Il piano segreto. In dialogo con Ruben Monterosso e Federico Savonitto

a cura di Anna Ceraulo e Ivana Margarese

 

 

Il piano segreto” di Ruben Monterosso e Federico Savonitto è un film sullo scrittore, regista e intellettuale palermitano Michele Perriera, che fu tra i fondatori del collettivo di neoavanguardia Gruppo 63.
Perriera fu anima della scuola di teatro Teatès, giornalista per «L’Ora», nonché per molti anni direttore della collana di teatro della casa editrice Sellerio e punto di riferimento per più di una generazione di attori e registi.
Il documentario è un’ opera di restituzione che mostra la magia e la crudezza dell’eredità culturale del maestro siciliano attraverso il lavoro dei figli, Giuditta e Gianfranco, quello di Emma Dante e del suo laboratorio di teatro negli spazi della Vicarìa a partire dai testi dello stesso Perriera, e attraverso l’esperienza della Compagnia Genovese Beltramo, che lavora a Buon appetito, opera di Perriera ambientata in un futuro distopico infestato da farmaci e virus.
Come nella più incredibile delle profezie, il testo prende vita e da questo momento gli sforzi dei protagonisti dovranno confrontarsi con delle limitazioni del nuovo Coronavirus che sembrano uscire dalla penna dell’autore di cui cercano di tener viva la memoria. Fondamentale è la testimonianza dell’amica e fotografa Letizia Battaglia, che di Perriera conserva foto e ricordi personali, compare nel film in una delle sue ultime partecipazioni.

 

Michele Perriera (1937-2010), autore eretico e voce solitaria del teatro italiano, aveva immaginato, già alla fine del Novecento, i segni di fragilità di un mondo in continua decadenza. Il lavoro mette al centro l’eredità culturale di uno dei più importanti autori di teatro del Novecento e ripropone le sue riflessioni e i temi affrontati nei suoi testi: dal disequilibrio ambientale a quello socio-economico, Perriera, già alla fine del secolo scorso, aveva previsto le difficoltà del nostro presente, aprendo gli occhi ai suoi contemporanei e anticipando gran parte dei temi politico-sociali oggi al centro del dibattito internazionale.

 

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Alla fine del secolo scorso, Michele Perriera aveva previsto l’attuale disequilibrio ambientale e socio-economico aprendo gli occhi ai suoi contemporanei. Il suo immaginario apocalittico riverbera nel nostro presente pieno di dubbi sul futuro. La compagnia Genovese Beltramo e la regista Emma Dante lavorano alla messa in scena di alcuni suoi testi, i figli Giuditta e Gianfranco provano ad organizzare un evento per ricordarlo insieme alla fotografa Letizia Battaglia. Perriera è stato un maestro troppo presto dimenticato e il film si presta a un’opera di restituzione che mostra la magia e la crudezza della sua eredità culturale.Alla fine del secolo scorso, Michele Perriera aveva previsto l’attuale disequilibrio ambientale e socio-economico aprendo gli occhi ai suoi contemporanei. Il suo immaginario apocalittico riverbera nel nostro presente pieno di dubbi sul futuro. La compagnia Genovese Beltramo e la regista Emma Dante lavorano alla messa in scena di alcuni suoi testi, i figli Giuditta e Gianfranco provano ad organizzare un evento per ricordarlo insieme alla fotografa Letizia Battaglia. Perriera è stato un maestro troppo presto dimenticato e il film si presta a un’opera di restituzione che mostra la magia e la crudezza della sua eredità culturale.

 


Ivana: Inizio col chiedervi come è nata l’idea di un film documentario su Michele Perriera e quanto tempo avete impiegato per realizzarlo.

