22 Set Dall’orto al mondo. In dialogo con Barbara Bernardini
a cura di Francesca Grispello
Intesso meravigliose conversazioni quando mi raccolgo tra i vasi del terrazzo. Il primo incontro è l’alberello di limoni con le dannate cocciniglie, poi c’è la superba “spina di cristo” che spinge in alto e fuori il suo acuminato rosso. C’è la Dipladenia che si arrampica e provo profonda tenerezza, il pensiero poi cade su di un pigro rosmarino e così via poi a scorrere le piante grasse. Ho osservato fioriture fuori stagione, ospitato e rianimato api, ho protetto e ascoltato un piccolo spazio verde di cui ho bisogno come propaggine del mio luogo interiore, un dialogo manifesto, fotosintetico.
Questo dialogo intimo ha trovato una narrazione in cui si è riconosciuto, per caso ho scoperto anni fa una newsletter Braccia Rubate a cura di Barbara Bernardini.
Una newsletter diversa, senza presunzione e senza marketing, dove la cifra e il ritmo sono intimi, lenti e ampi. Un momento di lettura variegato e sostenibile, dove l’osservazione del domestico, i dubbi, l’ecologia, la goffaggine umana, le lumache e le cornacchie, i semi, la cucina e la speranza si incontrano in una pratica. Questa newsletter a cadenza lunare ha iniziato a raccogliere affetto in molte persone e Barbara ha aperto questo spazio e ha invitato e accolto numerosi contributi – tra cui il mio.
Orto e mondo sono stati la cifra in cui racchiudere il senso di un modo di fare le cose e nel tempo sono diventati nel tempo il titolo del suo libro Dall’orto al mondo. Piccolo manuale di resistenza ecologica. Nottetempo editore, 2023.
Temi capitali come l’ecologia, il mercato, la pressione economico sociale sulle prestazioni di ciascuno, l’antropologia, la sociologia, le stagioni e il senso del fare e come fare, messi in calendario come una Barbanera 2.0 con fermezza, grazia mantenendo un tono intimo.
Dall’orto al mondo: è un titolo molto evocativo, sembra un manuale, ma dentro c’è esperienza, tempo e una critica puntuale verso un mercato che inquina, manipola e uccide.
Come è nato questo libro?
L’idea del libro all’inizio è nata per dare uno spazio e un respiro più ampio agli scritti del diario dell’orto presente nella newsletter, che a sua volta è nata, dopo l’isolamento del lockdown del 2020 durante il quale ho ripreso con più costanza a curare l’orto, perché avevo sentito il bisogno di riallacciare legami. E il modo che conosco meglio, quello con cui più mi trovo a mio agio per aprirmi agli altri, è sempre stata la scrittura: per parlare di cose che ho a cuore, se devo tentare di farmi capire.
Una volta alle prese con la stesura del libro, però, ho capito che non volevo che parlasse solo di un pezzetto piccolo e recintato di terra, e di un tempo, un anno, altrettanto recintato ma che si aprisse al mondo come dice il titolo; così per ogni mese raccontato, accanto al diario dell’orto ci sono due capitoli: l’almanacco degli anni a venire, uno sguardo verso il futuro (e, spesso anche al passato, con la storia di alcuni ortaggi o di alcune tecniche di coltivazione), e gli innesti, che allargano lo sguardo fuori dai confini dell’orto, al mondo, ai temi della crisi climatica, passando per altri libri, per associazioni e realtà dell’attivismo, ricerche, a volte anche favole e leggende.
Un anno con te nel tuo orto e tra le tue osservazioni, dove la poesia e il futuro si innestano in modo combattivo: cosa hai imparato scrivendolo?
Ho letto moltissimo prima e durante la stesura, anche perché ogni lettura apriva strade nuove, con una diffusione simile alle reti del micelio: ogni libro rimandava ad altri, ogni curiosità, una volta esaudita, ne faceva nascere di più profonde.
Ho imparato da ognuna di quelle letture, ma anche dalle esperienze di piccoli contadini e agricoltori, delle associazioni, dal lavoro di attivisti e ricercatori: solo una piccola parte è nel libro, anche perché una delle cose più difficili che ho imparato solo in parte, e grazie direi alla pazienza dell’editor, è stata la selezione. A definire il modo con cui raccontare quel tema, da quale punto di vista e con quale filo conduttore muovermi al suo interno, e sulla base di queste definizioni, decidere cosa tenere o cosa no.
