Adriana Cavarero: Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno

 

Avevo poco più di 16 anni. Era il 1951.

I grandi occhioni azzurri da cinesina

-tra le mie braccia un piccolo miracolo di persona,

uscito da me, dal mio corpo –

Cinzia.

Da amare, da curare, da nutrire.

Nessuno ha scattato questa foto.

Ma è questa limmagine che ho in testa.

In bianco e nero.

Io e lei.

Letizia Battaglia,  Una specie di diario estivo

a cura di Ivana Margarese e Samanta Picciaiola

 


Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell
ipermaterno (Castelvecchi 2023) indaga sulla maternità e sulle icone dell’ipermaterno, convogliando diversi temi della filosofia di Adriana Cavarero.
È un testo cruciale, con una scrittura che si propone in una modalità dinamica e aperta tanto da includere un “Breve intermezzo autobiografico” in cui la filosofa spiega le difficoltà incontrate nella stesura del libro, il suo cercare di “svicolare fra censure e autocensure, divieti linguistici e teorici, reticenze e allusioni, giustificazioni non richieste e intuizioni soffocate”:

È stato per me difficile sforzarmi di dimenticare che gran parte della lettura critica femminista sul tema della maternità da me compulsata, o riletta per l’occasione, produce un effetto censorio su qualsiasi studiosa femminista che, come me, voglia scrivere sull’argomento in termini positivi e non in quelli della sua incidenza negativa sul libero affermarsi di una soggettività femminile. […] Quando si scrive sulla maternità, fungono innanzitutto da dispositivi censori sia il rischio di celebrarla secondo l’immagine che Elena Ferrante indica come la luminosa Madre di Dio, sia quello, più generico e popolare, di descrivere l’esperienza di diventare madre in toni idillici e accattivanti, facendosi così complici di una tradizione patriarcale che dipinge come felici e beate le donne che confina in casa a figliare e accudire.


 

Questo testo rappresenta dunque una sfida coinvolgente. In alcuni passaggi c’era perfino la sensazione di ascoltare le parole con un timbro e una vibrazione capaci di mettere in contatto con la tensione della scrittura dell’autrice. La voce – scriveva Helene Cixous in Sortie – “canta dal tempo prima della legge, prima che il simbolico ci porti via il respiro e lo catturi entro il linguaggio sotto la sua autorità di separazione, e il canto fatto di aria conduce alla pura phonè, scissa dall‟ordine del logos e antecedente alla legge maschile e paterna” (Cixous, Sorties, in C. Clement- H. Cixous, La jeune née, UGE, Paris 1975, pp.118 -119).
Il saggio sosta su alcuni nodi di pensiero legati al materno e a tesse audacemente le fila tra tanti riferimenti letterari, antropologici, biologici:

Mi sono chiesta spesso se il nodo di tutta la faccenda non stia proprio nel pregiudizio cognitivo che comanda di guardare con occhi ostili alla biologia, pur non impedendo alle recenti strategie liberatorie di ribiologizzare il discorso in chiave anatomica.

Cavarero attraversa la narrativa contemporanea e il pensiero filosofico e tragico greco per esplorare il nodo del tremendo caratterizzato da un corpo che si fa duale e porta/genera l’altro nelle sue viscere, mediante una scissione della carne che è al contempo una relazione originaria, ovvero una relazione che sta, per ogni essere umano, alla sua origine.«Deinon to tiktein estin» – «tremendo è il figliare» – dice Clitemnestra nell’Elettra di Sofocle, espressione che è stata tradotta da Virginia Woolf con «C’è uno strano potere nella maternità». Ed è proprio di questo strano potere che il libro si occupa cercando un equilibrio tra più istanze e recuperando il sentimento di stupore che si accompagna all’atto di generare dalla scissione della propria carne.