F Ci terrei a dire che il nostro non vuole essere un documentario su Perriera, anche se a lui è dedicato: nasce dal nostro desiderio di proseguire una ricerca iniziata molti anni fa.
L’idea del film nasce nel 2018, ed è la naturale conclusione di una trilogia dedicata alla città di Palermo, con riferimento ad un assunto legato al Genius loci di questa città, il Genio di Palermo: “Palermo divora i suoi e nutre gli stranieri”. Nel 2012 raccontammo la storia del drammaturgo Nino Gennaro con il documentario La fine che non ho fatto: il titolo, che prendeva in prestito una frase del protagonista, si riferiva ad una morte solo sfiorata dal nostro, quella per mano mafiosa. Nel 2017 ci dedicammo direttamente al luogo dove ha origine il mito del Genio di Palermo, monte Pellegrino: nel film Pellegrino seguivamo principalmente la ricerca dell’artista Fabrice De Nola, che ruotava proprio intorno al Genio, e dell’alchimista Esmeralda Notarbartolo, che aveva subìto la perdita precoce di una figlia e che aveva trovato un suo modo per trasformare il dolore.
Se il discorso appena fatto serve a dare un quadro “concettuale” alla scelta, sicuramente ci sono stati molti altri elementi che ci hanno spinto su un piano più emotivo, volendo anche irrazionale. Una delle coincidenze che ci ha fatto sentire sulla strada giusta riguardava Massimo Verdastro, protagonista in carne ed ossa di “La fine che non ho fatto”: grazie al suo lavoro di attore e alle sue pubblicazioni il drammaturgo Nino Gennaro non era finito nell’oblio ed era potuto giungere fino a noi (attraverso un libro che avevo trovato casualmente), ma Massimo Verdastro non si sarebbe mai spostato da Roma a Palermo se non fosse stato per la scuola Teatès, la scuola di teatro fondata da Michele Perriera. C’è insomma un filo che unisce questa storia con i nostri precedenti film, un filo che unisce anche molte persone con cui abbiamo costruito una relazione (ad esempio il filmaker e filosofo Pippo Zimmardi e l’attrice Sabina Di Pasquale – di recente scomparsa -, presenti sotterraneamente in tutti e tre i film).
Quando abbiamo deciso di raccontare Perriera eravamo estremamente colpiti da questo uomo, che incarna perfettamente l’archetipo del palermitano geniale troppo scomodo per non essere “sepolto”, ma soprattutto ha creato dei mondi che ci siamo appassionati ad esplorare.

R Negli ultimi 10 anni con Federico abbiamo voluto raccontare attraverso vari soggetti la città di Palermo e Michele Perriera, la cui aurea abbiamo incontrato varie volte, corrisponde alla figura dell’ intellettuale dimenticato. Un drammaturgo, maieuta, giornalista graffiante che per qualche strano motivo la città ha sommerso nel silenzio, così come è accaduto con alcuni altri grandi artisti palermitani. Ma Perriera a differenza di alcuni di questi non ha ancora goduto di una rivalutazione, in pochissime persone negli ultimi 10 anni hanno pensato di mettere in scena i suoi testi. Solo i figli Giuditta e Gianfranco portano avanti la memoria del padre, che è stato per loro anche un maestro di teatro.
Intorno ai miei 16 anni, il mio grande amico attore ed autore Paride Cicirello, all’epoca suo allievo nella mitica scuola Teatès, chiese a Perriera di potere io assistere ad alcune sue lezioni, Perriera accettò. Rimasi folgorato e affascinato dal suo carisma. Fascino che spero venga trasmesso allo spettatore dal film che abbiamo creato dopo lunghi anni di studio, ricerca e riprese.

I: Il piano segreto ha a mio parere il merito di raccontare Michele Perriera non solo attraverso la sua lucidità di pensiero e il suo sguardo profetico ma anche (e forse soprattutto) attraverso le relazioni feconde che ha saputo creare in famiglia e nel lavoro. È un film in cui ciascuno sembra aggiungere un tassello per dare forma alla figura di questo poliedrico autore e io, da spettatrice, nonostante avessi di lui l’idea di un uomo burbero e schivo, ho percepito invece un uomo amorevole con una forte fede in ciò che faceva. Durante la realizzazione del vostro film ci sono stati dei cambiamenti rispetto al progetto iniziale?

R La forza di Michele Perriera come artista sta esattamente nell’amore che provava verso ciò che scriveva e faceva. Questo valore aggiunto è stato tramandato alla sua famiglia, teatranti per amore e professione. Ma al contrario di quello che si può pensare la relazione con figli non era per nulla chiusa rispetto al resto del mondo, non lo era soprattutto in quella grande avventura che è stata la scuola Teatès, dove negli anni sono circolate centinaia di giovani allievi anche dal resto d’Italia, molti dei quali oggi sono dei registi e attori. Infatti i racconti dei figli a proposito della relazione col padre, sono racconti dove li vedevano non come messi su un piedistallo ma al contrario uguali a tutti gli altri. Era un mondo che girava intorno-e-con Perriera. Come ad esempio la moglie Lisa Ricca, compagna di una vita, cuore pulsante della scuola di teatro o Pietra Silvia Nicolicchia, per tanti anni socia e aiuto regista di Perriera.

