intorpidire braccia e schiena.
Certo allora sembrava loro
che non vi fosse tormento peggiore.
Oh lottatori, se sapeste che
significa avere mani impotenti!
Che significa giacere calmi
come un triste cimelio del destino,
e arrendersi senza opporsi alla tempesta,
alla forza e alla volontà altrui.
Che è rimasto a una persona così?
Solo pensare e riflettere…
Voi lottatori accettate questi pensieri,
non ho più niente da offrirvi.
(15-21/1-1911 Mar Nero, nei pressi dell’Anatolia)
(Le immagini, salvo la foto della poeta in basso, sono opere della pittrice ucraina Marija Konstantinovna Baškirceva)
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