Infine, nell’ultima stesura, ho imparato l’importanza della precisione lessicale: individuare una specifica varietà e nominarla nel modo giusto – non basta dire “pomodori” se hai un Piennolo del Vesuvio: quel nome si porta dietro non solo l’identificazione ma anche una storia – o descrivere qualcosa dandone un’immagine quanto più veritiera – non basta dire “rosso” se devi riferirti prima a un peperone e dopo a un’amarena.
Il tuo libro ha una forte bibliografia che sostiene i tuoi temi: c’è una forte attenzione ai temi dell’ecologia, è stato importante veder celebrata Rachel Carson. Quali sono e credi che siano le fonti di informazione in tal senso più autorevoli?
Rachel Carson con Primavera silenziosa è riuscita nell’incredibile impresa di scrivere un libro scientifico, puntuale, con basi solide, che fosse però accessibile a tutti: e l’accessibilità non è data dalla sua semplicità, ma dalla sua bellezza, dalla meraviglia che sa indicarti, là fuori, nel mondo.
Preservare la meraviglia è forse lo stimolo più potente per cominciare ad attivarsi.
Le fonti sono molte, vista la mia passione per le newsletter partirei da quelle: c’è A Fuoco, un progetto di Facta, Pagella politica e Slow News; Areale, la newsletter di Domani sul clima, a cura di Ferdinando Cotugno, una lettera accorata sullo stato del nostro pianeta, e sullo stato delle nostre menti su questo pianeta che si sta rompendo; Medusa, di Nicolò Porcelluzzi e Matteo De Giuli, che parla di crisi climatica e di cultura, di storie, oltre ai numeri.
Poi ci sono associazioni e realtà dell’attivismo che svolgono anche un gran lavoro nell’informazione, nel monitoraggio e nella divulgazione: dalle internazionali, come Greenpeace, a Italian Climate Network, e poi quelle che si occupano di filiera del cibo e agroecologia, come l’associazione Terra!.
Sull’orto, i lavori da fare, i modi di coltivare i vari ortaggi, seguo Orto da coltivare e poi sempre il calendario Barbanera, con le lune, i calendari delle semine, i consigli spesso buffi che sembrano arrivare da un’altra epoca (e spesso è così).
Come è nata la collaborazione con Nottetempo?Quando ho cominciato ad accarezzare l’idea di scrivere questo libro, la collana terra di nottetempo mi è sembrata da subito il posto in cui sarebbe stato meglio – o almeno: speravo davvero che venisse fuori un libro che potesse stare in una collana che ha come intento quello di “indagare le possibili relazioni alternative tra viventi”. Ne ho parlato con Alessandro Gazoia, il direttore editoriale, e incredibilmente non mi ha presa per matta.
Sono felice che questo libro sia compagno di collana, e di viaggio, di testi che ho amato molto, e forse anche un po’ intimorita da alcuni nomi:il mio in fondo è un libro sull’orto, di zappe e rastrelli, semi e cornacchie, mentre La caduta dal cielo di Davi Kopenawa è un’opera imponente, fondamentale direi per capire la conoscenza indigena amazzonica, sono letteralmente un semino vicino a una quercia secolare.
C’è qualcosa che ti ha sorpreso osservando a distanza l’evoluzione di Braccia Rubate?
Sembra un modo di dire ma: tutto mi sorprende ogni volta. Un po’ perché non mi aspettavo nulla: avevo un’idea, vaga, di una newsletter con degli esercizi di fantastica a cura di scrittrici e scrittori ospiti, che partisse con i cambi di luna – novilunio e plenilunio –, e che fosse ogni volta introdotta da un breve diario dell’orto. Il diario doveva essere solo un modo per cadenzare i numeri, per dare un senso alle lune – in molti associano alle varie fasi lunari ai lavori nell’orto o in giardino – il cuore dovevano essere gli esercizi: tracce, indicazioni, suggestioni, che invitassero a scrivere, o disegnare, fotografare, osservare, fare un collage: immaginare. Uno di questi lo hai pensato anche tu (NDR riferito al mio contributo alla NL).
Ho inviato il primo numero come se stessi scrivendo una lettera comune a un piccolo gruppo di amici, e in effetti era così. Con quel timore di quando ti scopri un pochino ma anche la voglia di raggiungerli, di dirgli: eccomi, sono qui, rannicchiata nell’orto, e sto bene, tu come stai?