E così decine di persone che ahinoi, come registi del documentario, non abbiamo avuto la possibilità narrativa di raccontare. E’ vero anche che non avremmo mai voluto fare un documentario biografico colmo di interviste, poco utile a fare incuriosire uno spettatore che non conosce ancora Perriera, ancor meno utile a fargli varcare i confini palermitani e nazionali.

Il nostro intento perseguito con rispetto e caparbietà è stato quello di attualizzare le parole e l’animo di Michele Perriera secondo un nostro personale punto di vista.

F il titolo di lavorazione del film per un paio d’anni è stato Il caso Perriera: ci interessava indagare i motivi per cui un autore così importante, profondo e rivoluzionario non avesse ricevuto in vita sufficienti riconoscimenti e fosse stato presto dimenticato. Leggendo la sua autobiografia da mille pagine, Romanzo d’amore (ma anche gli zibaldoni La spola infinita e Con quelle idee da canguro), avevamo scorto dei passaggi che lasciavano intravedere una possibile chiave di lettura: il nostro protagonista non aveva mai ceduto ai “ricatti” del potere, si era sempre mantenuto lontano da ogni compromesso, da ogni cordata politica, da ogni scambio di favori. Questa indagine doveva stare al centro di un film in cui avremmo seguito una serie di protagonisti in grado di tenere in vita il suo teatro e il suo pensiero. In quest’ottica all’inizio del 2020 siamo andati a Torino a seguire la compagnia Genovese Beltramo, con cui eravamo in contatto da un paio d’anni grazie a Giuditta Perriera, che ci aveva indicato su nostra richiesta coloro che in quel momento stavano lavorando su dei testi di suo padre (l’unica altra regista fino a quel momento era stata Claudia Puglisi, ed un frammento del suo spettacolo con Filippo Luna e Chiara Muscato è stato inserito nel film); non ci aspettavamo che quello spettacolo, una riproposizione di un testo di Perriera ambientato in un futuro pandemico, sarebbe stato interrotto proprio dalla pandemia. Abbiamo colto quei momenti che all’inizio sono parsi soltanto funesti, e nei mesi successivi abbiamo capito che avremmo dovuto cambiare anche il centro del nostro film: la capacità di prefigurare il futuro del nostro protagonista non poteva rimanere solo un capitolo. Abbiamo messo mano alla nostra sceneggiatura e con la nuova stesura abbiamo partecipato al Premio Solinas. La menzione speciale che abbiamo preso con il titolo modificato in Il piano segreto per l’occasione (è una regola del premio per garantire l’anonimato) ci ha dato ulteriore forza nel pensare che eravamo sulla strada giusta, e quindi abbiamo cambiato anche titolo. Nel passaggio tra Il caso Perriera e Il piano segreto abbiamo spostato il focus dal rapporto tra la vita dell’autore e il suo pensiero al rapporto tra il suo pensiero e la nostra contemporaneità: sicuramente il nostro compito è diventato più complesso, ma la sfida ci ha affascinato, ci siamo convinti che Perriera l’avrebbe apprezzata e l’abbiamo intrapresa con umiltà. Nel farlo abbiamo dovuto rinunciare ad un sacco di lavoro che avevamo fatto e stavamo facendo. Ad esempio avevamo iniziato a seguire l’attore Gigi Borruso – uno degli allievi più brillanti usciti dalla scuola Teatès – nel periodo in cui stava lavorando ad una rappresentazione dell’Antigone con un gruppo di attori: la tragedia di Sofocle, che oppone all’inflessibilità cieca del potere la legge profonda dell’individuo, era inizialmente perfetta per raccontare il rapporto tra Perriera e il potere, ed infatti era uno dei tanti testi che nella sua lunga carriera aveva messo in scena. Nella nuova versione del film però era difficile trovare spazio per questa linea narrativa. È vero, in uno dei romanzi distopici dell’autore palermitano, “Finirà questa malìa?”, uno dei personaggi si chiama Antigone, ma sarebbe stato un po’ tirato per i capelli entrare così addentro ad un singolo romanzo per fare riverberare questo genere di connessione. Abbiamo dovuto quindi rimodellare tutta la struttura narrativa in modo che dentro il film ci fosse un racconto coerente, rinunciando a molte tappe importanti della vita di Perriera, e rinunciando ad utilizzare ore e ore di girato che ci erano costate lunghissime giornate di ripresa. Ma nel documentario è così.