Sta Adrienne Rich a ideale punto di partenza del ragionamento della Cavarero; la Rich di Nato di donna evoca infatti quel potere tremendo di generare dato dai corpi femminili. Ci si domanda come trattenere il concetto di “corpo femminile” in quanto dato incontrovertibile e sul quale tutte dovremmo intenderci d’emblée in un’epoca, come la nostra, che ha sul piatto dibattiti aperti su genere, corpi e identità. Un’epoca che attraverso le acquisizioni delle tecniche di procreazione e delle neuroscienze ha ampiamente decostruito l’immediatezza del corporeo e dell’appercezione di sé e l’ha attraversata nelle sue coordinate sociologico-culturali. Un testo come quello di Tripaldi (Gender tech, Editori Laterza) potrebbe aiutarci a comprendere come ormai qualsiasi dibattito sulla generatività dei corpi sia inscindibile da una dialettica con la tecnica e le scienze: i nostri corpi, che ci piaccia o meno, sono cyborg, ibridati, nella quotidiana dinamica di negoziazione delle condizioni di benessere, vivibilità, desiderio ed esperienza. Stupisce vedere ridotto a piano e a-problematico un costrutto come quello di “corpo femminile”. Forse proprio questa assenza della scienza indica la vocazione profonda del testo della Cavarero: che è un testo che torna al “mito” della maternità più che all’esperienza concreta della gestazione, che per questo attinge a fonti letterarie, antropologiche, a studi del secolo scorso (Kéreny ad esempio).
Il discorso è un crescendo di riferimenti che scardinano la visione tradizionale  per affermare che nella maternità si ha una conoscenza viscerale: si conosce l’estrema contingenza della carne che procrea, ovvero – stando all’etimo della parola “contingenza” – l’accidentalità, la casualità, la non prevedibilità di quella forma singolare di vita che il corpo materno partorisce:

Quasi, che, nell’esperienza del generare, owero nel suo corpo singolare, la donna facesse contemporaneamente conoscenza, da un lato della necessità che caratterizza il processo generale della vita, e dall’altro della contingenza che contrassegna tuttavia le incorporazioni della vita stessa nel vivente singolare.


La capacità di sviluppare un rapporto critico con le norme apprese presuppone una distanza da esse, una sospensione della loro necessità che conduce a trasformarle e ad articolare una visione alternativa.
Adriana Cavarero sottolinea già in Nonostante Platone come ci sia uno stare delle donne nell‟ordine simbolico patriarcale che le vuole divise e sole, sottratte a un luogo di comune appartenenza e reciproca significazione e ricondotte a ruoli e funzioni finalizzate al regno dei padri:

«Un posto di “oscure nutrici”, dove la nascita, l’allevamento, l’accudimento e la nutrizione non si inscrivono più in un ordine simbolico femminile che li accolga come un segreto trasmesso per via genealogica, come aspetti( vicende, esperienze) di un comune orizzonte femminile, ma, al contrario, si trovano inscritti in un ordine simbolico estraneo che li comanda, identificandoli paradossalmente con la natura femminile».(Cavarero, Nonostante Platone, p. 68).

La filosofa sottolinea come lungi dal collocarci al vertice di una ipotetica gerarchia l’esistenza della nostra specie abbia caratteri casuali, precari e transitori come quelli di tutte le specie: l’animale umano poteva non comparire sulla faccia della Terra e, plausibilmente, vista la sua condotta nei confronti dell’ecosistema dell’intero pianeta che abita, prima o poi potrebbe estinguersi :

Scrive Darwin, nei taccuini, che «potremmo essere tutti legati in un’unica rete». Gli sviluppi della biologia evolutiva hanno confermato e accentuato l’aspetto relazionale del mondo dei viventi, le parentele che li uniscono, la materia che li accomuna e la rete filo- genetica e ontogenetica che insieme li stringe. Molte sono oggi le discipline scientifiche che approfondiscono questi punti: dai tempi di Darwin, la nostra conoscenza della vita si è specializzata ed è cresciuta con una velocità prima impensabile.

Sono riflessioni importanti che mettono in rilievo l’aspetto relazionale del mondo dei viventi.
Il carattere “tremendo” del generare, spesso evocato come scindersi in due del corpo di donna con una metafora che spinge nella direzione dell’autonomia assoluta del processo, è dato, come invece sappiamo, nella sua fisiologia più banale, dal contare piuttosto su una moltiplicazione che consegue una combinazione di materiale genetico differente.
Le attuali tecniche di procreazione medicalmente assistita non  hanno potuto rimuovere questa necessaria dualità che, lungi dall’essere originata dal corpo di donna, si registra nella combinazione/incontro di cui il ventre materno si fa luogo, possibilità, nutrimento.
Forse ciò che questo testo ci consegna è lo spazio di una simbolica e di una cultura finalmente capaci di significare la gestazione e la genitorialità in maniera altra. Con lo sguardo rivolto al secolo scorso il libro di Cavarero affascina per i riferimenti alla cultura classica, per il suo tornare alla radice del dualismo maschio/femmina. Restano all’orizzonte le vite di tutte quelle persone non cisgender, non binarie e non radicate in una cultura eurocentrica e “classica”, permettendoci di immaginare altre mitologie date e a venire. Ci sono altre possibilità di nutrimento e cura che spingono a creare insieme modelli di convivenza futuri che rompano definitivamente con il binarismo, capaci di scegliere se e come e attraverso quali esperienze essere madri, genitrici, gestanti, accabadore, amiche o sorelle.

 

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