30 Ott Il sogno di Penelope. Dal dialogo al monologo
di Elisabetta Imperato
L’attesa di Penelope, John Roddam Spencer Stanhope (1829-1908)
-Aiutami, straniero, a interpretare un sogno. Mi ero appena assopita quando a un tratto mi apparvero le mie amatissime oche. Uscivano dall’acqua e beccavano il grano. Mi rallegrai a vederle ma all’improvviso un’aquila gigante, col grande becco adunco, piombò dall’alto monte, calando su di loro e spezzando il collo a tutte. Poi si levò nell’etere, lasciandole nel sangue. Gemevo a quella vista, piangendo dal dolore mentre le mie ancelle inutilmente cercavano di consolarmi. Poi l’aquila tornò e con voce umana mi rivolse queste parole: «non è un sogno menzognero il tuo ma una premonizione di ciò che si compirà. Sono io l’aquila. Il tuo sposo Ulisse. Sono i Proci le oche a cui procurerò l’atroce morte». Dimmi straniero cosa significa per te? Quando mi risvegliai, ancora con l’orrida visione negli occhi, nuovamente mi rallegrai, vedendo le mie oche che erano vive e beccavano il grano accanto alla vasca.
-Il sogno ti ha mostrato il futuro, ciò che accadrà. L’aquila rappresenta il tuo sposo che ucciderà tutti i tuoi pretendenti.
-E se non fosse così, straniero? Se dovessimo cercare un’altra verità nel sogno? Se le oche rappresentassero ciò che mi è più caro? Se fossero la proiezione dei miei desideri, in carne e ossa, pronti a prendere il volo? Venti anni son passati. Venti oche mi son venute in sogno. Con l’arco teso all’orizzonte, scagliai la freccia dell’attesa. Mi dolevano le braccia per lo sforzo. Eppure amai questo mio tendere. Se mi portassero via l’arco cosa mi resterebbe? Io stessa come Ulisse, naufraga del pensiero, anelo a ritrovare il mio sposo com’era. Dove comincia il mare il mio sguardo si perde. E ciò che più ci unisce è ciò che ci separa. Le oche son da sempre fedeli protettrici. Sin da un tempo lontano provvide salvatrici: Nacqui indesiderata e nell’acqua fui gettata. Icario mi generò per poi volermi morta. Le anatre benevolmente mi portarono a riva, risparmiandomi l’Ade. A loro devo la mia stessa vita. A loro il nome. Ali e zampe d’uccello furon la mia salvezza. Forse discendo anch’io, al pari delle arpie e delle sirene, dalle antiche dee. Forse noi tutte siam figlie della Grande madre, sacra Lilith. Le oche degli Anatidi rappresentano forse i miei pretendenti? O svelano la mia frenesia di seduzione? Quante sono le maschere portate dal mio sogno? Di me si racconta che sono un’abile tessitrice. È vero. Che sono fedele e paziente. Non so. So di certo che sono una guerriera e il telaio è la mia arma. Anche il ragno, tessendo, ordisce la sua caccia. E come Neith, la dea con la spola del telaio sulla testa, stendo sul mio telaio il cielo per tessere la terra. Anch’io, custode delle attese, combatto una battaglia, tenendo a bada il tempo. Ho un corpo che anela la passione amorosa e tesso pensieri che la mia mente occulta col velo che mi copre il capo. Ma un desiderio trattenuto è pur sempre un desiderio. È forse questo il messaggio del sogno? La regina che sono ora mi appare attraverso gli occhi dolcissimi di Antinoo. E in fondo in fondo quel che vedo mi piace. Ma dare a lui il mio cuore sarebbe come rinunciare definitivamente al mio sposo. E io non voglio. Io sono e resterò Penelope che aspetta. Del mito ancipite, unità di opposti. Col mio telaio continuerò a tramare, intrecciando visibile e invisibile. In me troveranno la congiunzione astrale la vita e la morte, la terra nera e l’azzurro cielo. Nulla è la fedeltà se non c’è tradimento, a nulla vale la rinuncia se non c’è desiderio. Voglio che mi ricordiate così. Per sempre sognatrice in attesa. Con l’arco teso verso l’orizzonte, seguirò la mia sorte. Solo nella mia freccia troverò la morte.
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