Anna: A quattro anni di distanza mi chiedo come non aver riconosciuto nelle città desolate della pandemia (che ho trovato comunque irripetibili e affascinanti) le atmosfere dense di malinconia de I Pavoni, spettacolo a cui ho preso parte. La nostalgia, sentita da dentro era per una bellezza persa e distrutta già prima della catastrofe. Credete che anche da fuori, mi riferisco a chi ha assistito allo spettacolo, si respirasse questa angoscia struggente e irrimediabile?

F Credo che anche da fuori si percepisse questa angoscia che tu dici, infatti gli spettacoli di Michele Perriera non erano decisamente per tutti, e forse anche questa è una delle ragioni per cui il suo teatro non è stato tanto capito e conosciuto. Perriera voleva parlare all’anima dello spettatore, voleva trasmettere un’epifania interiore, e non tutti sono pronti ad un Teatro così potente.

I: Perriera, già alla fine del secolo scorso, aveva previsto le difficoltà del nostro presente, aprendo gli occhi ai suoi contemporanei e anticipando gran parte dei temi politico-sociali che sono oggi al centro del dibattito internazionale. Mi ha molto colpito anche il suo riferimento agli animali come nel caso del bradipo o dei pavoni, che al pari di ciò che avviene nelle opere di filosofi contemporanei – penso ad esempio a Donna Haraway – diventano veicoli di una visione e di un pensiero molto potenti. Vorrei una vostra opinione in proposito.

F É proprio così, Perriera ha anticipato moltissimi temi del dibattito internazionale nei suoi saggi, e li ha saputi trasformare in narrazione nei suoi romanzi, nei suoi racconti, nelle sue pièce. Prendiamo Buon appetito, pièce contenuta negli Atti del bradipo e presente nel film: al suo interno si parla di un femminicidio ambientato in un futuro infestato da epidemie, e su questo ci siamo già soffermati in varie interviste precedenti; nella stessa pièce un altro tema fondamentale è l’obbligo imposto dalle leggi di farsi vedere felici: un piccolo robot ascolta tutte le conversazioni (come i nostri computer e i nostri cellulari) per controllare che nessuno manifesti malumori. Questo è indubbiamente un discorso attualissimo, trattato ad esempio da Byung-Chul Han nel suo La società senza dolore, e legato agli aspetti più deleteri dei social. Nella stessa pièce, poi, vi sono dei bradipi, messi a fare i guardiani davanti all’ingresso. Come si capisce in un’altra pièce della stessa raccolta, Injury Time (anch’essa ampiamente presente nel film), i bradipi non sono altro che esseri umani che hanno preferito questa trasformazione piuttosto che la morte, sancita dal governo di questo futuro inventato da Perriera a causa del sovrappopolamento. Chiaro che questo animale veicola molti significati, si ibrida in un pensiero che coerentemente ha saputo creare un mondo che si dirama in mille sfaccettature significanti. Il bradipo può rappresentare un’involuzione dell’umano ad un essere non più senziente, può essere una metafora dello psicofarmaco, o forse rappresentare un’evoluzione verso un modo di vivere più lento e meno stressante: di sicuro celebra la mancanza di senso dei nostri tempi.

