La metamorfosi

di Elisabetta Imperato

“Dovevo essere una sirena. Non ho paura della profondità e ho una gran paura della vita superficiale”. Anais Nin

«Il mio nome è Leucàsia. Un tempo lontano sono stata donna. Ma una notte misi le ali.  Spingevano per uscire dalle mie spalle di cera provocandomi lo stesso dolore che avverte un bimbo, quando gli spuntano i denti.  Iniziò così il mio viaggio. In volo sopra le barche dei marinai, sono stata guardiana dei flutti e mi sono spinta lontano, sulla spuma bianca. Per amor di conoscenza ho vagato in lungo e in largo, col turchino del cielo negli occhi. Le mie ali, spiegate come vele, hanno sfidato tutti i venti di Eolo. Poi un giorno vennero le squame, la coda e le pinne. Gli astri mi vollero prima uccella e poi pesce.
Divenni così Sirena, madre di ogni mutamento, creatura intermedia tra il regno delle ombre e quello della luce. Fui demone meridiano e unità degli opposti. Ho attraversato tutte le vie del sapere e ho chiamato le stelle per nome.
Bianco di perla è il mio volto e alghe e conchiglie addobbano le mie chiome.  Per volontà divina sono stata bellezza e orrore, passione e morte, eros e vento furioso. Ma se ho scatenato tempeste, l’ho fatto solo per amore. Condannata a incantare, conobbi le gioie di un solo abbraccio, strappato a me da una dea gelosa. Negli abissi oscuri risuona ancora il mio pianto tra coralli vermigli.
Le figlie del sole guidarono il mio cammino verso il solido cuore della rotonda verità e mi insegnarono che tutte le cose dritte mentono. Il mio canto era promessa di verità, invito a immergersi nelle profondità della parola. Ma gli uomini sono refrattari al vero e alla legge della metamorfosi che governa il mondo. E non hanno orecchie per ascoltare. Né capacità di sognare.
Così non si lasciarono accompagnare lungo il sentiero che ad Aletheia conduce.
Sempre, prima e dopo aver ascoltato il logos, nessuna conoscenza a noi fu preclusa. Perché la lingua, nata da donna, trova nella voce la propria strada. Il nostro nome comune è Sofia, che porta la sapienza nel cuore, e tutte le verità possiede. Anche i misteri dell’amore furono svelati da una donna. Lo racconta Socrate nel Simposio, evocando Diotima.
Questa la mia deposizione davanti all’alto tribunale dell’Olimpo. Gli uomini “assomigliano a sordi che, anche dopo aver ascoltato, non comprendono. Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù. La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi. La natura delle cose ama celarsi”.»
Leucàsia proferì queste parole di Eraclito e per un poco tacque. Al silenzio consegnò la sua tristezza.
E lo stesso silenzio risuonò come un dolcissimo canto.

Poi riprese a parlare.
«La mia coda è ancora piumata, la mia voce ha il sapore del miele. Sono nata mille volte da isole e scogli, da gocce di sangue sorelle, ma sono innanzitutto amica delle profondità del sapere, sorgente e foce dell’Essere.
Ingiustamente è stata tramandata la storia della Sirena seduttrice foriera di morte.
Nel tempo che corre veloce, fuori dal mito sono finalmente libera di ritornare a essere quella che ero.
La metamorfosi sta per compiersi.
Presto tornerò mortale. Da tempo ho deposto le ali. Sto già per lasciare il mio corpo di pesce. Ho un
Viso di donna e mani da cui sono sbocciati fiori che qualcuno coglierà.
Sarò di nuovo donna e il mondo sarà la mia casa. Conoscerò l’amore e potrò godere sulla terra ferma dell’intermittenza delle stelle. Un respiro ancora e tutto sarà compiuto.

Testi consultati

Anna Rosa Potenza, La leggenda di Leucàsia
Eraclito, Gli uomini e la verità
Donato Loscalzo, Il canto delle muse e il canto delle sirene, in Nuovo Meridionalismo
Franz Kafka, Il silenzio delle sirene
Alessandra Leonardi, Il giorno della taranta
Carlo J. Nicola, La sirena Leucàsia. Cinque narrazioni quasi vere
Francesco De Gregori, Il canto delle sirene

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