Scrittura madre. Una riflessione su maternità e creazione letteraria

 

a cura di Marialaura Simeone

immagine in copertina: Giacomo Balla, Affetti

 

Negli ultimi anni si sta radicalizzando il dibattito intorno alla maternità, con la rivendicazione – per carità giustissima – della scelta di non essere madri, ma che sta portando a una svalutazione del materno e a unincapacità di leggere anche la maternità come un tassello non meno importante alla libertà delle donne, nellorizzonte di un femminismo vero, lontano dalle logiche mainstream e pratica quotidiana di lotta. Il mito della madre è stato sostituito dal mito della non madre, che sminuisce il ruolo della prima, rendendolo quasi ridicolo e svilente e azzera quel pensiero femminile che dovremmo rimettere al centro.

È un discorso che porto avanti da anni, dalla mia prima gravidanza, quando mi sono appassionata, insieme alla mia che stavo vivendo, alle tante storie di scrittrici madri e che è confluito in un progetto di ricerca allUniversità di Leida (in parte ne parlerò al prossimo convegno internazionale degli Studi di genere GENDERCOM https://gendercom.org/ e in una delle numerose sessioni del Convegno annuale dellAIPI https://www.infoaipi.org/congressi-e-seminari/).

Dopo il bellarticolo di Ivana Margarese e Samanta Picciaiola sullultimo volume di Adriana Cavarero (https://www.vocidallisola.it/2024/08/28/adriana-cavarero-donne-che-allattano-cuccioli-di-lupo-icone-dellipermaterno/) ho avvertito lurgenza di definire alcuni degli snodi essenziali della mia ricerca. Larticolo naturalmente vuole riportare solo alcune suggestioni di una bibliografia molto più varia e articolata. Rimando ad altre sedi la restituzione degli studi sul tema, a cominciare dal numero di Leggendaria 161/settembre 2023 che raccoglie alcune di queste riflessioni.

Devo necessariamente partire dallinizio e dalla mia esperienza personale. Quando ho scoperto di essere incinta per la prima volta, stavo scrivendo un saggio su Suo marito di Luigi Pirandello. Da quel romanzo sembra emergere che il desiderio di generare figli e opere darte corrisponderebbe alla stessa pulsione ed è quindi alluomo che spetterebbe scrivere, mentre la donna dovrebbe accontentarsi di partorire figli. In caso contrario vivrebbe un insanabile dissidio dagli esiti disastrosi, come accade alla protagonista. Alle parole di Pirandello facevano eco altre scrittrici, da Ada Negri con quei versi che suonano come una condanna «Bocca materna, non avrai più baci/ che non sian quelli di tuo figlio» a Clara Sereni «anche il libro che mi sta nascendo dentro è un figlio, una creatura, una storia che entra in competizione con la sua». Finanche il manuale per la preparazione del concorso a cattedra mi suggeriva di un possibile conflitto tra il mestiere di insegnante e quello di madre!

Poi è arrivata lilluminazione, Natalia Ginzburg è venuta a salvarmi. In Lessico famigliare racconta della sua iniziale paura di incompatibilità per poi scoprire di poter preparare ogni giorno il semolino col sugo ai bambini, pensando nel frattempo a cosa scrivere. Da quel momento ho iniziato a indagare tra le rappresentazioni letterarie e le pratiche quotidiane delle madri scrittrici, da Grazia Deledda a Sibilla Aleramo, da Annie Vivanti a Elena Ferrante, da Colette a Sylvia Plath a Joan Didion a tantissime altre.

Si può essere madri e scrittrici, si può essere madri e tutto il resto, ma bisogna iniziare a raccontare altre storie. Se bisogna evitare lo stereotipo della madre che può fare tutto senza conflitti interni ed esterni, così come la madre realizzata unicamente nel suo ruolo, bisogna evitare soprattutto lottica dellaut aut. Bisogna smettere di dire alle donne che devono scegliere tra la maternità e il lavoro, tra la maternità e la realizzazione personale. Quello che serve davvero, oltre a un valido welfare per le famiglie, è contribuire a creare una società veramente paritaria in cui i compiti familiari siano equamente distribuiti.

È necessario separare istituzione ed esperienza (e finalmente dopo quasi quarantanni è stato riedito Nato di donna di Adrienne Rich), trattarla e raccontarla come esperienza conoscitiva (Cavarero), come «risorsa di pensieri» (Carla Lonzi), affiancare la vita della mente creativa a quella del corpo creatore (Sylvia Plath).

In una delle struggenti pagine di Corpo felice Dacia Maraini racconta a Perdu, il figlio mai nato, di Proserpina e delle preghiere che le dedicavano le giovani romane per ricevere in cambio un corpo fertile, capace di partorire non soltanto figli ma anche «pensieri e desideri, progetti e sogni».


A Proserpina, anzi alla sua equivalente greca Persefone, ha dedicato ampio spazio Maria Rosa Cutrufelli in Scrivere con l’inchiostro bianco. In principio c’erano Demetra e Persefone, una madre appunto e sua figlia, che la forza e il potere maschile sottraggono alla madre. Il rapimento di Persefone da parte di Ade mette fine, simbolicamente, a una civiltà remota in cui comandavano le donne. Ma seppure messe ai margini della Storia, le donne possono essere ancora capaci, con la loro voce, di contare qualcosa. Quando Odisseo scende negli Inferi – continua la Cutrufelli – una schiera di donne gli viene mandata incontro da Persefone: sono le spose e le figli dei Grandi. Non vere e proprie protagoniste, ma fondamentali «custodi della genealogia, della Storia che accadeva attraverso di loro, passando per il loro corpo» e per la propria voce. Il racconto delle donne resiste ai secoli ed è ancora e sempre da lì che germoglia la vita. Una madre e una figlia ideale sono anche al centro delle ultime pagine di Dare la vita di Michela Murgia: «Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà».

È necessario mettersi in ascolto, ripartire proprio dal pensiero femminista per rivalutare e raccontare il pensiero delle madri e trasmetterlo alle nuove generazioni. Rendere conto del «potere tremendo» della maternità, «dellenormità e inevitabilità dellamore» per i figli. Rintracciare una genealogia femminile – come auspica Aida Ribero in Procreare la vita, filosofare la morte – fondata (anche) sul riconoscimento del diritto materno per tracciare nuovi percorsi di libertà e di emancipazione.

C’è un bellissimo libro di Lidia Ravera, Bambino mio (1979), scritto a ridosso dellesperienza di maternità dellautrice. Ravera raccontava il suo percorso, per molti inspiegabile, dal femminismo alla maternità, dalla centralità del proprio io al noi. «Essere qui volendo essere altrove e appena si è altrove voler essere qui, vicino a un figlio. Il pendolo non ha smesso di oscillare, anzi loscillazione è il ritmo della vita. Essere individui, essere madri. Produrre e riprodurre».

Creare, procreare, ricreare. Figli, pensieri, ideali.

 

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