Moltissimi sono gli animali presenti nell’immaginario di Perriera, a rappresentare stadi segreti dell’animo, o sbandamenti collettivi. I pavoni (nell’omonimo racconto contenuto nella raccolta intitolata Il piano segreto, edita da Flaccovio nel 1984) , ad esempio, che rappresentano la vanità che avanza, o i serpenti (dentro il romanzo Finirà questa malìa?, Sellerio 2004) che un po’ come i bradipi sono dei controllori, attenti a mantenere la banalità del vivere, in modo da scongiurare il pericolo di un ritorno ad un “paradiso terrestre”. Ma forse l’animale a cui più Perriera si dimostra legato è la zanzara, l’animale contro cui l’uomo ha intrapreso una battaglia millenaria, e che lui scelse come simbolo di Teatés. Un piccolo essere vivente spesso associato al fastidio, al prurito, ma anche al diffondersi delle epidemie, in grado però – e qui torniamo al livello metaforico – di pungere la coscienza, di risvegliare i sopiti esseri umani del suo e del nostro tempo.

R Gli anni ‘90 sono, col senno del poi, anni bui ma ancora colmi di speranza per qualcosa che in potenza sarebbe potuto accadere, di positivo, di rinnovamento. Mi sento di poter dire che così non è stato.

Durante l’occupazione dell’Accademia di Belle Arti di Palermo del ‘92, Michele Perriera viene invitato ad intervenire in un dibattito organizzato dagli studenti. Mancano pochi mesi dagli attentati di Falcone e Borsellino e Perriera nel suo intervento (che raccontiamo nel nostro film grazie ad alcune immagini girate da Giuseppe Zimmardi), parla di un potere segreto che travalica il potere democratico, che nell’intero mondo governa e gestisce equilibri senza nessun meccanismo di trasparenza: parla di servizi segreti, di lobby e di potere mafioso.

Condivido le parole di Antonino Caponnetto rilasciate ad un giornalista, ormai divenute celebri, all’indomani degli attentati ai giudici, in una perfetta quanto mai tragica sintesi dicendo: “E’ finito tutto, non mi faccia dire altro”.

Proprio come afferma il filosofo Vercellone nel nostro film, cioè che in un contesto di dominio totale di Controllo del Potere istituzionale e di quello che Perriera chiama il potere segreto, uno dei modi che l’essere umano ha per poter sfuggire a quel controllo e quindi alla conseguente repressione che ne può derivare se si ribellasse, è quello di regredire ad animale. In più Perriera anticipa anche quello che sarà, o forse già è “Il capitalismo della sorveglianza” (di cui ci parla Shoshana Zuboff, in una puntuale e scientifica disamina della tecnologia nel presente che ci circonda), dove le macchine e i cyborg, come tu stessa citavi a proposito di Donna Haraway, apparentemente neutrali, in realtà svolgono quegli stessi meccanismi di controllo che altri esseri umani non sono arrivati a compiere ai danni delle libertà individuali e collettive.


I: Nel film compare Letizia Battaglia, che di Perriera conservava foto e ricordi personali e nel suo stile schietto e semplice fa notare come Perriera, così come Pasolini, manchi profondamente al nostro tempo e come sia stato in qualche modo dimenticato o comunque non ricordato come avrebbe meritato. Vorrei un vostro parere o un vostro ricordo su questo.

R L’incontro con Letizia è stato folgorante. Sin dalla prima scena del nostro film girata nel suo Centro Internazionale di Fotografia, dove giochiamo un po col linguaggio cinematografico grazie alla sua capacità di “bucare lo schermo” andando al di là della quarta parete, e dove lei fa una promessa che poi sappiamo non potrà mantenere e cioè organizzare una mostra fotografica sulla scuola Teatès con scatti suoi e di Franco Zecchin (fotografie che poi vedremo, almeno in parte, nella sequenza nella quale i figli di Perriera cercano di fare una selezione sulle centinaia di immagini per organizzare il decennale dalla scomparsa del padre). Anche in quella inquadratura molto semplice restituisce una spontaneità impressionante. Li ci parlò del gruppo 63, e di come lui e altri giovani intellettuali tra cui Testa, andavano a rubare libri da Flaccovio che in qualche modo li lasciava fare. Storia vera o no è un’immagine che dice tanto di un periodo molto diverso dal nostro dove oggi qualche antitaccheggio di qualche multinazionale del libro suonerebbe all’impazzata.

