Lingua di mezzo

di Vincenzo Corraro

 

Giuseppina Biondo, Lingua di Mezzo, Interno Libri 2023.

Il linguaggio è una mediazione con la realtà, ne interpreta il cambiamento. Walter J. Ong (Oralità e scrittura, Il Mulino 1986) definiva l’oralità un carattere stabile del linguaggio, legandola all’azione, all’interiorità del suono. Nelle culture ad oralità primaria (in cui manca totalmente la conoscenza della scrittura), il suono esiste nel momento in cui viene emesso e la parola presuppone un repertorio di significati (culturali, rituali, conoscitivi) vicini all’esperienza umana, che vanno al di là del mero segno grafico – quest’ultimo inteso come una ristrutturazione del pensiero, che inevitabilmente tende a mortificare la poliedricità del suono e del non detto.

Giuseppina Biondo nel suo Lingua di Mezzo (Interno Libri, 2023) sembra voler recuperare il tema delle differenze fra la forza partecipativa del linguaggio che genera il senso di appartenenza a un gruppo (o a una generazione) e l’astrattezza dei segni grafici, in un’accezione – è uno dei messaggi forse più provocatori del libro – discriminatoria.

Partiamo dal gruppo. Giuseppina Biondo è una docente ed è una filologa. Insegna nelle scuole superiori. Osserva e registra i cambiamenti della lingua ‘in prima linea’. Proprio sul punto dove si incontrano i codici dell’acritica stratificazione linguistica e culturale (che la scuola per inerzia ricalca) con i sentimenti e le pulsioni dei codici di appartenenza e identificativi di una generazione – che inevitabilmente si riflettono sulla lingua parlata.

Lingua di Mezzo diventa, dunque, il tentativo di scardinare certe convenzioni. È un libro di poesie e ogni componimento ha un chiaro intento pedagogico. Si percepisce che i versi nascono dall’esperienza sul campo e attraversano la contemporaneità dei mezzi comunicativi (alcuni ormai convenzionali e ‘inclusivi’ come il simbolo ə altri attinti al mondo dei social), oltreché dall’esigenza di rendere la lingua come qualcosa di vivo, che metta al centro una richiesta generazionale.

Un’operazione coraggiosa, già a cominciare dalla premessa, che è stata scritta di pugno dagli alunni di Giuseppina Biondo. Una dichiarata difesa dei nuovi segni grafici, con un richiamo identitario nel riconsiderare le tensioni e i desideri che si nascondono anche nei codici linguistici.

L’autrice dà vita a questo senso della comunità, consapevole che sintonizzarsi con le verità dei più giovani sia un modo, crediamo, per afferrare le domande dei ragazzi e per sperimentare nuove strade poetiche: “Ciò che voglio non riesco ad averlo/ mai, ma lo sento, immagino – solo/ che poi non basta. Trovare l’infinito/ nel reale, questo vorrei, ma non riesco/ a trovarlo mai.”

La lingua però può essere anche una gabbia e un rifiuto. L’adolescenza ai tempi di Instagram (che è anche un verso della silloge) non scrive quasi nulla, non si espone, se non in modo visivo, nell’autocelebrazione del corpo o di una quotidianità straniante. Eppure è una generazione che affida al suono e alle parole nuove un potente valore emozionale. Utilizza una lingua di mezzo, scarsamente codificata, che parla a un villaggio universale (quello del gruppo), che aggrega, simula, ricalca modi di dire e di fare, che intercetta azioni che solo agli adulti sembrano segni incomprensibili o fuori dai canoni. Un formulario (si torna sempre al concetto di oralità primaria) che Biondo ripercorre con ironia e sensibilità didattica, per mezzo di accostamenti espressivi e giochi di parole e con una immedesimazione che è un esplicito atto d’amore: “Un alunno non dovrebbe mai chiedere,/ un insegnante dovrebbe sempre precedere,/ anticipare, e dare ciò che serve di segreto/ per vivere. Non è la competizione, / ma la convivenza l’obiettivo delle persone.”

Un’economia verbale dominata dal suono, benché appartato, benché identitario – scrive Ong – “tende all’armonia” e la scuola e le esperienze didattiche, come la poesia, possono renderne la diversità, la sua forza contestataria: “Non è questione di gergo soltanto, / ma di pensiero che si fa linguaggio.

La lingua è in fondo simile ai sentimenti, alla loro versatile profondità, ai “significati che non devono essere scritti”; ed è anche un organo che i sentimenti fa esplodere. La silloge in fondo si muove su questo dittico: anche la lingua che rimane in bocca può scegliere quando uscir fuori, avere empatia col conosciuto, dar vita ai suoni che meglio ci rappresentano e, nei sentimenti e nei rapporti, poter scegliere i nostri pari con assoluta libertà.

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