Poi il diario ha preso spazio, l’orto ha preso spazio, e la componente botanica è cresciuta anche grazie all’arrivo di Maria Claudia Ferrari Bellisario, che da allora si occupa di Sentieri, l’edizione della luna piena, con i suoi percorsi di lettura.
Insomma, ogni cosa mi stupisce, mi stupisce ogni persona in più che si iscrive, e rimane, ogni persona che apre un numero per leggerselo, ognuna che ci scrive e ci racconta del suo limone sul terrazzo o di come vanno le melanzane nell’orto.
È davvero una meraviglia scoprire che si è costruita intorno una piccola comunità, anarchica e senza regole, piena di affetto. Abbiamo riempito insieme un erbario collettivo, che ha girato l’Italia, e un po’ anche l’Europa, con foglie, fiori, semi, ricordi e foto di ognuna delle persone che l’ha custodito per un po’. Anche l’ultimo numero inviato, con la luna nuova di settembre, è stato costruito insieme: raccoglie cartoline, foto e racconti degli orti estivi di lettrici e lettori di Braccia Rubate.
Lavori nel mondo dell’editoria da anni e ora sei nella famiglia di Minimum Fax: cosa ti hanno insegnato l’orto e la carta stampata.
Lavoro in editoria ormai da più di vent’anni: quello che spero di aver imparato nel tempo è ad avere una consapevolezza maggiore, sia nell’uso della scrittura sia nei meccanismi di questo settore, e a mantenere l’amore e la passione per questo mondo senza però romanticizzarlo più del dovuto, a vedere con chiarezza quali sono limiti, storture, difetti, in modo da non farmene schiacciare. Su questo esercizio di concretezza l’orto, il contatto con la terra che permette, è stato un grande maestro: sul lato dell’uso delle parole è stato importante per avere sempre a portata di mano la forma reale delle cose che si nominano, e sul non romanticizzare è stato altrettanto fondamentale. Ricordarsi sempre da dove vengo, chi sono, cosa è realmente importante, cosa mi emoziona, quali sono gli obiettivi, o meglio ancora i non-obiettivi.
Molto spesso lavorare a lungo in un settore così tanto idealizzato porta a pensare che quello sia il mondo, che quelli che sono i piccoli meccanismi con cui funziona abbiano un carattere universale: mantenere il contatto con il livello reale delle cose, con la terra, ciò che ci sta dentro e ciò che ci cresce sopra, con l’evidenza che una buona potatura o un buon raccolto richiedono un livello di competenza pari, o superiore, a un buon editing, è un reminder continuo per non farsi travolgere da ambizioni vuote, per avere ben chiaro che quel mestiere meraviglioso che è il fare i libri – scriverli, pubblicarli, promuoverli – non ha come scopo il galleggiamento del mondo editoriale, ma il raccontare il mondo là fuori, comprenderlo, avvicinarsi a un sentire profondo che altrimenti ci sfuggirebbe.
Ecologia e istruzione: c’è una promozione verso la cura dell’ambiente che parte dal basso, dai primi gradi di istruzione, poi cosa succede?
Non so rispondere davvero a questa domanda ma l’impressione è che durante le scuole ci sia ancora la speranza di costruire un mondo migliore: si educa al pensiero ecologico, alla pace, al rispetto, all’uguaglianza. In questo senso le scuole, la scuola pubblica, è ancora uno dei luoghi di democrazia più pura che abbiamo. Poi però il mondo in cui questi ragazzi vengono catapultati funziona su meccanismi opposti.
Ma c’è anche un’altra cosa, credo: purtroppo tutti i principi, compreso il rispetto dell’ambiente, vengono calati come fossero responsabilità personali. E allora a scuola si fa la giornata sulla raccolta differenziata ma non si affronta, nemmeno negli anni delle scuole superiori in cui c’è già una consapevolezza critica, l’intero ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti, e dove, in questo ciclo, ci sono i punti critici e migliorabili a livello di sistema.
Ho un figlio che va alle superiori: nei suoi libri, alla crisi climatica vengono dedicate un paio di pagine, quando va bene. Eppure è la sfida più grande che si troveranno ad affrontare da adulti. Ci teniamo molto che i programmi scolastici preparino al lavoro, un lavoro che è in continuo cambiamento e per il quale è difficile pensare di poter essere preparati una volta per tutte, ma non prepariamo gli studenti al mondo – al clima di questo mondo e ai disastri che provoca – che si troveranno davanti.