Un’altra cosa che ci ha colpito molto qualche tempo dopo, fu la sua consapevolezza di quanto le sarebbe ahinoi accaduto. E fu proprio questa sua consapevolezza che la spinse ad accettare la nostra pacifica invasione nei suoi spazi domestici e nel suo archivio personale nonostante non stesse bene. Sapeva e voleva lasciare una testimonianza sul suo maestro di teatro (si, Letizia ha fatto anche questo nella vita), di cui lei era ancora riconoscente per il fatto di averla accettata al Teatès anche se all’epoca era ormai adulta. Paragona Perriera a Pasolini in quanto afferma che entrambi non hanno mai accettato compromessi col potere, e in maniera diversa ne hanno pagato le conseguenze, in particolare Perriera non ricevendo mai quei finanziamenti pubblici che avrebbe meritato.

I: Ne Il piano segreto sono presenti i due figli di Michele Perriera, Giuditta e Gianfranco, e gli attori che lo hanno avuto come maestro, tra cui Emma Dante. Le loro vite vengono raccontate nel periodo della pandemia da Covid-19, un momento di grave crisi per il teatro che manifesta tanto la fragilità del teatro, che mette in scena corpi reali, quanto la necessità di preservare questo spazio di creazione nel suo intreccio di materia e utopia.

F Sì, questa è sicuramente una delle tracce principali del film, ci tenevamo ad inserire le difficoltà quotidiane che vive chi fa questo mestiere, e il periodo in cui si sono svolte le riprese era perfetto per narrare questo aspetto. Giuditta ad un certo punto partecipa ad una video-conferenza su questo tema, e Savino Genovese il protagonista torinese del film (allievo dell’aiuto regista storica di Perriera, Pietra Selva Nicolicchia) la ascolta mentre smonta lo spazio teatrale che affittava per le prove della sua compagnia, costretto dal COVID-19 a riportare tutto a casa. In quel momento nulla lasciava sperare che le cose sarebbero tornate alla normalità, e ci sembrava che la realtà riverberasse della parola di Perriera. Abbiamo seguito le varie fasi in cui i teatri sono stati riaperti e poi di nuovo chiusi, le manifestazioni dei lavoratori dello spettatore che si sono svolte in quel periodo, la sanificazione dei teatri: volevamo che durante queste fasi tornassero alla mente dello spettatore le frasi che Perriera (la cui voce è interpretata da Umberto Cantone) dice all’inizio del film: “Il teatro nacque non per guardare in alto ma per guardare in fondo, per disseppellire le maschere della verità coperte dalla storia. Non nacque per celebrare il principe e il suo trono; non nacque per porre in alto la prospettiva della verità, ma per scavarla in basso, per aprire il baratro della vita e della morte.”

R Vorrei aggiungere soltanto sottolineando le parole di Emma Dante, che in quel periodo di pandemia e di particolare accanimento verso il mondo del teatro da parte dei governi intenti nella gestione dei contagi, che un altro rischio grave fu quello dell’ignoranza e dell’alienazione. Questo a fronte di qualsivoglia indicazione scientifico-medica che dimostrasse che dentro i teatri si crearono focolai di contagio. Questo accanimento imponeva chiusure indiscriminate ci fece riflettere molto. Un’ultima cosa che mi viene in mente, sempre a proposito di Emma Dante, che ci sembrò straordinario fu il fatto che mentre un politico ormai particolarmente noto parlava di “anziani non utili allo sforzo produttivo del Paese”, la regista in una pausa tra una quarantena e l’altra, in un periodo di riapertura, organizzò quel laboratorio di cui abbiamo già parlato sui testi di Perriera Injury time insieme a delle anziane attrici del Centro Amazzone di Palermo diretto da Lina Prosa.

Penso che fu una gran cosa.

A: ” Il teatro è un luogo altro”. Tante volte ce lo siamo sentiti dire da Michele Perriera. Ma per ognuno di noi significava qualcosa di non perfettamente coincidente. Quale è il luogo / non luogo del teatro secondo voi?

F Per noi il luogo del teatro è nelle strade, in mezzo alla gente, ma anche e soprattutto nel ventre di ognuno di noi, nell’inconscio. In alcune scene del film abbiamo cercato di rappresentare quest’antro invisibile che c’è nell’essere umano, cercando di farvi riverberare le parole di Perriera. Mi spiego. Il lavoro che abbiamo fatto è stato quello di creare un collage tra i suoi testi che andasse a mettere in evidenza le connessioni più profonde tra le sue opere teatrali, saggistiche, narrative. E ne è emerso un pensiero nitido, che si può riassumere nel titolo Il piano segreto (tratto da un suo racconto) e che nel film passa soprattutto attraverso l’ascolto di una bobina ritrovata dai figli, contenente la registrazione audio fatta per la Rai della pièce “Il signor X”: in quel nastro le voci di un manipolo di potenti (interpretati da vari attori tra cui Perriera stesso, sia ben chiaro) si susseguono nello stabilire i punti salienti di un piano quinquennale in cui saranno distribuite epidemie, carestie e guerre, in modo che poi la gente possa vivere la solita ingiusta “normalità” con entusiasmo. Quelle parole, che partono dalla bobina ascoltata da Gianfranco Perriera a casa sua, ci portano dentro un rifugio antiaereo o nel qanat di Palermo, un acquedotto sotterraneo costruito durante la dominazione araba: in poche parole abbiamo voluto far risuonare la parola di Perriera nel “ventre di Palermo”, sperando possa arrivare anche all’inconscio dello spettatore, che in fondo è il luogo del teatro.

Ivana e Anna: Infine ci piacerebbe sapere qual è l’opera di Perriera che avete amato di più.

R Un piccolo testo teatrale che si intitola L’anticamera dove Perriera racconta la scena di un omicidio all’interno di una sala d’aspetto di un medico, dopo che per qualche secondo la luce andò via e poi si riaccese, mostrando ai presenti la “scena del crimine”.

Ricordo che Perriera nell’introduzione del libro (edito da Sellerio nel 1994, che concorse al 15° premio Pirandello), nell’introduzione – che serviva da didascalia come indicazione per la messa in scena – parlava di una scenografia come a “scatole cinesi”, una dentro l’altra attraverso le quali lo spettatore doveva addentrarsi man mano che la storia si rivelava.

Dunque in quel luogo si consuma un vero e proprio processo a tratti grottesco e drammatico, che ripercorre e rappresenta certe storture che la nostra democrazia possiede.

Un altro testo, che è stato anche importante per il nostro documentario è il romanzo biografico Romanzo d’amore. E’ diviso in tre volumi che seguono gli anni biografici di Michele Perriera. Nel primo, riferito alla sua giovinezza, mi ha colpito molto il carattere della sua fantasia libera, direi coscientemente anarchica, con cui raccontava alcuni aneddoti del suo passato.

In particolare vorrei citare questo passaggio: Da bambino facevo il teatro da solo […], i miei personaggi si chiamavano Mariniri e Tinì, la scena era lintero mio cervello, la natura e gli oggetti costituivano il fondale. Uno dei personaggi ero io e mi mettevo sempre alle mie spalle […]. Il pubblico immaginario mi guardava dallalto. Quando mi sedevo sulla tazza del bagno, per fare il mio bisogno, prendevo il bastone che si usava per passare lo straccio, ne immergevo lestremità nella vasca e cominciavo a vogare. Facevo lutile e il dilettevole. […] Questo atto fisico necessario e svuotante, mi liberava al tal punto che mi pareva di guardare la terra dallaria. Intanto mettevo una parte di me a distanza di due metri […], sapevo che ero proprio io ad osservarmi, osservavo si la mia sagoma ma con lineamenti diversi […]. Ecco per me questo passaggio così alto e contemporaneamente concreto, racchiude in sintesi uno degli insegnamenti del teatro, l’avere a che fare con gli altri, anche quando si è soli, e cioè accettare le varie sfaccettature della nostra anima.

F La mia opera preferita è un breve romanzo intitolato La casa, pubblicato da Sellerio nel 2007, tre anni prima della morte di Perriera. È un piccolo capolavoro, di cui non c’è traccia nel film anche se in realtà racchiude una serie di elementi ricorrenti della sua poetica, tra cui quello del “piano segreto”: la mafia ha deciso, per degli interessi edilizi, di far scomparire ad un buon uomo – un commesso – ciò per cui si è sacrificato un’intera vita, la propria casa. Gliene offre un’altra, più bella, ma il protagonista non accetta. Potrebbe vivere sereno nella comodità, ma lui sceglie la coerenza con le proprie idee e non scende a patti. Amo questo romanzo perché riesce a trovare una sintesi semplice del pensiero complesso di Perriera. Tra l’altro sarebbe una perfetta sceneggiatura per un film.

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