Italia è quasi sinonimo di terra: oltre alla perdita di “terra buona” abbiamo perso molta conoscenza e molta diversità.
Quale passo per recuperare un po’ di conoscenza?
L’idea di scrivere dell’orto arriva anche come una sorta di scuse nei confronti dei miei nonni che avevano un passato da contadini, da mezzadri, e ai quali una volta arrivati in una città che si stava riempiendo di fabbriche è stato detto che i loro saperi non servivano più. Saperi sulle piante, sugli alberi, sulle erbe selvatiche, su come coltivare la terra, su come costruire con le proprie mani ciò che ti serve, su come aggiustare qualcosa di rotto, rimettere a posto, prendersi cura, vivere quasi inconsapevolmente in modo sostenibile e rispettoso.
È arrivato forse il momento di ammettere che questi saperi che abbiamo accantonato in modo frettoloso (e, direi, irrispettoso) ci serviranno per guidare una transizione che non si basi sugli stessi principi di produttività e di massimizzazione del profitto che hanno portato alla crisi attuale.
C’è un “prototipo” del tuo lettore/lettrice?
Non so come sia il mio lettore, ma in questi anni di newsletter e le presentazioni del libro ho incontrato molte persone accomunate dal desiderio di una vita più lenta, più dolce, più semplice. Che hanno bisogno di riallacciare un legame con la terra, con le piante, con ritmi meno logoranti e con un tempo ciclico, stagionale, tarato sulle persone e non su produzione e consumi. Questo bisogno è diffuso, è sentito, non è vero che non siamo pronti per una transizione giusta e per una decrescita che non lasci indietro nessuno: forse dovremmo solo cominciare a contarci.
Cosa succede nel tuo orto adesso?
Il mio orto perennemente in ritardo ha ancora qualche sparuta pianta di melanzane e di zucchine che continuano a fare frutti. Dovrei trapiantare alcuni ortaggi invernali – broccoli e cavoli vari, verze, finocchi – e poi fra qualche settimana ci sarà da raccogliere le olive, l’appuntamento familiare dell’anno.
Un libro
Non so davvero scegliere un libro, ti dico quello che sto leggendo ora e che mi sta appassionando: Anima. Una pastorale selvaggia, di Kapka Kassabova (Crocetti)
Un brano
I’m so tired, Fugazi
Una poesia
Al tempo che cadevano le albicocche (A e’ témp che caschévva al baracocli), di Nino Pedretti
Un sapore
I carciofi, i carciofi fritti, o alla romana, o in qualunque altro modo.
Poi forse il pane: il pane con l’olio nuovo.
Un odore
Quello delle foglie dei pomodori
Un luogo
Il punto del bosco del Martese dove ci sono i “faggi torti”.
Un nome
Ederlo: è il nome del mio nonno paterno, non ho mai conosciuto qualcun altro che si chiamasse così, forse hanno sbagliato a segnarlo all’anagrafe, fatto sta che ha avuto un nome inspiegabile e non replicabile, come era lui.
Un colore
Ottanio, turchese e in generale tutte le sfumature che stanno fra il verde e il blu.
Un sogno
Che la politica torni a fare la politica, che si riesca a ricostruire un senso della collettività, del bene pubblico, che in quest’ottica di bene pubblico si intenda anche la salute e il benessere di tutte le persone, di tutti gli animali umani e non, degli ecosistemi, e che si capisca come il benessere di ciascuno è legato e dipendente da quello dell’altro.
Un dono
Sono grata quando qualcuno mi dona tempo e attenzione, compagnia ma anche silenzio.
Una persona
Me. Sono timida, tendo a nascondermi, ho il passare inosservata come strategia di sopravvivenza, in mancanza di prontezza di riflessi, istinto e abilità fisiche, però alla fine convivo con me, nel mio corpo, ho da fare ogni giorno con le tare mentali della mia testa, con i miei difetti, con i sensi di inadeguatezza e tutte le difficoltà che mi autoinfliggo e al tempo stesso: mi piace la persona che sono. Non vorrei essere nessun altro, non potrei stare in nessun altro corpo. Mi sa che sto imparando a volermi bene e che ho frainteso la tua domanda.
Roberto Profita
Posted at 20:04h, 24 SettembreSemplicemente meraviglioso, quello che ho letto!